Archivio mensile:luglio 2014
Raduno Nazionale de iNudisti 2014: il video
Dopo la prima esaltante esperienza dello scorso anno e l’interesse che la stessa ha poi suscitato nei nostri più o meno affezionati lettori e amici, anche quest’anno durante il nostro Raduno Nazionale un cineoperatore si è adoperato, nonostante le difficoltà aggiuntive determinata dal cattivo tempo, al fine di produrre il filmato del raduno.
Molte le ore di ripresa, ma ancor di più tante le ore di post produzione al fine di ottenere un lavoro sempre più professionale. La presenza al raduno di un complesso musicale e l’amicizia che con lo stesso si è così instaurata, ha portato ad una colonna sonora speciale, realizzata dallo stesso complesso.
Nasce così, dall’ingegno cinematografico di Giuseppe Maccioni e da quello musicale dei “The Sbaiztles”, il filmato che veniamo a proporvi dal significativo titolo di…
“iNudistTles – perché il mio sole sono i miei amici”
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Divagando – Come tra i granelli
(Loro mi sorridono, come perline che vivono l’ilarità col riflesso della luce del sole…)
Giorni d’agosto e per l’esattezza sono trentuno. Pillole d’immenso tra le dune di miei ed altri piedi smossi in profondità. Uno scavo da sovrappeso rispetto al passaggio sul molle. Sembra che l’impronta lasciata sia più voluta dai granelli di sabbia che dallo stesso piede.
Loro sono così, si spostano nell’incredibile umiltà che ti vogliono vendere ed in quella sapiente ed arzigogolata fantasia che li possiede ti rendono la faccia e non il viso. Feticisti, adorano l’orma come segnale di passaggio, un prevaricamento della terra solo loro, in cui gli è permesso tutto perfino di essere proprietari a miliardi e nello stesso momento pure gli unici.
Io ci ho camminato sulle sabbie. In questi giorni e pure nei precedenti, negli annali scorsi e mai mi ero posto il problema dell’intrusione. Oggi mi sono svegliato così e così scrivo il mio pensiero. Come tra i granelli mi muovo e come tra essi, scegliendo dove poggiare, smuovo i soliti e pure quelli più distanti, come un elastico che, pur tirandone una sola parte, ne stiri tutta l’anima. Incredibile! Loro mi sorridono, come perline che vivono l’ilarità col riflesso della luce del sole che, giorno dopo giorno, ora dopo ora, li arrostisce, creandogli quelle sfumature colorite di crema, nocciola a tratti becco d’oca variegato al fiordilatte e gelaterie infinite. Mi fermo in un punto tra loro ed il mare che continua a piangere ed a mormorare quanta inquietudine lo attraversi onda dopo onda e mi genufletto perché ho qualcosa da dire. Da scrivere. Perché anche lì, non mi smentisco e divento intimo così, come per dire (dicendo e facendo) con l’indice puntato… “Ho vissuto più di una vita in te e con te. Ti ringrazio di essere anche oggi il mio foglio che più spesso mi mancherà.
E’ tempo di vacanze tutti partono e tutti ritornano appresso a te, non ti vogliono dimenticare perché una bella donna che ti ha fatto soffrire ti ha fatto pure vivere e non si dimentica mai. Quanta terra bagnata sei, lì alla riva del tuo sorriso terso. Quanta voglia di cancellare le impronte di gabbiano, le orme da refrigerio, i segni del destino chessò… di un tronco alla deriva, di una bottiglia maldestra che torna e ritorna, quasi conoscesse la fida strada da cui era arrivata, magari attenta ad essere raccolta e riportata al largo per poi tornare ancora ed ancora, per sempre, come per sempre tu sarai tale, pieno della vita che non t’appartiene ma mai così vissuta.
Noi ci danniamo, soprattutto io, credendoti arrivabile che d’estate, ma tu, clessidra mia infinita, tu mi ricordi quanto io sia la parte infinitesimale del granello che ti dà sembianza, forma e prospetto adulativo…”
Per sempre… shhhhhh… shhhhh!!! Io rosa nello strepitoso mutismo dei miei petali.
Simone Belloni Pasquinelli
Le ricette del “Cuoco Nudo”: “Mi sono superato”
Trattandosi di un piatto unico (primo e secondo insieme), questa ricetta utilizza dosi abbondanti.
Ingredienti (per quattro persone)
500g di spaghetti, 400g di polpa di persico reale (potete ricavarla da 600g di filetti di persico reale o da 1kg di pesce intero), 25 pomodori Ciliegino, 1 cipolla rossa, 6 spicchi d’aglio, 20g di zenzero fresco, 1 bicchiere di birra bionda, il succo di 2 limoni, 5 cucchiai d’olio di oliva extravergine, un pizzico di sale.
