Archivio mensile:ottobre 2012
Nuda nudità
Pubblicato da Vittorio Volpi
Così come il vestito contrassegna una determinata appartenenza, un ossequio, un compromesso, una affermazione, un progetto, così la nostra nudità trasmette il grado zero di tutto questo.
È una riappropriazione di noi stessi, della nostra identità personale e relazionale: mai più come prima. È stata un’importante conquista. Pensavo le vesti grucce necessarie per reggerci, ed erano invece la nostra zoppìa. I vestiti sono una truffa, ci scippano forza e sincerità. È la ricevuta che dobbiamo esibire per il dazio pagato al viver “civile”.
Non giungo a dire che la nostra nudità sia la divisa di una nostra ribellione. Preferisco considerarla un biglietto di visita di quel che semplicemente noi siamo, di come ci vediamo e viviamo. Non temiamo le Sirene dei facili accomodamenti, non combattiamo accidie e pecoraggine. Già sono tanti i nuovi Catoni, Soloni che della vita han tutto capito. Non ci ostentiamo migliori. La nudità ci vale soprattutto per noi. Ci è necessaria: per l’immagine che di noi ci ritorna, per la sostanza che di noi all’esterno significa. Non siamo nudi per sentirci o mostrarci diversi, ma perché riusciamo a sentirci più umani.
Ameremmo di più non chiamarci nemmeno nudisti; che il portare o non portare vestiti non fosse una scelta di campo, una trincea, una bandiera. Che l’essere nudi non fosse più un simbolo e non avesse altro significato che una neutra descrizione oggettiva che non turba nessuno.
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Pubblicato su Atteggiamenti sociali
Tag: Abbigliamento e identità, convenzioni sociali, nudismo in società
Mutande di cellophane
Pubblicato da Vittorio Volpi
Di solito ci teniamo al nostro “apparire”: ne va della nostra accettazione sociale.
Abbiamo superato i pudori con noi stessi, i pudori fra noi, e tutto va bene.
Rimane, mi pare, una piccola sacca irriducibile, un piccolo villaggio gallico. Al contrario dell’eroica resistenza di Asterix, esso fa da quinta colonna a tutti i nostri sforzi per sbarazzarci di inutili condizionamenti, da costumi che abbiamo ormai lasciato alle spalle. Ci rimangono addosso, infiltrati, nascosti dei falsi pudori che vanificano tutti i nostri sforzi.
1) A parte motivazioni giustificabilissime (evitare noie con la Legge), mi sembra un po’ eccessivo il nostro cosiddetto “rispetto” per gli altri, che ci fa rivestire quando li incontriamo, nel senso che rinunciamo un po’ a noi. Diventa quasi un alibi per mascherare una certa nostra insufficienza di motivazione, una timidezza, una insicurezza.
La maschera, proprio perché innaturale, viene subito notata e facciamo nascere negli altri interrogativi che riguardano più la maschera che il nostro essere nudi. E questi interrogativi neutralizzano tutti i nostri sforzi, il nostro “coraggio” (tra virgolette, perché mi sembra proprio questa la maschera, nel senso che dovremmo vivere la nostra pratica nudista con maggior naturalezza, indifferenza, spontaneità, senza timori, preoccupazioni, presupposizioni e mille altre cose implicite). Come dovessimo conquistare il consenso degli altri, o almeno la tolleranza. Dietro il “rispetto” nascondiamo nostre irriducibili paure. E finché reggono, consapevoli o meno, portiamo acqua al mulino di chi ce le impone, siamo noi stessi la quinta colonna del costume che vogliamo combattere.
2) Un secondo falso pudore riguarda il sesso. Mettiamo le mani avanti a rassicurare sulla nostra verginità, che il nudismo è pratica oltremodo pudica. Per primi, pur negandola, ammettiamo come plausibile l’equazione nudismo = sesso.
