Archivio mensile:agosto 2012

iNudisti ai media italiani


Da una bellissima e preziosissima collaborazione tra gli amministratori e gli utenti del sito de iNudisti è nata questa importante iniziativa: una lettera aperta ai Direttori dei principali media italiani, perlomeno a quelli di cui s’è riusciti a trovare un contatto. Inutile ogni altra prefazione, la lettera stessa spiega tutto, per cui bando alle ciance ed eccovi il testo della lettera.

Ah, solo una cosa: a poche ore dall’invio già arrivano i primi positivi riscontri!


Egr. Sig. Direttore,

in qualità di amministratori di una grossa comunità Internet, siamo a scriverle poiché, dopo molti anni di silenzio, vari media italiani hanno ripreso a parlare, spesso in modo inopportuno e distorto, di un argomento che ci riguarda molto da vicino, un argomento invero non così complesso e difficile da comprendere, uno stile di vita assolutamente normale e naturale.

Ultimamente, poi, la nostra comunità e il nostro sito sono stati impropriamente citati, additandoli in modo che ci offende, così come offende tutti i nostri utenti, e non ci può lasciare indifferenti. Amanti dell’informazione precisa e puntuale, ci siamo pertanto sentiti in dovere di scrivere, con la collaborazione di alcuni dei nostri più affezionati utenti, questa lettera, che è anche un articolo di chiarimento, e inviarla ai principali media italiani con preghiera di pubblicazione.

Iniziamo con il chiarire cosa siano il nostro sito e la nostra comunità.

Trattasi del più grande sito web di naturismo e nudismo in Italia, il più quotato in Italia dai ranking Alexa e tra i più quotati nel mondo. Sette ambienti, tredici sezioni, quarantaquattro forum, qualche centinaio di pagine, circa quarantamila iscritti, quasi un milione di accessi al mese. I nudisti e i naturisti italiani che praticano in maniera continuativa si stimano in circa due milioni di persone e recenti statistiche, effettuate anche fuori dall’ambito nudista, evidenziano che l’80% della popolazione italiana non è affatto turbata da questa pratica, anzi moltissimi sono coloro che, in una qualche occasione, specie durante viaggi all’estero, si sono messi nudi per prendere il sole. Dati, questi, che fanno capire come l’argomento “nudismo” non sia di nicchia, ma possa al contrario coinvolgere molti lettori.

Ciò che caratterizza tutte queste persone è il mero desiderio di star nudi: da soli come in compagnia, in casa come all’aperto, nello sport come nel relax. La nudità è indubbiamente benefica sia per la salute fisica che per quella psicologica; la nudità, come dimostrano alcuni studi effettuati negli USA, è uno strumento educativo molto efficace sia per gli adulti che per giovani, ragazzi e bambini; la nudità è un modo per essere ecologici. Si tratta, quindi, di vivere normalmente, privi si di vestiario, ma senza per questo commettere azioni contrarie alla morale comune.

Purtroppo le notizie giornalistiche riferite ai nudisti, ai naturisti e al nostro sito sono spesso associate a depravazione, deviazioni sessuali ed esibizionismo. In verità il nudismo, il naturismo e il nostro sito prendono le distanze da tali comportamenti, comportamenti che non sono minimamente contemplati nel nostro stile di vita, ne sono in linea con la relativa filosofia. Chi li persegue viene conseguentemente segnalato e pesantemente redarguito, quando non addirittura cacciato, tanto nel nostro sito quanto nei luoghi naturisti e nudisti. Non rinneghiamo la sessualità delle persone, ma non accettiamo che la stessa si esplichi pubblicamente, come non accettiamo che il nudismo, invece che fine diventi il mezzo per la ricerca di prestazioni sessuali. Quanto spesso viene scritto sul mondo nudo-naturista è per noi, quindi, fonte di stupore, dispiacere e talvolta sdegno, ma non per questo rifiutiamo il dialogo civile, la necessità di un confronto ai fini della comprensione e del buon senso.

Noi amministratori e noi utenti del sito e del forum de iNudisti ci reputiamo persone del tutto normali e ci teniamo a non confondere il semplice nudo, condizione comune alla nascita, con tutto ciò che si leghi alle pratiche sessuali o, peggio, alla pornografia. E’ questo il più tipico dei preconcetti che emergono normalmente in una conversazione sul nudismo, mentre, come già detto, noi siamo assolutamente contrari a ogni forma di esibizionismo, sia individuale che di gruppo, e prendiamo le distanze da ogni sorta di manifestazione che, palesemente o nascostamente, significhi irrisione delle più elementari norme di convivenza ed educazione.

Non facciamo distinzioni: l’essere umano, uomo, donna o bambino, ha pari dignità quale che sia la sua scelta di vestirsi o meno. Da nudi educhiamo noi stessi e i nostri figli a comportarsi con la stessa naturalezza che si assumerebbe da vestiti, nel contempo, però, non perdiamo di vista quanto di buono si sia potuto apprendere al di fuori del semplice istinto: nudismo, naturismo e stato naturale non significano spogliarsi del proprio bagaglio educativo per regredire a uno stato animalesco. Rispettando ogni diversità abbiamo trasceso il senso del giudizio nei confronti dell’aspetto fisico, dell’età, delle condizioni personali, sociali e culturali, anche spiritualmente non indossiamo né imponiamo ad altri la “maglia” di un colore piuttosto che quella di un altro. Ci limitiamo alla nudità, individuale e collettiva, come semplice libertà di essere e come elemento essenziale di un modo di vivere in armonia con la natura. Questo è ciò che propugna il movimento naturista allo scopo di favorire il rispetto di se stessi, degli altri e dell’ambiente (si veda anche la definizione dell’International Naturist Federation, presentata al 14º Congresso Naturista Mondiale del 1974).

Innumerevoli sono le opportunità che il nostro Paese potrebbe offrire ai turisti amanti del nudismo, ma, al momento, vista la grave carenza di spiagge autorizzate o sulle quali il nudismo viene tollerato, molti nudisti italiani sono costretti a migrare, mentre molti di quelli stranieri evitano l’Italia, dirottando le loro preferenze verso paesi come Spagna (oltre duecento spiagge “nudiste” e tutte le altre sono “clothing optional”, dove, cioè, è del tutto indifferente portare o meno il costume da bagno), Francia, Croazia e Grecia dove il nudismo è assai più garantito se non addirittura legislativamente autorizzato (in Spagna e in Germania è possibile praticarlo anche nei luoghi pubblici urbani). Se consideriamo che mediamente un turista spende attorno ai 1000 euro a persona per ogni settimana nelle strutture attrezzate, la perdita per l’economia italiana non è affatto indifferente.

Pur senza nessun aiuto da parte delle istituzioni, anzi, spesso ostacolati, quotidianamente i nudisti lottano contro individui abbietti, individui con gravi deviazioni del comportamento sessuale e non sessuale, una legalizzazione del nudismo, eliminando la confusione ad oggi esistente, scinderebbe nettamente ciò che è nudismo da ciò che non lo è, contribuendo non poco a debellare questi malcostumi che, seppur presenti nella quasi totalità delle spiagge italiane, vengono confusi con il nudismo e a questo attribuiti.

Una legge che, come in Spagna, garantisca la libera pratica del nudismo è un diritto dei nudisti e un dovere delle istituzioni pubbliche, da un lato per l’esigenza di tutelare nudisti e non nudisti, dall’altro per garantire alle strutture turistiche l’accesso alle non indifferenti risorse economiche che verrebbero prodotte dal cospicuo incremento del turismo in Italia: molti vacanzieri d’Europa (e non solo) avrebbero un motivo in più per scegliere il Bel Paese.

Esponendo il nostro punto di vista non vogliamo imporre nulla a nessuno, ma vogliamo solo sensibilizzare l’opinione pubblica, farle conoscere più da vicino e con maggior precisione quella che è la nostra filosofia di vita, magari trovare uno o più referenti istituzionali che si assumano l’onere di legalizzare la pratica del nudismo. Ciò agevolerebbe chi come noi ritiene di esercitarla correttamente e, nel contempo, chi, talvolta per disinformazione, continua ad esserne ostile.

Gli amministratori e gli utenti de iNudisti

Confidando in un suo positivo riscontro, porgiamo i nostri più cordiali e distinti saluti e restiamo a sua disposizione per ogni ulteriore chiarimento.

Gli amministratori de iNudisti (www.inudisti.it)
Sull’originale della lettera seguone le firme degli stessi

Questi i media individuati e coinvolti

(in rigoroso ordine alfabetico)

ANSA
Beppe Grillo Blog
Bergamonews
BresciaOggi
Cairo Editore (BELL’ITALIA – BELL’EUROPA – AIRONE- IN VIAGGIO – NATURAL STYLE)
Corriere.it Brescia
Corriere della Sera
Cronache laiche
Dove
Eco di Bergamo
Eticamente.net Blog
Eurotravelnews
Famiglia Cristiana
FOCUS
Garda Notizie
Giornale del Garda
Giornale di Brescia
Giornale di Vimercate
GuidaViaggi/
Il Fatto Quotidiano
Il Gazzettino
Il Giorno
Il Messaggero
Il Resto del Carlino
Il Secolo XIX
Il Tirreno
Il Tirreno Firenze
Il Tirreno Livorno
In Camper
Itinerari e luoghi
L’Arena
La Gazzetta del Mezzogiorno
La Martesana
La Nazione
La Nuova Venezia
La Repubblica
La Tribuna di Treviso
L’Espresso
Lettera43
MB News
National Geographic
Partiamo – pare non avere un sito
Quotidiano.Net
Quotidiano di Puglia
Rivista dell’ADA
Senza Colonne
Striscia La Notizia
Studio Aperto
Teleturismo
TG RAI
TG RAI3
Turistica
Unione Sarda

Le ricette del “Cuoco Nudo”: persico sole in sughetto di birra


Ingredienti (per due persone)

8 persici sole da 200 grammi cadauno; 12 pomodori perini piccoli; 1/2 vasetto di capperi; 20 olive verdi denocciolate; il succo di mezzo limone; 1 bicchiere di birra chiara; 2 spicchi d’aglio; 2 cucchiai d’olio extravergine d’oliva; sale, pepe; peperoncino

Preparazione

Pulite e lavate il pesce; mondate l’aglio e tagliatelo grossolanamente; tagliate in quattro parti i pomodori; recuperate e mettete da parte la salamoia del mezzo vasetto di capperi.