Preparazione
Tritare abbastanza finemente la polpa di pesce. Mondare, lavare e tritare grossolanamente l’aglio (dal quale avrete tolto l’eventuale germoglio centrale) e la cipolla.
In un tegame bello largo (dovrà contenere alla fine gli spaghetti) versate l’olio e mettetelo al fuoco. Quando l’olio inizia a fumare versate l’aglio e fatelo imbiondire leggermente. Aggiungete la cipolla e, mescolando continuamente, lasciatela appassire. Ora aggiungete la polpa del persico e, agitando la pentola frequentemente, fatela cuocere finché diventa bianca. Aggiungete i pomodorini tagliati in due adagiandoli sul loro lato interno. Agitando delicatamente lasciate cuocere 4 minuti poi, in tre volte, bagnate con la birra lasciandola ogni volta assorbire quasi completamente. Nel frattempo avrete tagliato e tritato grossolanamente lo zenzero necessario (fatelo proprio all’ultimo momento al fine di mantenere il più possibile integro il profumo e il sapore della radice), aggiungetelo al sugo, versateci sopra il succo di limone, mescolate delicatamente il tutto, cospargete con pochissimo sale, spegnete la fiamma, coprite il tegame con un largo coperchio e lasciate riposare per un’ora.
Passata l’ora, mettete al fuoco la pentola per la pasta con un litro d’acqua. Portate ad ebollizione, salate leggermente, lasciate riprendere il bollore e versate gli spaghetti spezzati in due. Mescolate immediatamente e, mescolando ogni tanto, fate cuocere tenendola bene al dente (un minuto in meno della cottura indicata sulla confezione).
Subito dopo aver versato la pasta rimettete al fuoco il tegame con il sugo. Ripreso il calore (l’olio del fondo di cottura inizia a sfrigolare) abbassate la fiamma e aggiungete un primo mescolino di acqua di cottura della pasta, mescolate delicatamente e continuate ad aggiungere acqua della pasta man mano che la stessa si asciuga.
Quando la pasta è pronta, aggiungete al sugo un ultimo mescolino d’acqua di cottura e scolate per bene la pasta. Ora versatela nel tegame del sugo e, mescolando continuamente e delicatamente, lasciate cuocere ancora un paio di minuti, poi impiattate.
Servire ben caldo accompagnando con birra bionda.
Tiepida alba d’un giorno di luglio
L’aria mi avvolge, nudo, di fresco, il sole m’indora di luce la pelle.
Calpesto trifogli con fiori color di vinaccia, morbidi sotto le piante.
È l’alba da poco: son vivo con mille altri vivi: assorbo tutto che vedo.
Non penso, non mi vengono altri pensieri, saziato di luce e di verde.
Leprotti fuggono a scatti al mio arrivo, astuti e timidoni, vispi, festosi.
Non c’è anima viva, né io mi sento d’aver anima d’uomo, un di più,
ma sol di vivente, com’è viva la brezza, la luce sulla pelle che sente.
Il vivo del verde mi attraversa, come fossi una nube di gas o vapore.
Si coloran di verde-trifoglio l’ossa e le carni, a stento allo sguardo parventi,
sbiadiscon del lor rosso le cellule, le ossa da bianche si fan trasparenti.
La nitidezza smagliante dei pampini, l’abbaglio dei profili di contro del sole
– riuscirei a contare i fili nell’erba – mi occupano tutti i pensieri.
Ad ogni passo ogni atomo è nuovo; e lo stesso lo vedo anche in me.
Son vario come i mille nomi di erbe, di fiori, d’arbusti che fan ciglio alle Polle.
Svettano i pioppi, i tigli, gli olmi; ascolto il vago stormir delle fronde,
lo stesso soffiare mi trapassa nel petto, odo frammenti di racconti lontani.
Ritorno alla mia consistenza, in mano tengo le mie carabattole, il cane lo vedo.
Son solo a metà del mio giro, dalle piante mi risale ai polpacci il massaggio dei passi.
L’intorno è reale, più di quanto lo veda: a vicenda – diresti – saggiamo chi siamo.
Sfondo ogni istante un soffio di brezza, nuova luce mi scivola sulla pelle, veloce,
come l’onda che liscia accarezza, avvolge, sfugge passando un suo sasso.
Un tepore mi riverbera fuori dal corpo: tiepida alba d’un giorno di luglio.
Son solo, ma mille altri viventi m’attorniano, ognuno in quiete si vive.
Gli ultimi passi prima della bianca carrareccia, vi passan sovente bici e trattori,
ma non di primo mattino, quando ancora vediamo con gli occhi del sogno.