In letteratura esiste una figura retorica analoga, la litòte: una doppia negazione (non + un’espressione di senso contrario); si usa per attenuare il significato di una formulazione ritenuta troppo diretta, per ironia, eufemismo o enfasi. Un esempio famoso:
«Scendeva dalla soglia d’uno di quegli usci, e veniva verso il convoglio, una donna, il cui aspetto annunciava una giovinezza avanzata, ma non trascorsa; e vi traspariva una bellezza velata e offuscata, ma non guasta, da una gran passione, e da un languor mortale» (Manzoni, I promessi sposi cap. 34).
Il fatto è che il significato negato passa egualmente, è quasi l’anticipazione di un inevitabile sviluppo; sviluppo cui forse nemmeno si pensava, e incanala le nostre aspettative (la bellezza della madre di Cecilia poteva anche evolversi diversamente e non divenir proprio “guasta”). Se ci preoccupiamo tanto che gli “altri” pensino che noi siamo nudi per fini lubrici, libidinosi, edonistici tradiamo il nostro timore che lo pensino davvero. Realisticamente può essere vero, sottolinearlo ci porta ad essere più realisti del re. Se abbiamo timore di qualcosa, trasmettiamo anche che effettivamente abbiamo qualcosa da nascondere, e vi attireremo l’attenzione. Proprio i punti che maggiormente vogliamo difendere svelano i nostri punti deboli. Non possiamo impedire agli altri di pensare, possiamo però astenerci dal dar loro l’imbeccata, guidare la mira al colpo efficace (e poi piangerci addosso).
Non ho approfondito questa tematica, a lume di naso è molto probabile che siamo approdati al nudismo per un qualche motivo che riguarda anche il sesso, la nostra visione, il nostro comportamento e la libertà sessuale. Proprio negandolo, diamo nelle mani dei nostri detrattori un’arma per colpirci sul buono. Il colmo è che noi che cerchiamo di smantellare una costruzione ideologica come il pudore, ne creiamo uno, nuovo e falso; e da autolesionisti, facciamo il gioco di chi ci dà contro.
Usando un’immagine, si può dire che abbiamo mutande di cellophane, cosparse del miele della buona fede, del buonismo più incontaminato, delle buone intenzioni più immacolate: inevitabile poi che vi attiriamo formiche e mosconi. Ci mostriamo più “buoni” di quel che in realtà sappiamo di essere, adottando criteri morali che non ci appartengono e che però difendiamo: la maschera ci si è incarnata sul volto.
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Pubblicato su Atteggiamenti sociali
Il valore del tempo
Pubblicato da Emanuele Cinelli
Un vecchio detto recita che “il tempo è denaro”, verissimo, ma il tempo è anche qualcosa da gustare lentamente, il tempo, soprattutto, è qualcosa contro cui non possiamo metterci in competizione, entreremmo solo in un vortice infinito che ci porterebbe ad una continua accelerazione arrestabile solo dall’esaurimento totale. Contro il tempo non possiamo vincere, possiamo solo imparare a rispettarlo e per rispettarlo dobbiamo imparare a… prenderci tempo!
Potrò sembrare un paradosso, ma per non farci scappare il tempo, per non perdere tempo l’unica soluzione possibile è quella di andare con calma: più andiamo di fretta, più sprechiamo tempo perché non possiamo pensare, non possiamo imparare, non possiamo capire, non possiamo valutare, possiamo solo correre, correre e correre.
Smettiamola con la fretta, smettiamola con il farci fretta e, soprattutto, smettiamola con il fare fretta agli altri, atteggiamento, quest’ultimo, che oserei definire criminale, visto che, di fatto, porta le persone verso la malattia, verso l’esaurimento, verso il suicidio; malattie, esaurimenti, suicidi provocati e che quindi ricadono sulla responsabilità di chi li ha ingenerati, ossia colui che ha richiesto fretta, costretto alla fretta.