Ponete l’olio e l’aglio in una largo tegame, mettetelo al fuoco e fate scaldare. Quando l’aglio inizia a sfrigolare, abbassate la fiamma e aggiungete i pomodori, mescolate un attimo e poi versate anche il succo di limone, mescolate ancora e, dopo un altro minuto, adagiatevi il pesce.

Lasciate soffriggere per un altro minuto poi salate e pepate, girate delicatamente il pesce, ancora un altro minuto, salate e pepate anche su quest’altro lato, aggiungete un pizzico di peperoncino, i capperi con la loro salamoia e le olive; coprite il tegame con un coperchio e lasciate cuocere per 3 minuti, poi girate i pesci e versate la birra, rimettete il coperchio e fate cuocere per altri 5 minuti.

Servite ben caldo accompagnando birra fresca.

L’asinello


Bella fiducia pensar che noi sempre si voglia peccare,
predicar che basta esser nudi per scivolar dalla china,
aver cattive intenzioni e far seguir per forza le azioni.

Mi presumo innocente, fino a prova contraria,
incorrotto il mio corpo animale, fatto di carne,
irreprensibile, vago sol di quel ch’è per natura.
Non m’infetta giallume morale, peccati elencati.
Non so com’è fatta l’orrenda Cariddi, da poterla evitare.
Son pianta di pesco, son pino slanciato, magnolia fiorita.
Non mi vedo diverso da un’ara, un ghepardo, un’antilope.
Non mi sento sulla pelle pustolente vergogna di tabe.
Ritorno un infante, nudo bimbin dopo cipria e bagnetto,
disteso di pancia per la foto ricordo, tutto innocente,
nel limbo beato ancor prima del fare e pensare.

Perché m’induci malvagi pensieri, mi pensi già nato col baco?
Integrale m’abbronza il raggio del sole, non fa dei distinguo,
non mi chiede chi sono, se sono pulito, se son vestito decente:
ab ovo gli è tanto che non fa differenze;
gli basta ch’io sia, che viva di verde e di luce, sano e splendente.

Son mela matura, buccia lucente, non ho del serpente.
Perché mi dici carcame, m’imponi il tuo tristo velame?
Non mi piace il tuo regno, troppo in alto fra i nuvoli,
troppo stretta la porta, non passa il mio carico d’ossa.
Non mi piaccion città con le mura, la tua testa turrita:
ti secludi dal resto del mondo animato, ti presumi perfezion del creato.

Guarda bene il tuo pane, l’oro del grano, capirai chi ti nutre.
Come fai a vederti, a conoscer chi sei, se t’ascondi a te stesso?
Dici che sta la vera radice del mal che ci macchia nascendo?
Mettiti al sole, dissecca stagnanti e putrescenti pensieri.
La ferita da sé si rimargina, si estingue la colpa caso mai fosse stata.

Povero corpo che asin da soma si porta dolente ogni peso:
un po’ di rispetto e un grazie che ci ha portato fin adesso sul dosso,
e basta legnate per colpe  inventate, a torto assegnate.

Il piccolo giardino


Sono le quattro del mattino, buio nel cielo.
Mi godo il silenzio, il mio piccol giardino.
Rumino piano un boccone di pane: sale, anice ed olio,
stacco una foglia di fresco basilico, di timo odoroso.
Una brezza ubriaca m’avvolge da tutte le parti;
un cielo stellato, oscurato dal lampione di strada.

È tempo notturno: franchigia e respiro per noi che siam nudi.
Mezz’ora, un’ora rubata per me, che impasto coi piedi la mota,
che metto ad asciugare i mattoni: dio mio, quanto ancora son schiavo!

Ho in bocca il pieno sapore del sale e del pane:
a ricordarmi son ospite, che vagabondo me n’ vo per il mondo.
Ma quanto il libero momento notturno m’inforza pel giorno!
Compromessi ed orari, catene e collari, mensa e giaciglio.

Ripasso le labbra con la lingua e coi denti: ancora sapori,
e risento la brezza che m’incontra passando.
Son sveglio: la mente è ancora nel sogno, nel buio stellato.
Una zanzara mi punge: son desto davvero. È l’alba fra poco.

Passa da fuori inopinato un vicino, rientra al mattino.
Temerario, al cancellino d’entrata mi bevo fra le mani un caffè:
mi vede, son nudo, ma è tempo tutto stravolto, notturno: si può.
Ci sorridiamo, ciascuno a suo modo sorpreso, e pure civili e cordiali.
La notte può tutto, anche viver concordi e sociali.

Sappiamo che è un passo di più, che migliora il viver vicini;
domani, ammiccanti e un po’ complici, ci rivedremo contenti e innocenti:
col buonumor d’un sorriso ci daremo il Buongiorno.
Lo sento oltre la siepe che muove una sdraio, che si versa da bere.
Immagino che anche lui si goda la notte e la brezza:
che vedendomi libero e nudo abbia voluto provare cos’è?

Non vado a spiar dalle griglie, mi piace e mi basta che lo pensi fra me.
Libertà ci contagia, sia pure per brevi momenti, quasi al destino rubati.
Portiamo fardelli non nostri, come stessimo sotto invisibil regime.

M’avvolge la notte coi suoi chiari pensieri, che quasi mi metto a volare.
Quattro per quattro misura il giardino, mi coltivo un motor di pensieri.
Mi rinfresco nell’aura notturna il corpo, i sensi e la mente.
Mi godo il silenzio e il mio piccolo-grande giardino.

Le ricette del “Cuoco Nudo”: la pasta del sole


Ingredienti (per quattro persone)

500g di pasta (tipo a piacere), 300 grammi di polpa di persico sole, 200 grammi di polpa di persico reale, 2 spicchi d’aglio, 1 limone, 1 cucchiaio abbondante di zenzero tritato (o in polvere), 6 pomodori perini, 2 bicchieri di vino bianco secco fermo, 2 bicchieri di olio extravergine di oliva, peperoncino, pepe, sale.

Preparazione

Grattugiate la buccia del limone, poi spremetene il succo. mondate l’aglio e tritatelo finemente. Tritate grossolanamente il peperoncino. Tritate finemente lo zenzero se avete quello fresco. Tagliate a rondelle un poco spesse il pomodoro, poi tagliate in due o quattro parti ogni rondella.

In un largo tegame versate l’olio di oliva, distribuite l’aglio e ponete a fuoco medio. Quando l’aglio inizia a sfrigolare abbassate la fiamma al minimo, aggiungete la polpa del pesce, salate e pepate, mescolate per bene e lasciate soffriggere finché la polpa del pesce è diventata completamente bianca. Ora versate il peperoncino e lo zenzero, mescolate ancora per bene. Aggiungete i pomodori, lasciate soffriggere ancora un minuto, versate il succo di limone e, dopo un altro minutino, il vino, mescolate, coprite con un coperchio e lasciate andare a fuoco basso per mezz’ora, controllando ogni  tanto che il tutto non si asciughi troppo, se ciò avviene aggiungete un mezzo bicchiere di acqua tiepida.

Passata la mezz’ora, regolate ancora l’acqua del sugo e iniziate a cuocere la pasta. Due minuti prima del termine cottura della pasta (nel frattempo il sugo ha continuato a cuocere coperto, regolandone la densità mediante la stessa acqua di cottura della pasta), prelevate un ultimo mestolo di acqua di cottura della pasta e versatelo nel tegame del sugo, scolate la pasta e versatela nel sugo, aggiungete la buccia del limone grattugiata, mescolate bene e completate la cottura.

Servite ben caldo accompagnando con vino bianco secco fermo.

Nudità aurorale


Occhieggia Venere in cielo: ogni giorno comincia e finisce così.
Prendo il guinzaglio ed esco col cane per un giro al vigneto.
Han già vendemmiato, i filari son spogli: han già dato.

Mi metto libero e subito mi sento rotondo, completo, perfetto.
Una brezza scirocca in velluto tutto m’avvolge e rinfresca.

Il cane segue sua usta; liberi, lascio vagare i pensieri.
Un momento d’incanto: entrambi stralunati e presenti,
ancorati alla terra, allo spazio d’intorno, persino col cielo.

Stringo i pugni, trattengo questo momento contento.
Si leva da solo un mio canto al sole che sorge
commosse le corde del petto, consonanti enarmoniche.

Son tutto di carne, son tutto di pelle, son tutto al presente.
Che più? Considero me: alluci, cosce, petto e fusello:
è tutto un sol corpo risonante di bronzo, d’argento, e boemia.

L’armonia delle sfere che ruotano in cielo, così come in terra,
e così nel corpo mio nudo: il bacio del tutto e del vero.

Nudità clandestina


  • La sentenza della Corte di Cassazione 28990 del 18 luglio 2012 ricorda esser la nudità «idonea a creare turbamento» in bambini e adulti «non consenzienti» «in luoghi pubblici, o aperti o esposti al pubblico». Poiché l’argomento discriminante è la visibilità dell’“ultimo miglio”, si deduce che la nudità è tacitamente ammessa di notte. Non si ha notizia peraltro di multe per i “bagni di mezzanotte”.

Su barconi di fitti pensieri ho attraversato gran mare.
Miraggio: la mecca d’esser libero e nudo su spiagge e sentieri.

Ho lasciato il mio villaggio d’origine, un luogo dell’anima
che oramai m’era angusto: ognuno in sua cella, e non più.
Mill’altri mi facevan da grata, parenti ed amici, l’intero villaggio.

E sono scappato, ho attraversato il deserto di Libia: basilischi e scorpioni.
Ad ogni passo perdevo un legame, perdevo zavorra, mi facevo più forte.
Ebbro di me, formichina che va con in bocca il suo tozzo,
immenso di me, che cercavo altri lidi, altrove libertà… ed erano in me.
Mi bastava la luce del sole e la sabbia per dar spazio ai miei passi.
Son giunto al gran mare: l’acqua m’ha accolto e mi poteva annegare,
d’emozione ero gonfio di fiato, gli ansiti fitti mi tenevano a galla:
ero vivo, ero io, come non mai: ogni piccolo pezzo di carne era vivo.
E nuotavo sicuro verso i lidi d’Italia, libera e bella, verde ed azzurra.
Ma già mi sentivo di più: ero libero io, non perché era libera Italia.

Approdo finalmente su una spiaggia remota che chiaman Riace,
vedo due uomini, statuari di bronzo, perfetti, mi chiaman fratello.
Amiconi mi scherzano, che sono bronzé più di loro.
Hanno per casa un museo. Ogni tanto si senton chiamare,
si riprendon la carne ed escon di notte perché non hanno costume
(se ti vede una guardia, provi quanto sa di sale un’ammenda sul lito del mare).

Non hanno nulla di nulla, né denari né armi, son solo se stessi.
Vanno alla spiaggia a confortare quel naufrago appena approdato,
ancor sbalordito dal non vedersi vestito delle grate di casa.
Ora è qui la sua casa, lo sa, con gli amici di qui, antichi e cordiali, liberi e nudi.
Peccato si possa solo di notte, che nessuno ti veda, decenza non vuole.

Povera Italia, ancor carbonara, ancor clandestina,
che ancor oggi con sentenza matusa e bestina
pennin d’ermellini a una gogna pudica destina.

Le ricette del “Cuoco Nudo”: pesce in tre maniere


Ricetta un poco elaborata e che richide un po’ di tempo per essere preparata, ma di sicuro successo ed effetto. Per altro permette di apprezzare tre diverse tipologie di cottura e soddisfare ogni tipo di palato. Ovviamente invece di tre pesci diversi si può utilizzare un solo pesce di opportune dimensioni o quantità, in tal caso si consiglia di usare la tinca o il siluro (ma anche la carpa) che meglio si prestano a tutti e tre i tipi di cottura.

Ingredienti (per quattro persone)

1 tinca da 1kg, 1 luccio da 1kg, 2 persici reali da 400 grammi, 5kg di sale grosso (ma dipende dalla dimensione della pentola che verrà usata per la cottura in crosta di sale), 3 uova, 4 pani secchi, 4 grandi e belle foglie di lattuga, 1 arancia, 4 foglie di alloro, 3 spicchi d’aglio, 1 ciuffo di  prezzemolo, 5  foglie di erba cipollina, 3 foglie di mentuccia, olio extravergine di oliva, sale, pepe.

Preparazione

Pulire e lavare il pesce. Ricavare dalla tinca quattro tranci di grosso spessore ( 4 centimetri). Dal luccio ricavare, invece, quattro tranci di medio spessore (2 centimetri). Dai persici reali ricavare quattro sottili filetti.

I tranci grossi farli cuocere in crosta di sale… Coprire il fondo di una pescera con due centimetri di sale grosso, adagiarci sopra due foglie d’alloro e sopra a queste i tranci di pesce facendo in modo che non tocchino i brodi della pentola, altre due foglie d’alloro sopra il pesce poi coprire completamente con altro sale grosso (altri due centimetri sopra il pesce); mettere in forno già caldo a 220°C per una mezz’ora, lasciare raffreddare poi rovesciare la pesciera, liberare il pesce dal sale e metterlo da parte.

I tranci medi frali cuocere sulle brace… Preparare un battuto di aglio e prezzemolo, in una terrina piatta versare un bel po’ di olio extravergine di oliva, aggiungere il battuto, sale e pepe a piacere e lasciare insaporire per 15 minuti poi aggiungere i tranci di pesce, mettere in frigorifero per 12 ore; passato questo tempo togliere i tranci di pesce dall’infusione e metterli a scolare (non asciugarli con carta o altro, lasciali solo sgocciolare per bene); nel frattempo preparare le braci (il braciere deve permettere di tenere la carne ad almeno 30 centimetri dalle braci, meglio ancora se si può usufruire di quei bracieri che permettono di tenere le braci dietro e la carne davanti invece che sopra) e mettere a cuocere il pesce; prima di girarlo lasciare che la parte superiore diventi bianca (ma fare attenzione che sotto non bruci, se le braci fiammano gettarci sopra del sale fino per spegnere le fiamme); anche qui una mezz’ora di cottura dovrebbe essere più che sufficiente, poi mettere da parte.

I filetti sottili si fanno fritti… In un piatto rompere le uova intere, aggiungerci un pizzico di sale e sbatterle con i rebbi di una forchetta per ben amalgamare il tuorlo con l’albume; in un foglio di carta da forno versare abbondante pane secco grattugiato, passare le fette di pesce nell’uovo, poi nel pane, quindi ancora nell’uovo e nuovamente nel pane (doppia impanatura); in un’ampia padella versare due dita d’olio extravergine d’oliva, adagiarci uno spicchio d’aglio intero (meglio se in camicia, cioè non mondato dalla sua pellicina), quando l’aglio inizia a sfrigolare (fare piccole bollicine), adagiare anche le fette di pesce, lasciare indorare per bene sotto e imbiancare sopra e poi delicatamente girarle a completare la cottura (quindici minuti circa).

Preparare dei piatti scaldandoli, contemporaneamente riscaldare in forno o nel microonde anche i tranci di pesce, porre nei piatti una bella foglia di lattuga (o altra insalata a foglia larga), versare tre gocce di succo d’arancia, adagiare sopra la foglia d’insalata un trancio per tipo (sotto quello alla brace, in mezzo quello al sale e sopra quello fritto) sfalsandoli tra loro di modo che siano ben visibili tutti e tre, spruzzare il tutto con qualche goccia di succo d’arancia, decorare con pezzettini di erba cipollina, mentuccia e striscioline di buccia d’arancia e servire accompagnando con vino bianco secco mosso o, meglio ancora, del brut di Franciacorta.

Nudismo senza paure


Il nudismo non è per vacanzieri, pusillanimi, rinunciatari.
Nemmeno un gesto di provocazione, prevaricazione, ostentazione, esibizione, ribellione, rivendicazione.
È la sana, misurata, assennata affermazione di sé. Ci basta esser rispettati…

Esistono parecchi meccanismi per gestirci come massa, per condurci al guinzaglio, tenerci legati al remo della barca comune. Possiamo anche passarci indenni attraverso, rivestiti di una corazza invisibile che è il nostro carattere, la nostra determinazione. Non sto parlando di carisma, ascendente: faremmo lo stesso gioco di chi ci vuole plagiare. Non vogliamo seguaci, non siamo dei divi, non siamo speciali. La paura non ci fa paura. Corriamo dei rischi, che sono come antidoti alla morte, all’invecchiamento precoce.

La paura è l’altra faccia del desiderio. Il desiderio è manipolabile, surrettizio, un artificio retorico. Una volta accettato, ci cambia la vita, il profilo, vi incanaliamo risorse ed energie, ne facciamo questione di vita (la paura è sempre anche un po’ paura della morte), guai se non lo conseguiamo. È molto probabile che perdiamo la scommessa e tutta la nostra puntata. Una sconfitta fa male, incrina la fiducia in noi stessi. Ci cambia.

«La nostra saggezza è saper quel che siamo, il nostro coraggio ci difende da quel che non vogliamo» (discorso del re spartano Archidamo al consiglio di guerra ateniese, ca. 432 a.C. – Tucidide I, 84).

Abbiamo pudore del nostro orgoglio? Bene, bravi: «Fatti agnello, che il lupo ti mangia.» Non che sia famelico il lupo, da lupo fa il suo dovere, è legge severa. E allora non piangiamoci addosso. Piuttosto, facciamo piazza pulita. Per farci rispettare. Non siamo giullari, strambi personaggi, stravaganti farfelus, matti come cavalli. È questa la visibilità che voglio mostrare: son quel che sono anche senza mutande. Per caso, son le mutande a farci uomini? Perché morir di paura? Se proprio devo, preferisco morire rosso come un tacchino, bello e buono come mamma m’ha fatto, esser seppellito come santo Francesco.

Le mutande hanno un potere immenso… se le accettiamo. Ci fanno sentire sociali, nel coro, forti e ben allineati. Ci rassicura avere un buon capo, si merita la nostra stima, gli deleghiamo parecchio di noi, facciamo grandi cose insieme: un bel concerto. Eppure ci legano, sono i fili delle marionette, delle adunate in piazza d’armi, delle code pei saldi.

Nudismo vuol dire che siam grandi, che siamo cresciuti, che stiamo in piedi anche da soli. Che ce la caviamo: certo, insieme si può fare di meglio. Le cose non cambian per magia, e non lo vorrei: voglio cambiarle io, finché sono capace, adattarle alla mia misura.

Nudismo vuol dire che abbiamo un grande rispetto di noi, che ci ammiriamo per la meraviglia che siamo, per il corpo che abbiamo, bello o brutto che sia, non è questione di estetica, è questione di vita. E non voglio che sia una vita clandestina, extra-non-so-cosa; non voglio tollerarmi, quasi avessi un difetto di fabbrica. Come pensiamo di noi è probabile che lo stesso pensiamo degli altri, senza setacci: non siam body scanners.