E rifiutiamo gli strumenti della fretta…
I cellulari accendiamoli solo quando sono realmente e strettamente necessari, nello specifico dovrebbero stare rigorosamente spenti quando si è a pranzo, quando si dorme, quando ci si riposa, quando ci si rilassa, quando si sta facendo sesso, quando si è in vacanza, quando si guida e via dicendo.
Quando vogliamo telefonare a qualcuno prima di farlo chiediamoci se possiamo disturbare, se l’orario è consono, se a quell’ora l’altro potrebbe essere a pranzo, a dormire, a fare sesso; se stiamo chiamando un cellulare verifichiamo la disponibilità dell’interlocutore attraverso un sms; salvo situazioni di vera ed estrema urgenza diamo la preferenza a comunicazioni effettuate attraverso strumenti meno invasivi, quali gli sms e la posta elettronica.
Rispettiamo i limiti di velocità, anche quelli più assurdi, arriviamo comunque a destinazione, al limite si tratta solo di partire qualche minuto prima. Non ci crederete ma vi posso assicurare che con questa regola in un paio d’anni vi dimenticherete della fretta ed entrerete in uno stato mentale e fisico di rilassatezza, vedrete le cose in modo diverso: meno arrabbiature, meno stress, meno disordine, più meditazione, più tranquillità, più concentrazione, maggiore capacità di risoluzione, maggiore orientamento al risultato.
Ribelliamoci alla fretta, ribelliamoci a chi ci mette fretta, la fretta è nemica del bene, la fretta è nemica dell’ordine, la fretta è nemica della qualità, la fretta è nemica della salute.
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Vedersi nudi
Pubblicato da Vittorio Volpi
I vestiti sono un’interfaccia culturale dall’individuo verso la società e viceversa. In varia percentuale il cursore si sposta talvolta di più verso le richieste esterne, talaltra verso quel che noi vogliamo comunicare di noi all’esterno, con un’escursione da un massimo di personalizzazione (casual, carnevale) a un massimo di formalismo (papillon, divise). In quanto strumento di comunicazione sociale, anche l’abbigliamento può esser considerato un mass-media. Conseguentemente è fuori dalla massa chi non vuole comunicare (cioè il nudista), perde dignità sociale, non risulta fra i firmatari del “contratto”. Naturalmente entrano in gioco mediazioni e compromessi a non finire, imposizioni e cedimenti quasi quotidiani, in precario equilibrio fra costrizioni esterne e affermazione di sé.
Via via che ci spogliamo a carciofo, più si contrae l’area socializzabile. Fino al punto zero: la nudità, per nulla socializzabile, se non con il partner o in situazioni goliardiche.
Via via che ci spogliamo cambia la percezione che abbiamo di noi. La “presentabilità” del nostro corpo influenza grandemente l’idea che abbiamo di noi e persino della nostra identità. Non parlo della presentabilità estetica, soggetta a canoni esterni, ma della tranquilla sicurezza con cui accettiamo di avere e di vivere il corpo che abbiamo. Basta che dormiamo nudi una notte per capire quanto la biancheria sia diventata parte di noi (col pretesto dell’igiene).
Il nudismo è dirompente in quanto porta a interrogarci su usi e costumi inveterati, dati come indiscussi e immutabili. Basta un timido allenamento fra le mura di casa per cambiarci prospettive e percezioni. Giungendo a capire quanto l’abitudine al bianco cotone abbia frapposto una cortina fra noi e il nostro stesso corpo.
Ricucire questa separazione è stata una tappa importante di riequilibrio, di “centratura”. Ed ora il vedermi in mutande e maglietta mi fa un effetto diverso, lo accetto coscientemente solo come convenzione, come scotto da pagare per vivre in società (chi lo abbia stabilito o imposto non si sa, e non si sa se sia modificabile e quanto, con chi si debba negoziare, se sia un semplice fatto di costume oppure risponda a precise necessità). Ricordando però di come sentivo quei capi incarnati su me, quasi fossero pelle, non posso non avvertire ora un che di disagio, un baricentro spostato.