Nudismo vuol dire che non abbiamo paura di quello che siamo, che non ci desideriamo diversi; senza spauracchi, senza effimere mode che ci trasformano in cloni, sfiniti e frastornati dalle troppe novità. Facciamo muro, siamo solo homo sapiens, persone che sanno chi sono, contente di quello che sono; che si sono scrollate di dosso mani che non hanno richiesto. Abbiam cancellato marchi e tatuaggi, ci siam lavati i pensieri che ci imbozzolavano, ci siam levati divise e livree, giornee fuori luogo.

Nudismo vuol dire che ci teniamo alla pelle, tutti i centimetri: è cosa nostra. Non ha prezzo, al massimo un prezzo d’amatore. Non voglio disprezzare il dono del sole, costretto a lasciare in bianco parti coperte: nessun’altra creatura lo fa. Ma noi abbiamo le lampade! Sembrano angoli morti, pallide esuvie che sono.

Nudismo vuol dire che nessuno mi espropria al presente, nessuno mi risucchia futuro. Vuol dire che ho passato l’esame. Con me. Che mi sono promosso. Che ho studiato, che mi sono studiato, che qualcosa d’importante ho imparato, che a me ci tenevo (di questo n’andava!)

Al campeggio fanno entrare tutti che pagano. È sui sentieri del monte, nei greti dei fiumi, lungo i viottoli alberati in campagna che ti voglio vedere, ed accompagnarmi buon tratto con te.

Calendario venatorio


Ci risiamo! I cacciatori diventano padroni delle campagne e dei boschi per cinque giorni su sette la settimana.
Ufficialmente (calendario venatorio della Lombardia 2012-2013) la caccia comincerà la terza domenica di settembre (il giorno 16) e l’addestramento cani 30 giorni prima, cioè domani.
La maggior parte di noi lavora e ci rimane libero solo il fine settimana, ma non possiamo uscire perché ci sono i cacciatori. Ci rimane il martedì e il venerdì…

Pagherei volentieri anch’io una “licenza” allo Stato, pur di muovermi libero, entrare nei fondi altrui non recintati… Si possono contrattare le modalità. A mo’ di esempio: “tenuta libera” da 300 metri dei centri abitati, su strade non asfaltate, sentieri, boschi, prati, lungo i margini delle coltivazioni…
Voglio solo girovagare, come più mi piace, non reco danno ad altre persone, ad animali, piante, coltivazioni.

Scusate… Devo aver sbagliato un po’ di cose. Sto chiedendo che lo Stato mi difenda in deroga alle proprie leggi (art 726 del codice penale): non lo farà mai. Mi rendo anche conto che sto chiedendo una protezione di tipo mafioso… forse passa. 🙂
Diritti all’asta!

Qualcuno mi sa dire qual è il fondamento (il danno ad altri) su cui poggia l’articolo?

Mi trasformo in cane segugio e vado a rileggermi l’articolo:

  1. è stato approvato con Regio decreto del 10 ottobre 1930, n. 1398
  2. l’’art. 18, L. 25.06.1999, n. 205  Delega al Governo per la depenalizzazione dei reati minori e modifiche al sistema penale e tributario  (G.U. 28.06.1999, n. 149)  ha abrogato il secondo comma: «Soggiace all’ammenda fino a lire centomila chi in un luogo pubblico o aperto al pubblico usa linguaggio contrario alla pubblica decenza.»

Il Legislatore constata che dire parolacce ormai è d’uso comune e cancella il reato. Non vede o non vuole vedere che insieme è cambiata in generale anche la percezione di “pubblica decenza”.

Concludo:

  1. udire è meno grave che vedere
  2. vedere tramite i media è espressione, è meno grave e conturbante che vedere dal vivo
  3. basta una leggina per cambiare un articolo del codice penale
  4. dobbiamo renderci molto più visibili, affinché il Legislatore si accorga di noi: “non sempre, ma sempre più spesso”; perché si renda conto che qualcosa in 80 anni è cambiato e soprattutto che non facciamo del male a nessuno (neminem laedere), né fra di noi, né coi malcapitati che incontriamo.

A questo proposito mi viene in mente un modo dire calabrese (non sono certissimo della grafia):

Son’ i’ can’ i’ Renz’, così son’ e penz’ (Sono il cane di Renzo, così sono – così penso). Cioè che gli altri ci vedranno come voglion vederci, pensando che noi facciamo quel che loro farebbero al nostro posto.
Più visibili vuol dire perciò farci conoscere per quel che realmente siamo, persone tranquille, rispettose e civili; che tocca a noi smentire i mille pregiudizi, sbugiardare le proiezioni maligne/maliziose/malate. Nessun altro lo farà per noi.

Riconsiderando il punto 2, mi vien da pensare che la “differita” mediatica è più controllabile che un incontro inatteso ad un angolo di un sentiero (qualcuno potrebbe morire d’infarto); che lo Stato si fa paladino della sensibilità ferita della maggioranza. È una sfida democratica salvaguardare le minoranze, o ho capito male? Ok, non siam l’Alto Adige / Südtirol.

Uno slogan? Liberi e nudi sui tutti i sentieri.

Sul pudore – 5


Segue dalla parte 4

Un peso strano

Un anno fa, di questi giorni ho gettato il mio pudore alle ortiche, camminando per la prima volta nudo in un vigneto. Uso la stessa espressione che si usa quando un prete rinuncia alla vita sacerdotale, perché molti pensano che il pudore sia sacro, un’istituzione divina a difesa dei misteri più alti della vita e addirittura della nostra relazione con Dio: finché non saremo santi non potremo né conoscerlo, né godere della sua vista: Dio nudo, buona questa! (mi correggo: i soliti bene informati assicurano che per ragioni di pudore vedremo solo il Suo volto).

Ho banalizzato il pudore a cosa di uomini, lasciando il sacro alle persone di fede (ma da allora, fatto pagano, saluto il sole per nuovo mio dio, e l’erba e la vite, il profilo dei monti ed il Cielo – scusate, m’è scappato il maiuscolo).
Ho sentito il pudore come abito d’altri, che non mi andava a misura, che mi avevan gettato addosso sin quando andavo all’asilo, quando mi mettevano in guardia dal diavoletto nelle braghette, che lì, brrrrr!, c’eran “brutte cose”, il barabìo; sin dalla confessione del primo venerdì d’ogni mese (“avete commesso atti impuri? Da soli, con i compagni?”).

E mi son sentito più leggero, come fosse d’improvviso cessato l’impegno gravoso di mantenere un segreto, una fedeltà, una promessa di lealtà che mi avevano estorto perché era un’usanza, senza nemmeno capir bene che fosse. Ho disertato, non ero più “soldato di Cristo”: tutto quell’apparato – capivo, – era come Venezia che poggia su milioni di pali sott’acqua: si sosteneva sulla nostra pelle, volenti o nolenti.
Il pudore non aiuta a conoscerci meglio, né noi stessi, né in relazione con gli altri. Ma i propugnatori di esso – che si pongono in cattedra come esperti e moralizzatori – col potere che noi stessi deleghiamo loro, ci fanno tirar la carretta sulla loro strada, portiamo acqua al loro mulino, cresciamo coi paraocchi. Questo giogo non può essere uno di quegli «ostacoli … che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana» (art. 3 della Costituzione)?

Non vedevo segreti, se non quello immenso, esorbitante per noi, della natura e dell’esistenza. Non ho avuto rivelazioni, illuminazioni. Mi sono d’improvviso sollevato d’un peso che altri mi facevan portare. Un peso strano. Mettendo in non cale pudore e peccato, strappando quel velo ipocritamente candidissimo (Ugo Foscolo, Dei Sepolcri, 175-179), come avessi ritrovato una nuova innocenza, mi sentivo puntare addosso uno sguardo accusatore di colpe inesistenti, di malizie che non mi sentivo, di mire e appetiti che già mi ero lasciato alle spalle crescendo. Capivo che qualcuno mi aveva trapiantato occhi sguerci, desideri non miei, bizzarre fantasticherie che mi estraniavan dai fatti reali, paure irreali che mi terrorizzavano, vuote minacce che mi mettevano al muro. E mi sentivo umiliato, annichilito, schiacciato, appestato. Anzi, infamato, diffamato! Non ero quel diavolo che mi dipingevano, non mi sentivo così porco e perverso, così vergognosamente indegno, allupato dalle macerazioni – così meritorie! – (che diamine!), nel tira e molla fra legge naturale e legge morale.
E poi si parlava del sacrificio dei corpi, carne da macello sull’altare del martirio, della croce (ad imitazione di Gesù). Si blaterava di seguir nudi il Cristo nudo (nudus nudum Christum sequi, adagio ascetico molto diffuso nel medioevo; per la prima volta nella lettera 125 di san Girolamo, anno 411: «se non possiedi sei già sollevato da un gran peso, segui nudo il Cristo nudo. È un impegno gravoso, enorme, difficile, ma grandi sono anche le ricompense»). Basta così! Grazie ancora, Lebrac (“senza le braghe, non potranno tagliaci i bottoni”)!

Con gesto sicuro mi son tolto la cappa e ho cominciato a respirare; ho riaperto i miei occhi: non eran poi male i modi di relazione con gli altri che mi ero maturato negli anni, il rispetto, il riguardo, le buone maniere che mi ero imparato. Rischiavo l’inferno, biasimo e multe. Ma avevo compreso quant’era grande l’inganno. E ora non torno più indietro.

Fine

Sul pudore – 4


Segue dalla parte 3

Il pudore è un segno di confine

Sembra un’istituzione positiva questa cittadella dell’Io, se non fosse un cavallo di Troia. Perché l’atto stesso di difender qualcosa presuppone un valore appetibile e si pongon le basi per la sua conquista. Il pudore assicura il singolo che esistono delle difese contro l’intrusione di altri, e nello stesso tempo imprigiona il singolo dentro queste stesse difese.

In entrambi i casi appare evidente come il pudore sia indotto: nel primo caso il singolo collabora con la legge nell’evitare incitamenti anche involontari (“attentati al pudore”); nel secondo si fa convinto di possedere un valore da mettere all’asta. È molto pericolosa questa attribuzione di senso perché di fatto reifica un’essenza che dal punto di vista etico (del “costume”, del modo di vita) e politico (liberi in società) proprio non dovrebbe esistere: il “commercio” di sé (rendersi schiavi), ma sembra che questo sia uno scotto da pagare se vogliamo sedere al tavolo della società. Il bisogno è per definizione spudorato: «non c’è cosa più impudente del ventre odioso, che impone per forza di ricordarsi di lui» (Odissea 7, 216-217), «Non si può nascondere il ventre bramoso, funesto, che agli uomini dà tante sciagure» (ivi, 17, 285-286), «pudor con povertà, mal s’accompagna» (ivi 17, 578).

Immagino che il singolo guardi all’esterno da uno specchio direzionale: da fuori si vedrà riflessa sulla superficie riflettente l’aspettativa sociale. Dall’interno il singolo metterà a confronto sé stesso con quel che gli altri gli rimandano.
Facciamo il caso che una persona riceva dei complimenti.

  • a) ne trae piacere gratificante perché la bilancia fra quel che sa di sé e quel che gli altri gli rimandano è in equilibrio;
  • b) riceve un complimento che sa di non meritare e si mette in sospetto;
  • c) riceve un complimento da persone che non han titolo di giudicare e non lo registra;
  • d) riceve un elogio che sa di meritare, ma che rifiuta o ridimensiona per falsa modestia;
  • e) riceve un elogio che giudica immeritato, eccessivo: la bilancia mostra lo squilibrio fra la percezione esterna e quella interna. Gli altri vedon di più: il soggetto si sente allo scoperto, a nudo, arrossisce.

Il pudore dunque avverte il singolo di un duplice sbilanciamento: di un Io troppo grande che invade, che si impone, anche involontariamente, sugli altri (e si arrossisce perché ciò è un’infrazione) e di un Io che il soggetto medesimo non conosce (e arrossisce perché gli altri rivelano cose che egli vorrebbe non fossero viste, non vuol far conoscere di sé alcuni tratti, scopre tratti di sé che lo mettono in imbarazzo perché nuovi).
Con segno contrario, analogamente funziona anche il biasimo. La posizione di grado zero lungo il cursore fra lode e biasimo vede un atteggiamento neutro, non-giudicante.

Il pudore come rispetto (e controllo di sé)

Di fronte a Nausicaa che lo vede nudo, Ulisse nasconde come può la propria nudità, non tanto perché voglia nascondere alla vista della ragazza le proprie “vergogne”, quanto per rispetto a se stesso: senza vestiti non ha dignità sociale, non potrebbe rivolgerle la parola. Nelle sue peregrinazioni aveva superato anche il pericolo Scilla, il mostro dalle teste canine (il cane è animale spudorato per antonomasia), per questo sapeva di potersi presentare “controllato” a una giovane: «In Scilla Omero ha invece rappresentato allegoricamente la multiforme svergognatezza, e per questo, a buon diritto, è circondata da musi di cani, cinta com’è d’avidità, temerarietà e brama» (Eraclito, Questioni omeriche 70, 11). Come è indotto il pudore, così ritengo che siano indotte anche le immediate associazioni collegate alla nudità.

Denudare le persone vuol dire privarle della loro identità e possibilità di relazione sociale, svuotarle del loro essere. Nella Via Crucis, la stazione decima contempla: Gesù spogliato delle vesti. Dall’Iraq ci sono arrivate alcuni anni fa immagini analoghe: siamo arrossiti, vedendo chi siamo o chi potremmo diventare, nonostante il progresso e la civiltà.

Mi chiedo se sia sufficiente un pezzo di stoffa ad attribuire o a difendere il valore di una persona, la sua dignità. Se la persona in sé sia poi così fragile. Gli eroi omerici (vediamoli nei  Bronzi di Riace) sono pieni di gloria e onore, di dignità. Senza ostentazione se non della propria virtù, del proprio impegno sociale (l’essere eroi, appunto). Le donne spartane (bollate dagli Ateniesi come “quelle che mostrano le cosce” – mentre il massimo dei complimenti per quelle ateniesi era “belle caviglie”, cioè bianche) sono state le più libere e emancipate dell’antichità, e le più onorate dai loro uomini: Plutarco riferisce come evento inimmaginabile l’adulterio per uno Spartano.

Il pudore politico

La parola rispetto contiene la parola guardare (spectare), non è uno sguardo di rapina, una curiosità invadente, indecente e sempre inappagata, ma un riguardo, uno scrupolo, un’attenzione, una sollecitudine, una delicatezza… una dignità intrinseca e intangibile nell’altro e in noi.

Sospendere il pudore esteriore e superficiale che si esprime nel portare un vestito, significa:

  • – verificare quel che ci rimane, quel che noi rimaniamo una volta spogliati delle convenzioni;
  • – ritornare allo stato primigenio e paradisiaco dove recuperiamo grazia e amabilità (cui l’arte talvolta addita e attinge);
  • – banalizzare la libera nudità dei corpi innocenti spogliandoli di costruzioni e gabbie ideologiche, estetiche, proiettive di un Io prigioniero innanzitutto di sé; di fantasticherie concupiscenti e futilmente o pericolosamente anelanti.

Divenuti più sinceri con noi stessi (e forse siamo anche arrossiti, scoprendoci ai nostri occhi migliori o più grami) non riusciremo più ad essere spudorati con gli altri.

Platone in un famoso passo del Protagora (322 b-c) pone il pudore e la giustizia alla base del viver civile (politico): fa del pudore (del rapporto fra vergogna e onore, del confine fra l’individuo e la società, dell’istanza di rispetto e del riconoscimento dei diritti) l’inizio di ogni modalità (forse anche eticità) del vivere insieme. La giustizia viene in seguito e di conseguenza, quasi un optional se siamo fra noi pudorati.

Allora anche l’essere nudi si concretizza paradossalmente come la miglior garanzia del rispetto reciproco; nella condivisione della semplice nudità si valorizza l’originalità e diversità di ciascuno, la ricchezza che siamo e portiamo in quanto persone, l’equilibrio naturale fra individuo e società (animale politico).

Continua alla parte 5

Sul pudore – 3


Segue dalla parte 2

Il nudo e la paura

Il greco gymnós vuol dire “nudo”, in particolare “senz’armi”. Il pudore sarebbe dunque un’invisibile arma di difesa. Ora si capisce: dal desiderio degli altri. Sarebbe infatti la nostra nudità a risvegliare l’altrui concupiscenza, dicono i fautori del pudore, i “gestori della foglia di fico”. Esattamente come nei processi per stupro: noi maschi siamo esseri deboli, caliamo le brache di fronte a una minigonna, a una vita bassa… E vinciamo i processi perché i giri di parole degli avvocati riescono a ribaltare le posizioni e convincono i giudici che la vittima è un’adescatrice. Asilo! Non m’importa che sia scritto nel quinto comandamento o nel codice penale, che sia peccato o delitto: rubare, non si ruba. Anche se ho lasciato la macchina aperta. Ma appunto perché siamo ancora all’asilo, abbiamo bisogno di un deterrente, di un bau-bau: un diavolino per i maschietti, una Baubo (vagina dentata) per le femminucce.
Anzi, appunto perché nudo è come fossi senz’armi, devo aver paura! (che sia nudo anche l’aggressore passa in second’ordine: due pesi e due misure; ironicamente, il potere è “sempre dalla parte delle vittime”).

Ancora dalla Genesi 1, 10:
«Ho udito il tuo passo nel giardino: ho avuto paura, perché sono nudo, e mi sono nascosto».

Ho due ipotesi:
1) che Dio cerchi i Progenitori per punirli, perché mangiando la mela sanno distinguere il bene dal male, e sapendo di essere in torto si aspettano la punizione
2) che i Progenitori, cui sono cadute le fette di salame dagli occhi, si sentono vulnerabili (sarebbe blasfemo ed errato dire che temevano un’aggressione sessuale da parte di Dio – pensando però alla retrodatazione della Genesi, è plausibile che la reazione dei Progenitori sia quella stessa che lo scrittore sacro presupponeva in una situazione analoga ai suoi tempi – alcuni versetti prima, trasferendo la propria reazione, aveva scritto: «tutti e due erano nudi… ma non ne provavano vergogna». Da rileggere l’episodio di Dina, Genesi 34 – davvero molto istruttivo, sebbene poco noto, e non compare fra le letture liturgiche).

Molti Padri della Chiesa (fra cui sant’Agostino, De Genesi ad litteram 11. 32) definiscono la nudità precedente il peccato originale come uno stato di grazia e di innocenza: «Fu allora che l’uomo capì di qual grazia era rivestito prima, quando, pur essendo nudo, non provava alcun movimento indecente» («Grazia su grazia è una donna pudica (mulier sancta, et pudorata)» Siracide 26, 15). A questo stato di grazia tenderebbe idealmente l’invito della Chiesa alla castità, allo stato verginale. Il pudore aiuterebbe a camminare in questa direzione. Fino all’ossessione. Ma allora c’è anche più merito. E poi diciamo che è contorto il serpente. Il pudore è “rispetto del corpo, tempio di Dio”: è tutto un candore, lucide lastre di marmo come pietre tombali. Grazie dell’offerta, non ci sto: preferisco stare come Natura mi vuole, che mi sento più vivo.

Da nessuna parte si legge che il peccato di Adamo ed Eva consistesse nell’aver fatto l’amore: i commentatori dicono che fu un atto di disubbidienza, di superbia. La “mela” dà loro la possibilità di distinguere il bene dal male; si vedono nudi e capiscono che ciò è male: il pudore avrebbe agito da deterrente, frapponendo un ultimo velo; ma ora che hanno peccato sentono vergogna, perché avendo accettato il quadro di giustizia divino ora l’hanno infranto; fuori da quel quadro non si sa che c’è.
Nessuno ha pensato al tasto rewind? È dunque dal paradiso terrestre, da illo tempore, che siamo liberi di scegliere le nostre azioni. Possiamo esser perdonati, si può cancellare la colpa e la pena, il fatto no.