Accettarsi nudi e sinceri è una grande conquista, una ri-conquista di sé. Sarà pure una conquista del tutto privata, ma cominciamo da qui. Cominciamo col far pulizia da un retaggio che con l’abitudine ha perso ogni evidenza di senso, da un costume che sottrae a noi stessi una parte di noi per darla ingestione ad altre “agenzie”: la mano di altri, la longa manus di un potere che giunge ad imporsi fin nel nostro più intimo e la nostra intangibile identità in quanto corpi e persone.
Ogni minuto, ogni ora che passiamo da nudi è un terreno riconquistato, l’affermazione della nostra presenza, senza sgomitare con altri, perché non è una gara, una competizione. Terreno che riconquistiamo anche dentro di noi: e conseguentemente cambia anche il nostro pórci verso gli altri. Giorno per giorno diveniamo più sicuri di noi: non abbiamo più parti del corpo misteriosamente segrete, in ossequio a un sedicente ordine superiore. E sappiamo di esser nel giusto, perché per natura siam nudi. Siam nudi sempre. E ce lo siamo dimenticati, abbagliati dal bianco più bianco.
E siamo contenti perché sollevati da un oscuro timore, da severe minacce, da una fosca paura mai affrontata, da sensi di colpa che ci portiamo sin da piccoli.
Ora invece ci sentiamo in asse con la natura e con noi stessi. Ci siam liberati di una costrizione cui avevamo fatto talmente l’abitudine, da nemmeno saper più di portarcela in groppa, da non vederla nemmeno.
Il prossimo passo ci vedrà nudi con altri.
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Pubblicato su Atteggiamenti sociali
Tag: abbigliamento, naturalezza del corpo nudo, Nudi in casa
Seduzione vs. nudismo
Pubblicato da Vittorio Volpi
L’eros ha valenze positive che risvegliano il senso di vitalità, di salute, di bellezza, di autostima, di realizzazione di sé. Molti atteggiamenti quotidiani, pur senza richiamarla esplicitamente, fanno riferimento alla pulsione sessuale sia in forma diretta (seduzione), sia come catalizzatore di reazioni che si vogliono creare, risposte che si voglion suscitare o scelte che si vogliono indirizzare (pubblicità, copertine di giornali…). Da una parte si assiste a una sempre maggiore erotizzazione mediatica, mentre nella vita concreta (dicon taluni che han voce in capitolo) “crea ancora turbamento” la visione del corpo nudo, anche in contesti quotidiani che nulla hanno a che fare con il “soddisfacimento della libido” (escursioni, balneazione, giardinaggio, elioterapia, ciclismo, equitazione, attività sportive…)
Una sciarpa di seta screziata di bagliori dorati,
il ritmo dei tacchi che secchi scandiscono i passi,
l’incedere altero e felino che cattura i corpi e le menti,
lo sguardo in avanti, sicuro, superbo e sprezzante,
entra la vamp, divina e fatale, precisa e solenne.
Le primordiali arti di Eva funzionano ancora:
mill’anni e siamo ancora tontolotti ed inermi.
ci basta un laccetto, un pizzo, una frangia, un monile.
Apposta lo fanno, maliarde, ché san d’ottenere.
Le “grazie” non son regalate, ci costano un “occhio”.
Adrenalina e libido: fantastichiamo beati ed oppiati.
E sì che nulla di nudo quella donna mostrava:
in società si deve giocare, ammiccare, abbagliare;
ciliegine e martini, fragole e labbra, qualcosa di rosso:
la muleta della seduzione e, tori, raspiamo col piede l’arena.
Tutto a posto, tutto quadra, tutto legale.
Un monumento a Giano bifronte, alla doppia morale.
Ciò che sia meglio è evidente, il deteriore è pur sempre vincente.
Il nudo è osceno, ma non vendi senza un bel seno.
I bambini…. guai! Barbie e cow-boy – non si sa mai!