Il nudo e il male

È male il fatto stesso che siamo così come siamo! Così come mamma ci ha fatti siamo di fatto già oltre i “paletti” della modestia, nelle sabbie mobili della tentazione, sulla china che porta al peccato. Come ci è successo in Austria, dove i ragazzi incontrati sui sentieri ci volgevan le spalle per non guardarci, come fossimo degli appestati («Hai nascosto il tuo volto. (avertisti autem faciem tuam)», Salmo 29, 8). Ma la Natura ha leggi “a moralità implicita”, non ha bisogno di Gazzette Ufficiali, di poliziotti e di tribunali; è severissima e incorruttibile: davvero un mistero come tutto funzioni a meraviglia… e noi, con tutta la nostra scienza, ancora non abbiamo scoperto tutti i suoi segreti, che rabbia! Poiché l’uomo è cultura e civiltà, un ritorno allo stato di natura è offesa al “progresso dell’umanità”: «c’è negli animali il desiderio d’accoppiarsi in modo che a coloro che muoiono succedano altri che nascono. Eppure anche nello stesso castigo l’anima razionale rivelò l’innata sua nobiltà quando si vergognò dell’impulso animale che provava nelle membra del suo corpo, e infuse in quell’impulso un senso di pudore, non solo perché in esso provava qualcosa [d’indecente] che non aveva provato mai prima d’allora, ma anche perché quell’impulso vergognoso proveniva dalla trasgressione del precetto» (ancora sant’Agostino, stesso luogo).

È male, perché da nudi è un attimo far le “cosacce” (“la carne è debole”). Ma perché sono cosacce? Ah, perché non sono ancora inserite in un quadro legislativo che le legittimi (= matrimonio); e nel matrimonio sono ammesse in via del tutto eccezionale perché lì cooperiamo con Dio al mantenimento della Creazione. Senza matrimonio siamo fuorilegge: pensiamo di esser come Dio perché abbiamo capito i segreti della generazione; stiamo mettendo in disordine il disegno perfetto della Creazione. Chissà come, i bambini nascono lo stesso. Però non sono riconosciuti, sono gettati dalla Rupe Tarpea, diseredati, buttati nei cassonetti… o fatti morire prima di nascere. Per salvare l’onore (sempre e solo quello della donna) e la “giusta” istituzione del matrimonio.

Pudore e patriarcato

Ho accennato di fretta al fatto che il pudore fosse “un prodotto del patriarcato” e nel paragrafo precedente ho accennato ai segreti della generazione. Nella storia dell’umanità c’è un punto di svolta che ha cambiato fondamentalmente l’ordine precedente: il passaggio dal matriarcato al patriarcato, avvenuto quando si è compreso il ruolo del maschio nella generazione. E devono essere stati i popoli che vivevano di allevamento a comprenderlo, i “pastori erranti per l’Asia”. Avendo a disposizione un “laboratorio” vivente (pecore, capre, cavalli e cani) avranno cominciato a notare che da pecore nere nascevano pecore nere, che da pecore bianche e nere ne nascevan di pezzate, e così via. È questa la mia lettura dell’episodio di Giacobbe che la vince sul suocero Làbano e finalmente riesce a sposare Rebecca e tornare nella terra di Canaan (Genesi 30, 33-41 – un’astuzia che somiglia molto alle favole del contadino furbo e del diavolo).

Poiché questo era un sapere che dava potere e ricchezza (segni evidenti della benedizione di Dio) fu ammantato da una cert’aura di mistero, accessibile solo a certe condizioni. Col patriarcato nasce la regalità (la “nobiltà del sangue” – che è razzismo allo stato puro), le leggi, l’ordinamento sociale, la città, il denaro, l’eredità, la guerra, la supremazia della ragione sulla natura, l’indagine conoscitiva del mondo, la nostra “gran civiltà” ecc. Fino ad oggi 2012! L’insaziabilità (chiamiamola anche ambizione, adrenalina, kick, il degradato spirito competitivo-sportivo che tende solo al “risultato”) si è insinuata in ogni aspetto del vivere umano, compresa la sessualità: «il pudore è un’invenzione dell’amore e della voluttà raffinata; è al velo con cui il pudore copre le beltà femminili, che il mondo deve la maggior parte dei suoi piaceri… In certi angoli dell’America, dove le donne si offrono senza velo agli sguardi degli uomini, i desideri perdono tutto quanto la curiosità vi ha aggiunto di vivezza; in quel paese, la bellezza svilita nel suo richiamo non condivide nulla col bisogno; al contrario, infatti, presso i popoli dove il pudore tende un velo fra i desideri e la nudità, questo velo è il talismano che tiene l’amante inginocchiato davanti alla sua amata; ed è proprio il pudore che affida alle deboli mani della bellezza lo scettro che comanda al potere» (Claude-Adrien Helvetius, De l’esprit (1758), p. 146 dell’edizione Paris, Crapelet, 1818 – opera messa prontamente all’indice).

Continua alla parte 4

Sul pudore – 2


Segue dalla parte 1

Il “frutto proibito” è una invenzione culturale-ideologica allo scopo di giustificare dei limiti.

Da una parte si amplifica la componente di desiderio, dall’altra si è poi costretti a porvi un freno: fa parte di una certa ipocrisia del potere: il bastone e la carota. Gonfiando il desiderio, lo si porta fuori della misura stabilita dalla natura, si diventa suoi schiavi, si ipersessualizza la vita quotidiana: copertine di riviste, pornografia, pubblicità. Ma ecco che arriva il Catechismo  e vieta il sesso al di fuori del matrimonio (anche tra fidanzati: «L’amore umano non ammette la “prova”» § 2391), la masturbazione, ecc. («Tra i peccati gravemente contrari alla castità, vanno citate la masturbazione, la fornicazione, la pornografia e le pratiche omosessuali» § 2396) invitando alla purezza e castità (cioè, all’astensione – così facendo si è come costretti ad accettare il matrimonio: «meglio sposarsi che ardere» san Paolo, 1 Cor. 7, 9).

Se nel paradiso terreste non esisteva il pudore perché non v’era nulla di segreto o misterioso, con il divieto si è innescato un’attenzione smodata, un appetito indotto, concettualizzato, slegato dalla componente biologica (come la porta chiusa della favola di Barbablù). E per di più mai sazio, avido di possesso e consumo. Dico concettualizzato perché lascia libero sfogo alle fantasticherie, ai significati più disparati. Dietro quei vestiti, quelle mutande ci immaginiamo di tutto: e questo non è naturale, non è sano, non fa bene alle relazioni; quel che si nasconde riceve un surplus di attenzione a scapito del rispetto, dei dovuti modi, della reciprocità.

Ma allora è proprio il pudore che crea la malizia! È qui il corto circuito. E l’ipocrisia.

 Il pudore è dunque un quadro di riferimento comportamentale, un modo nel fare le cose. Spudorato è colui che “non ha modi”. Modestia è un buon sinonimo di pudore, a volte anche più intransigente. Deriva dal latino modus “modo, comportamento adeguato” ma anche “limite, misura, (e moggio)”. Di fronte a una esagerazione ancora oggi esclamiamo: est modus in rebus!). Da modus deriva anche moderazione, che abbiamo già incontrato ieri. I fatti devono avere una forma socialmente accettabile, una decenza (vedi art. 726 del codice penale). L’espressione “come si deve” è diventata anche aggettivo: un ragazzo come si deve.

La definizione di amore come “desiderio” è relativamente recente. I Greci davano per il dio Eros due genealogie diverse: la prima e più antica lo diceva figlio di Poros e di Penìa (dell’espediente/ingegno e della povertà/mancanza – cioè come raffigurazione allegorica della capacità dell’uomo di far fronte ai propri bisogni con l’impegno e l’inventiva). Il secondo Eros (raffigurato come monello che si diverte far a innamorare le persone scoccando le sue frecce a suo capriccio) semplicemente significa “desiderio, passione” ed è figlio di Afrodite, la dea dell’amore (in tutte le salse). Nel giudizio di Paride, fu Afrodite a ricevere il pomo della discordia, perché era stata giudicata più bella di Era e di Atena. Racconto biblico e mito greco hanno dei parallelismi.

Per quanto i difensori del pudore lo definiscano “naturale”, si tratta di un’etichettatura di comodo. Il pudore è invece un’invenzione umana, una convenzione sociale, un costume (ironia della parola!) Se fosse naturale, come il sonno, la fame, il respirare, lo proverebbero anche i cani («Miraut si vergognava, perché i cani avvertono la vergogna, sebbene ignorino il pudore» Louis Pergaud, Le roman de Miraut, chien de chasse, p. 129); ci sarebbe un “senso comune del pudore”, non ci sarebbe bisogno di ordinanze di sindaci che vietano di camminare nel centro storico a torso nudo o in costume da bagno. Si invoca l’autorità della natura per confermare opinioni che si sanno per deboli e non difendibili. La nudità è per antonomasia uno stato di natura.

L’istituto del pudore tramite la sua interiorizzazione si è trasformato in senso / sentimento.

Concludo con la frase centrale di un altro libro di Pergaud, La guerra dei bottoni (pubblicato nel 1912) che suona quasi come un manifesto:

«Per non farsi scassare i vestiti, non c’è che un mezzo: non averne. Perciò propongo che ci si batta biotti!»
«Biotti? proprio biotti biotti?!» esclamarono buona parte dei compagni, stupiti  e un po’ spaventati da una prospettiva tanto violenta che offendeva un pochettino il loro senso del pudore.
(Louis Pergaud, La guerra dei bottoni, trad. di Gianni Pilone Colombo. Milano, Rizzoli, 1978, p. 88)

Continua alla parte 3

Sul pudore – 1


Che vi si creda o meno, dalla Bibbia traggono origine convinzioni e comportamenti tuttora ben radicati nella mentalità, negli atteggiamenti e nelle leggi.

Nella Bibbia (Genesi 2, 25) troviamo il primo collegamento fra nudità e vergogna:

«E l’uno e l’altra, Adamo cioè, la sua moglie, erano ignudi; e non ne aveano vergogna.»

È vero, la Genesi è stata scritta a ritroso, quando le cose eran già assodate oppure cercavano una retrodatazione mitica (o divina) per potersi imporre autorevolmente e irrefutabilmente.

Sono del parere che il senso del pudore sia collegato al matrimonio e sia un prodotto del patriarcato. Il matrimonio può essere interpretato come una normativa eugenetica volta sia al mantenimento della coesione sociale che all’identità culturale e somatica di un popolo (“mogli e buoi dei paesi tuoi” – in questo senso può essere inteso come strumento “razziale” finalizzato alla riproduzione e propagazione delle proprie caratteristiche fisiche e culturali, fino ad ottenere la predominanza numerica e la supremazia sui popoli più aperti all’esogamia). A questo servono le norme che regolano la “scelta” della sposa, e in parallelo le sanzioni contro l’adulterio (per lo più della donna), la vedovanza, le consuetudini circa l’allevamento dei figli, la trasmissione della ricchezza (eredità) alla nuova generazione. Non si capirebbe altrimenti come mai il pudore sia focalizzato prevalentemente sugli organi della generazione.

La nostra esperienza di nudisti ci ha mille volte dimostrato che non è l’esposizione del sesso a “provocare” il desiderio. Anzi lo tempera in una misura che riconosciamo per adeguata e giustamente moderata, senza ulteriori implicanze di natura moralistica (è bene fin qui, oltre è peccato), deontologica (obblighi derivanti dall’essere fecondi – da cui certa ostilità al celibato e alle unioni “non procreative”), senza amplificazioni o deviazioni (sex appeal). Le camicie da notte femminili di non troppi decenni fa con l’apertura strategica che permettevano l’atto sessuale senza la visione del corpo nudo della donna, la consuetudine di far l’amore sotto le coperte o a luci spente, possono essere una dimostrazione.

Il concetto di “frutto proibito” (ritorniamo alla Genesi) può essere una “tecnica” per aumentare il desiderio sessuale (dentro e fuori il matrimonio), e per conseguenza attuare il comandamento divino “crescete e moltiplicatevi, riempite la terra”. Così come le varie norme per garantire la “discendenza” di sangue e patrimoniale, usate come modi di aggiramento del rigido vincolo matrimoniale.

Ho cercato invano nel Catechismo della Chiesa Cattolica la parola “pudore” nel capitolo sui peccati contro il 6° comandamento. Non è lì, ma nel commento al 9° comandamento: “Non desiderare la donna d’altri”. Mi pare utile vedere alla fonte la posizione ufficiale della Chiesa:

     2521 La purezza esige il pudore. Esso è una parte integrante della temperanza. Il pudore preserva l’intimità della persona. Consiste nel rifiuto di svelare ciò che deve rimanere nascosto. È ordinato alla castità, di cui esprime la delicatezza. Regola gli sguardi e i gesti in conformità alla dignità delle persone e della loro unione.

     2522 Il pudore custodisce il mistero delle persone e del loro amore. Suggerisce la pazienza e la moderazione nella relazione amorosa; richiede che siano rispettate le condizioni del dono e dell’impegno definitivo dell’uomo e della donna tra loro. Il pudore è modestia. Ispira la scelta dell’abbigliamento. Conserva il silenzio o il riserbo là dove traspare il rischio di una curiosità morbosa. Diventa discrezione.

     2523 Esiste non soltanto un pudore dei sentimenti, ma anche del corpo. Insorge, per esempio, contro l’esposizione del corpo umano in funzione di una curiosità morbosa in certe pubblicità, o contro la sollecitazione di certi mass-media a spingersi troppo in là nella rivelazione di confidenze intime. Il pudore detta un modo di vivere che consente di resistere alle suggestioni della moda e alle pressioni delle ideologie dominanti.

     2524 Le forme che il pudore assume variano da una cultura all’altra. Dovunque, tuttavia, esso appare come il presentimento di una dignità spirituale propria dell’uomo. Nasce con il risveglio della coscienza del soggetto. Insegnare il pudore ai fanciulli e agli adolescenti è risvegliare in essi il rispetto della persona umana.

   2525 La purezza cristiana richiede una purificazione dell’ambiente sociale. Esige dai mezzi di comunicazione sociale un’informazione attenta al rispetto e alla moderazione. La purezza del cuore libera dal diffuso erotismo e tiene lontani dagli spettacoli che favoriscono la curiosità morbosa e l’illusione.

     2526 La cosiddetta permissività dei costumi si basa su una erronea concezione della libertà umana. La libertà, per costruirsi, ha bisogno di lasciarsi educare preliminarmente dalla legge morale. È necessario chiedere ai responsabili dell’educazione di impartire alla gioventù un insegnamento rispettoso della verità, delle qualità del cuore e della dignità morale e spirituale dell’uomo.

     2527 « La Buona Novella di Cristo rinnova continuamente la vita e la cultura dell’uomo decaduto, combatte e rimuove gli errori e i mali derivanti dalla sempre minacciosa seduzione del peccato. Continuamente purifica ed eleva la moralità dei popoli. Con la ricchezza soprannaturale, feconda come dall’interno, fortifica, completa e restaura in Cristo le qualità dello spirito e le doti di ciascun popolo e di ogni età ».

 

In sintesi

     2528 «Chiunque guarda una donna per desiderarla, ha già commesso adulterio con lei nel suo cuore» (Mt 5,28).

     2529 Il nono comandamento mette in guardia dal desiderio smodato o concupiscenza carnale.

     2530 La lotta contro la concupiscenza carnale passa attraverso la purificazione del cuore e la pratica della temperanza.

     2531 La purezza del cuore ci farà vedere Dio: fin d’ora ci consente di vedere ogni cosa secondo Dio.

     2532 La purificazione del cuore esige la preghiera, la pratica della castità, la purezza dell’intenzione e dello sguardo.

     2533 La purezza del cuore richiede il pudore, che è pazienza, modestia e discrezione. Il pudore custodisce l’intimità della persona.

Se leggiamo questi paragrafi con una certa malizia (o spirito critico, come preferiamo) scopriamo che il pudore serve a mantenere un’aura di mistero attorno alle cose che riguardano il sesso e la generazione (il frutto proibito).

Nietzsche [Nietze Source – cercare Scham Furcht  e cliccare sul risultato nr 8: Menschliches Allzumenschliches II: § WS — 69] osservava già nel 1879 in Umano, troppo umano che il senso del pudore esiste ovunque vi sia un mistero, e che in questo caso la “funzione apotropaica” del pudore consiste nell’allontanare la paura dell’oggetto misterioso [ritorneremo sulla relazione fra pudore e paura]. Se vogliamo interpretare “mistero” come rito gestito in esclusiva da una categoria sociale (sacerdoti), cominciamo a comprendere la finalità del pudore.

Antonio Martini, cui si deve la prima traduzione autorizzata della Bibbia in italiano (circa 1780) così commentava il versetto della Genesi: «Vers. 25. Erano ignudi, e non ne avevano vergogna. Non era ancora nell’uomo avvenuto quello strano cangiamento, per ragione del quale la carne desidera contro lo spirito, e lo spirito contro la carne. Nessun contrasto essendovi tra l’uomo interiore e l’esteriore, non eravi onde arrossire della nudità.» I nudisti sono dunque i più vicini alla condizione equilibrata, armoniosa e paradisiaca fra spirito e carne: sono puri di cuore e non vedono in corpo nudo necessariamente il peccato (o un’occasione prossima di peccato). Che sia stato proprio lo steccato, il discrimine di cui parlavo ieri, a creare il disordine?

Come si vede, il pudore ha radici molto profonde e motivazioni che rafforzano l’ordine sociale costituito e dato per scontato. Rifletterci potrà aiutare a sfrondare l’aura di misticismo e di timore (sacro, reverenziale…) che esiste attorno alle cose che riguardano il sesso e la generazione, riducendole a una misura più “umana” e secondo natura (anche “bestiale” o “biologica”), senza ad esempio l’amplificazione drogata di un “desiderio smodato” (v. sopra nr. 2529 – Ma qui le cose cominciano ad andare in corto circuito).

Continua alla parte 2

Ragazzi incontrano nudisti


Il bambino più grande volge ostentatamente le spalle al passaggio di un nudista durante la Newt (Radstadt, 4 luglio 2012); quello più piccolo mostra indifferenza, anzi una certa curiosità e simpatia.

Durante l’ultima Newt (Nacked European Walking Tour) con base al rifugio Aualm (1700 m) sull’altopiano a sud di Radstadt (Austria) in tre occasioni abbiamo incontrato anche bambini e gruppi di ragazzi. Ne ho riportato una sensazione mai provata prima: una sorta di pudore all’inverso. Mi sono chiesto come si devono sentire le parti bannate, bollate per “vergognose” (ah! è solo una nostra etichetta!); perché ne deve portare vergogna tutta la persona? Perché generalizzare? Ma ecco il Santo Vangelo ci ammonisce e conforta (?): «E se il tuo occhio ti è occasione di scandalo, cavalo e gettalo via da te; è meglio per te entrare nella vita con un occhio solo, che avere due occhi ed essere gettato nella Geenna del fuoco.» (Matteo 18, 8)

1) Il 3 luglio verso le undici, eravamo seduti sulla terrazza del rifugio Sudwienerhütte – nudi, col permesso del gestore e la salviettina sulla panca. Mentre beviamo birra e succo di mele arrivano due donne e due bambini (di circa 8 e 11 anni). Ci osservano un poco e poi si siedono all’esterno della recinzione, vicino al cancellino d’ingresso. Dopo un poco, esco per una fotografia ai vitelli che pascolano lì attorno e vedo che i bambini mi volgon le spalle. Terminata la pausa, riprendiamo la nostra gita. Uscendo, vediamo che con gesto ostentato ci girano di nuovo le spalle. Quando finalmente siamo a distanza di sicurezza, entrano nella terrazza del rifugio. Tiro le somme e capisco il loro comportamento.