E me che son semplice e nudo, parlan quasi di mettermi al muro.
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Pubblicato su Atteggiamenti sociali, Poesia, Società
Poesie di gioventù: San Valentino
Pubblicato da Emanuele Cinelli
Maria,
in questo particolare giorno,
in questo felice momento,
io dico “Ti amo”!
Tre volte lo dico,
tre volte
le mie labbra questa parola
pronuncian,
tre volte.
Tre perché tre è il numero eletto,
tre perché tre è il nostro fattore comune.
Mentre scrivo guardo la tua foto,
la guardo e m’ispira,
mi suggerisce parole d’amore,
mi mormora pensieri di lode.
Tu vedermi non puoi,
i miei occhi piangon di gioia,
son lacrime dolci,
lacrime felici.
Scrivo una promessa d’amore,
d’amore eterno,
come eterna è la terra,
come eterno è il sole,
come eterno è l’amore.
Io t’amo,
t’amo immensamente,
il cuore quando lontana tu sei mi piange,
ma ride quando a me tu sei vicina.
La Fiducia protegge il nostro amore,
amore nuovo,
amore sentito,
un amore iniziato con l’anno,
un amore per questo fortunato.
Piango, gioisco,
son triste, son felice,
tutto insieme.
Milioni di passioni ardon nel mio cuore,
tutte insieme,
tutte con un unico sfondo,
tutte con un unico legame,
tutte per te,
Maria!
T’amo, t’amo, t’amo!
Emanuele Cinelli – 15 febbraio 1974
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Escursionismo nudista: istruzioni per l’uso
Pubblicato da Emanuele Cinelli
Uno degli aspetti cardine ed essenziali, quasi un suo sinonimo, del nudismo è la libertà; nudismo, quindi, è idea che si scontra con ogni forma di pratica vincolata a spazi che, per quanto grandi possano essere, risultano pur sempre limitati. Ecco che il muoversi in piena libertà sul territorio, come per l’appunto avviene nell’escursionismo, si sposa benissimo con il concetto vero e proprio di nudismo.
Uno degli aspetti cardine ed essenziali, quasi un suo sinonimo, del naturismo è il contatto con la natura; naturismo, quindi, è idea che si scontra ogni forma di pratica vincolata a spazi che, per quanto aperti possano essere, risultano pur sempre artificiosi se non addirittura artificiali. Ecco che il praticare liberamente immersi nella natura, come per l’appunto avviene nell’escursionismo, si sposa benissimo con il concetto vero e proprio di naturismo.
L’escursionismo nudista è pertanto una delle poche forme veramente rappresentative sia del nudismo che del naturismo; ma come si organizza e si conduce un’escursione nudista?
Innanzitutto dobbiamo premettere un breve discorso giuridico.
In Italia il nudismo non è di fatto illegale, infatti in nessuna parte della legge italiana si parla espressamente di nudo. Questo, però, non vuol dire che in Italia si possa circolare nudi dove pare e piace, anzi non vuol nemmeno dire che si può circolare nudi, perché? Perché, inusualmente e arbitrariamente, seppure così sia per altri aspetti sociali, per il nudo non è del tutto vero che quanto non sia espressamente vietato sia da considerarsi autorizzato, spetta ai giudici valutare la situazione e definire se esiste il presupposto per una violazione all’articolo 726 del Codice Penale (“Atti contrari alla pubblica decenza”) e in Italia per molti anni i giudici si sono uniformati ad una incomprensibile (storicamente nella stragrande maggioranza dei tempi e delle culture il nudo era considerato normale) convenzione sociale che ritiene il nudo come atto indecente. E’ vero che, negli ultimi anni, si è rilevata, sia da parte delle persone che da quella dei Giudici, una forte tendenza a non seguire più questa convenzione, ma la struttura giuridica italiana non è chiara e immediata: i giudizi non fanno legge e i giudici possono liberamente decidere di volta in volta cosa sentenziare, anche contraddicendosi non solo tra colleghi, ma con loro stessi. Così, sebbene la tendenza degli ultimi dieci anni sia stata quella di sentenziare a favore del nudista, non si può con questo sentirsi del tutto tranquilli, anche perché gli ermellini della Cassazione hanno recentemente (2012) fatto un passo indietro rispetto ad una loro precedente (2000) espressione, affermando che il nudismo è ammissibile solo ed esclusivamente all’interno di strutture chiuse appositamente dedicate alla pratica nudista (in precedenza avevano ammesso anche ogni situazione di parziale isolamento, pur senza essere in zone recintate).
Alla luce di quanto sopra, premettendo che sussistono ancora poche valutazioni per basarsi su di una statistica affidabile, andiamo a scrivere alcune regole che, idealmente e presumibilmente, dovrebbero permettere di organizzare e realizzare delle escursioni nudiste con un poco di tranquillità.
Dobbiamo differenziare due situazioni specifiche: escursionista solitario o piccolo gruppo di escursionisti (da due a cinque persone), gruppo numeroso (oltre i cinque).
Indicazioni comuni ad ognuna delle due situazioni
1) Scegliere itinerari poco o nulla frequentati, meglio ancora vecchi sentieri abbandonati se non addirittura terreno vergine lontano da ogni percorso segnalato
2) Per facilitarsi il rispetto della prima regola, scegliere zone che si conoscono abbastanza bene o fare delle perlustrazioni in forma tessile
3) Nel limite del possibile evitare gli itinerari con frequenti passaggi vicino a villaggi, case, capanni di caccia, malghe attive e rifugi
4) Portarsi al seguito dei pantaloncini corti o comunque dei pantaloni che siano rapidamente e facilmente indossabili senza doversi togliere le calzature
5) In aggiunta ai pantaloni di cui sopra, portarsi appresso un corto pareo che si terrà infilato nella cintura ventrale dello zaino: all’occorrenza basterà spostare il pareo aprendolo per coprirsi i genitali; per le donne ritengo non problematica l’esposizione delle mammelle, d’altra parte è anche più complesso trovare un modo rapido per coprirle solo all’occorrenza
6) In caso non si faccia a tempo a coprirsi (sui sentieri di montagna non è sempre facile percepire a distanza l’arrivo di altre persone) continuare come se nulla fosse e salutare cordialmente, è quasi certo che gli altri escursionisti si comporteranno allo stesso modo
7) Farsi conoscere dalla gente del posto (malghesi, rifugisti, operatori turistici in genere) ovviamente avvicinandoli da vestiti e, alla prima occasione buona (non forzare il discorso a tutti i costi, ma attendere l’occasione giusta che quasi certamente si presenterà nel giro di pochi incontri e poche ore di chiacchiere), parlare loro di nudismo e far capire che si è nudisti
8) Usufruire dei servizi turistici della zona (bar, rifugi, eccetera) in modo da far comprendere ed evidenziare che i nudisti e il nudismo possono essere una valida risorsa economica
Indicazioni specifiche per il gruppo numeroso
1) Non ritornare sullo stesso percorso ogni poco tempo
2) Possibilmente evitare anche di ritornare frequentemente nella stessa zona, quantomeno finché non si riesce a percepire, attraverso l’attività indicata ai punti 7 e 8, che la propria nuda presenza non crea fastidio
3) Incontrando in modo improvviso altri gruppi o singoli escursionisti, per un gruppo numeroso la vestizione rapida non solo potrebbe risultare complicata, ma potrebbe anche trasmettere un messaggio negativo, molto meglio quindi continuare come se nulla fosse, salutare e, magari, scambiare anche qualche parola, invitando a sperimentare la liberazione dalle vesti
4) Nel limite del possibile formare gruppi misti, cioè gruppi dove ci siano persone nude e persone vestite, uomini e donne, adulti, ragazzi e bambini; nel caso di incontri con altri gruppi di escursionisti un gruppo così composto non solo crea minore impatto, ma potrebbe anche risultare convincente e coinvolgente.