2) Lo stesso giorno nel pomeriggio, a più riprese incontriamo dei piccoli gruppi di ragazzi (14-18 anni) a volte coi loro assistenti. Molti, appena ci vedono, ci girano le spalle, chinano il capo a terra, le mani riunite davanti – ho l’impressione sia una reazione prevista, eseguita secondo istruzioni. Un gesto che mi fa male: come fossimo degli appestati da evitare persin con lo sguardo. Mi chiedo che cosa gli abbiano messo in testa da determinare questa ripulsa. E dall’altro lato ci siamo noi, liberi e nudi.

3) La foto che vedete è stata scattata esattamente un mese fa lungo crinale che ci avrebbe portato al rifugio Rossbrand. Appena ci ha visti, il più grandicello ci ha girato le spalle, poi è arrivata la madre che gli ha addirittura messo una mano sugli occhi. Per sommo di controsenso, la scritta sulla maglietta del bambino più piccolo dice: it looks good to me!

Noi: gli abominevoli! Una posizione che fa a pugni con quel che sinceramente sentiamo, col percorso che ciascuno ha fatto per giungere a superare il senso indotto del pudore. Se mi chiedo «che cosa c’è di male nella vista di persone nude?» rischio di prendere una deriva morale, dove prevalgono fedi, opinioni, convinzioni personali e rispettabilissime.

Non staremmo tutti più sereni senza questo discrimine? Sì, certo; grazie di avercelo ricordato ☺.

La nostra parte la stiamo facendo, in tutta prudenza, ma con determinazione, rubando ogni piccolo spazio di maggior libertà, a cominciare dal balcone o dal giardino di casa.

Altitudini – Blogger Contest 2012


Ti piace andare in montagna e ti piace scrivere, magari hai anche un blog sul tema! Partecipa al Blogger Contest 2012 promosso dal blog Altitudini, piattaforma per raccontare e discutere di montagna e alpinismo nelle Dolomiti e non solo, potresti vincere dei bellissimi premi o, comunque, far pubblicità al tuo blog.

Tutte le informazioni sul blog di Altitudini, qui ci limitiamo ad evidenziare, cosa importante e interessante in una società di lupi in cui spesso i concorsi sono solo dei paraventi all’impossessamento della proprietà di materiali artistici e letterari, che gli elaborati e le foto allegate resteranno di vostra proprietà, ad Altidudine darete solo il diritto d’uso con citazione del vostro nome…

Estratto dal regolamento

Art. 5 – Diritti d’autore e tutela della privacy

Tutte le opere partecipanti al concorso (testi, foto e video) rimarranno di proprietà dell’autore. Gli autori si impegnano a riconoscere a Le Dolomiti Bellunesi, senza pretendere compensi, i diritti di riproduzione, pubblicazione su libri, cataloghi, siti internet, ecc, e quant’altro ritenuto idoneo alle finalità all’Art. 1, con il solo obbligo di citare l’autore.

Clicca sulla locandina per accedere alla pagina del concorso.

Il logo del Contest

Democratia


Come già avevo scritto in un mio altro articolo, per evidenti motivi la società è stata indotta ad intendere la democrazia in modo totalmente stravolto.

Democrazia non è la remissione di tutte le decisioni, a un piccolo gruppo di persone che governano (democrazia indiretta, ma di fatto una vera e propria oligarchia quando, come succede in questi ultimi lustri in Italia, costoro agiscono in ragione dei solo unici loro interessi e non degli interessi del popolo), e nemmeno alla maggioranza (democrazia di rappresentanza, ma di fatto una oligarchia allargata quando, come succede da tempo ormai, tutto viene rimesso al volere della maggioranza).

Dietro la parola democrazia si nasconde un criterio fondamentale: il rispetto di tutte le opinioni, a patto, ovviamente, che queste non siano materialmente dannose per gli altri, ad esempio è evidente che se qualcuno ritiene giusto rubare in casa d’altri, questo non sia atteggiamento accettabile.

Cosa vuol dire “rispetto di tutte le opinioni”? Vuol dire che, qualora ciò sia possibile, e spesso lo è, ognuno deve potersi vedere riconosciuto il diritto di agire secondo propria scienza e coscienza. Insomma democrazia è quando la maggioranza ha valore solo in quelle decisioni che forzatamente necessitano di un’unica soluzione, ma in ogni altra situazione, che sono le più numerose, ognuno è lasciato libero di agire come vuole e deve avere la possibilità di farlo, foss’anche l’unico a voler agire o pensare in un certo modo.

Un esempio che chiarisce la questione. Prendiamo un condominio, se bisogna decidere come tinteggiarlo è evidente che non lo si possa fare ad arlecchino (sebbene potrebbe essere anche questa una scelta), per cui si userà il colore che piace alla maggioranza dei condomini. Sempre a maggioranza si potrebbe decidere che sui balconi non ci si debbano mettere oggetti deturpanti (mobili marcescenti ad esempio), sebbene poi si tratta di dare un significato preciso alla parola deturpante e qui casca l’asino. Non ha invece nessun senso logico e democratico (salvo non ci sia un accordo comune di tutti i condomini) decidere che su ogni balcone debbano esserci delle margherite, ognuno dev’essere lasciato libero di mettere sul balcone i fiori che vuole, potrebbe anche non volerci mettere dei fiori.

Certo la gestione di una nazione è ben più complesso di quello di un condominio, ma le questioni di principio prescindono dalle questioni di pratica: dato il principio si trova, anzi si deve trovare il modo di applicarlo e rispettarlo, non il contrario (che altro non è se non la rinuncia ai diritti democratici).

Le ricette del “Cuoco Nudo”: insalata secca di tinca


Ingredienti (per 4 persone)

1 tinca da 2kg, 100g di noci sgusciate, 100g di mandorle sgusciate, 100g di pinoli o pistacchi non salati sgusciati, 3 o 4 cucchiaini di zenzero fresco macinato al momento (o in polvere), 1 limone, sale, olio extravergine di oliva

Preparazione

Pulite, lavate e fate asciugare la tinca, se necessario tagliate la testa e la coda.

Prendete una grossa pentola per la cottura al vapore, oppure una pesciera tenendo sollevata la fondo l’apposita griglia mediate due spiedini metallici; sul fondo versate due dita d’acqua e adagiate la tinca sull’apposito piano che la tiene sollevata dall’acqua e coprite con un coperchio. Mettete al fuoco e fate cuocere per circa 30 minuti a fiamma moderata. Poi lasciate raffreddare il pesce senza toglierlo dalla pentola.

Intanto che il pesce si raffredda tritate, non troppo finemente, la frutta secca. Spolpate minuziosamente la tinca, facendo ben attenzione a rimuovere tutte le lischette, specie quelle a Y che sono molto insidiose; non fidatevi del solo tatto, ma osservate con cura i pezzettini di polpa, più li fate piccoli meno rischiate di lasciare lische, ma non esagerate altrimenti poi ne risente il palato alla degustazione.

Versate la polpa del pesce in una larga terrina, aggiungetevi la frutta secca tritata e lo zenzero, mescolate amalgamando per bene il tutto; in una ciottola preparate l’olio amalgamandolo con il sale e il succo di limone; versate l’olio sul pesce mescolando ancora per far si che il condimento vada a insaporire tutto il composto di pesce e frutta secca.

Impiattate formando una bella montagnetta di composto che decorate con una noce al sommo e alcune mandorle ai lati.

Servite a temperatura ambiente accompagnando con vino bianco mosso o spumante brut.

Variante tricolore
Tagliare a metà una ventina di pomodori datterini. Sciacquare e tagliare a pezzetti una ventina di cetrioli sott’aceto. Mescolare il tutto al composto pesce – frutta secca poco prima di servire, o, meglio ancora, portarlo in tavola a parte e lasciare ai commensali di gestire l’aggiunta.

In giardino


Al ritorno dal giro col cane,
sempre mi faccio una doccia in giardino;
come ho fatto anche stamane:
è tempo franco, le sette al mattino:
piccoli fatti, il quotidiano mio pane,
dica che vuole l’occhiuto vicino.

Riprendo appieno il mio spazio privato,
non m’importa del pubblico che mi tiene guardato.
Mi scoppian di dosso i vestiti,
pudori e vergogne come mai esistiti.
Sono nudo e sincero all’acqua ed al sole,
alla brezza m’asciugo, del pudore eversore.
Nulla da fare col sesso, come bimbi siam casti;
puri e innocenti da quando siam nati… e rimasti.
Si gonfia nel petto un inno alla vita ed al mondo,
incrocio le mani dietro la nuca, felice e ritondo.
Mi veda pur anco la gente che passa,
ho la mente disgombra, sbrogliata matassa.
Mi sento docile e buono, come bianco agnellino:
Natura mi ha fatto e vestito, mi sento tornato bambino.
Non velerei le penne d’un’ara, i colori d’un fiore
mi ferisce quell’ingrato cupo grigiore,
ma questo abbiam fatto inventando il pudore.
Un verme superbo ci rode dentro la testa…
Liberi al sole, all’aria, alla pioggia facciamo gran festa.

Sia pur solo una doccia, un’anguria in giardino, un caffè:
mille piccoli gesti a riprender quel che Natura ci diè.

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