Buone escursioni!
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Pubblicato su Atteggiamenti sociali
Cani al guinzaglio
Pubblicato da Vittorio Volpi
Che hai da nascondere, che ti spaventa spogliarti?
Che hai da tenere nascosto, che hai che temi vedere?
Temi d’infrangere una legge santa nei secoli? Temi il bastone?
Apri il tuo petto col bisturi e fatti autopsia,
scopri cos’è quel mostriciattolo che ti fa tanto ribrezzo,
quel ragno nero e peloso, Scilla che latra con tre file di denti,
l’àschero che paralizza le membra come guardando in abisso.
Ti vergogni come di una malformazione?
Come fossimo affetti da poliomielite congenita?
Senza tutori di tela non potremmo camminare lo stesso?
Una mente malata ci fa creder d’esser tutti ad un modo malati.
Un re menomato vuole i suoi sudditi menomati del pari.
Invece son nudo: né bello, né brutto, solo qual sono.
Butto il tutore e i muscoli riprendon da soli e forza e volume.
Credevo d’essere un povero storpio e cammino normale.
Mi sono miracolato da me, mi alzo dal lettuccio e cammino.
Ho avuto fede, ho varcato l’abisso, sono rivivo.
Meglio rischiare questo passo nel vuoto
che sempre ogn’attimo temere di mettere in fallo il mio piede.
Tutorati, monitorati, avviati, assistiti, informati, cautelati,
purché non azzardiamo un passo che è nostro!
Nostro fin d’ab ovo, “che di natura è frutto ogni nostra vaghezza”.
Nemmeno so più che cosa e perché mi debba qualcosa nascondere,
da chi… tanto mi credo sia questa l’umana natura.
Ed è questo l’imbroglio, il cappio che ci toglie il respiro,
il guinzaglio con cui siam portati a passeggio,
la catena, la ciotola quotidiana e la cuccia in giardino,
ché ci facciamo la guardia perfino da noi.
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Pubblicato su Atteggiamenti sociali, Poesia
Se c’è un dio…
Pubblicato da Vittorio Volpi
Perché, anche nelle espressioni più pure e più alte di me
ci deve essere un pezzo di stoffa a coprirmi l’ultimo miglio,
sequestrato per forza maggiore, da un settimo arcano sigillo,
un piatto di lenticchie per sentirmi anch’io primogenito,
picciriddu poi sempre; pizzo dovuto a un dio mafioso.
Esco in balcone alle prime luci dell’alba,
la terra è un trionfo: luce, rugiada, aurora rosata;
il mezzo del dì, col sole allo zenit, offro al sole i primi fusilli;
esco col cane al giuncheto, c’inoltriam fra le canne,
come un persico mi fendo liscio nell’acqua del lago;
e viene la notte e scivolo nudo nella corrente dei sogni.
Siam fatti per essere nudi e non per coprirci di un biiip.
Al diavolo toghe, perizomi, camicie, giacche e cravatte,
in omaggio a un dio effimero e vano: anche Lui veste Prada?
Fin che vivo, son fatto di carne, di ossa, di grasso, di pelle.
Gran meraviglia: e tutto che vive, mi commuove il pensiero.
No! Non umiliarmi con un paio di braghette di tela.
Non ti piace il rosa dei fiori di pesco, l’oro di un campo di grano?
Via! All’aria straccetti che condannano ai Piombi il fior della vita.
Preferisco grufolar nella mota, che vestir tue candide bende.
Se c’è un dio, è nella brezza che mi accarezza la pelle,
nel respiro profondo della brezza il mattino,
nel sole che mi scotta il meriggio, nel fresco di un bagno,
nel tepor delle coltri la notte, che mi concilia col tutto e con me.
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Pubblicato su Atteggiamenti sociali, Poesia
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