Orgogliosamente Nudi 2014: relazione del soggiorno al Rifugio Prandini

Foto di Emanuele Cinelli
Pendulo, cotonoso, bianco, il piccolo batuffolo si confonde con gli altri mille suoi simili formando una sfilacciosa, informe, discontinua massa bianca che si staglia nel verde intenso dell’acquitrinoso prato da torbiera. Grigie e dure placche rocciose dolcemente o imperiosamente dal prato s’innalzano perdendosi nell’azzurro intenso del cielo terso. Lontano, sopra balconate rocciose solcate da bianche lingue di candita neve, svetta solitaria una nera rocciosa cuspide triangolare.
Sulla sinistra brillano con il loro verde intenso ripidi pendii erbosi, contornati alla loro base da contorti cespugli d’ontano tra i quali qua è la s’intravvedono isolati e timidi larici. Anche qui rupi rocciose s’incuneano tra la vegetazione, alcune grigie e compatte, altre rosse e franose cadono nel profondo e cupo valloncello scavato dal millenario scorrere del torrente.

Foto di Emanuele Cinelli
Al di qua, ancora verdi prati cosparsi dalle mille gocce di gialli fiori. Rossi rododendri aumentano il contrasto di colori e ad essi s’aggiunge il marrone intenso di tronchi mirabilmente tagliati e, altrettanto mirabilmente, assemblati fra loro a formare quattro pareti che s’ergono da muri di grigia pietra. Marrone pure il tetto di lamiera sul quale sventolano una bandiera italiana, i cui colori ripercorrono quelli naturali visti tutt’attorno, e una rossa manica a vento. Piccoli quadri intagli interrompono la continuità del muro sul lato torrente: finestre deliziosamente contornate da tendine a quadrettini rossi e bianchi, un insieme armonico che crea un senso di dolce accoglienza e familiarità.

Foto di Emanuele Cinelli
Sul lato montagna una porta, varcata la quale ci si trova in una prima ampia stanza arredata con tre armadi, tre panche e un bel tavolo di legno massiccio. Da questa un’altra porta adduce alla seconda stanza: la cucina. Per riscaldare l’ambiente una stufa a legna, di quelle stufe in ghisa che evocano antichi ricordi, un fornello a gas per cucinare, il lavello, tre capienti armadi, un lungo tavolo di legno massiccio contornato da due panche e due sgabelli sempre in legno. Ancora una porta e dietro a questa la terza stanza dove trovano collocazione cinque letti a castello per un totale di dieci posti a dormire: rigide e intatte le reti, buoni i materassi, ottime le tante coperte ripiegate e raccolte in un armadio. Altri venti posti letto sono collocati in un edificio separato, ma limitrofo al primo, ristrutturato in data più recente rispetto a quello principale. Il piano terreno dell’edifico principale è utilizzato ancora dal pastore, ma potrebbe, in futuro, diventare un comodo e importante ricovero d’emergenza, con cucina e quattro posti letto.
Un piccolo servizio igienico è situato vicino all’ingresso dell’edificio principale. Di fronte, all’aperto, contornato dal verde dei prati, dal giallo dei fiori e dal marrone delle panche, un tavolo in granito con scolpito un grande cappello d’alpino a ricordare, insieme all’altro cappello, stavolta scultoreo, posto sulla rupe che sovrasta questa zona, chi ha voluto questo rifugio e lo gestisce con cura e amore: gli Alpini di Braone!

Foto di Emanuele Cinelli
Siamo alla Malga Foppe di Sopra, ora Rifugio Prandini (non custodito, bisogna chiedere le chiavi), collocata nella media Valle di Braone, in posizione strategica e panoramica: a ovest il lariceto che, frammisto alle rupi, cade sulla verdissima e bellissima piana della Malga Foppe di Sotto; a est le già decantate dolci placche rocciose, frammiste a dossi erbosi e a un mare di incantevoli cuscini verdi e rossi di Rododendro, che conducono alla piana delle Foppe di Braone e, con essa, alla parte alta della Valle di Braone, sopra la quale svettano la Cima Galliner e la Cima Terre Fredde; alla sinistra orografica una fascia di ontani e poi ancora placconate rocciose cosparse di rododendri che nascono da un fondo di torbiera alpina e salgono alla base di una cima senza nome per poi condurre alla base della Cima di Stabio, all’omonima Porta e al limitrofo Corno Frerone; alla destra orografica le verdi Somale di Braone sulle quali si notano le tracce di diverse mulattiere della Grande Guerra.
In questo incantevole luogo arriviamo, noi di “Orgogliosamente Nudi” 2014, nel tardo pomeriggio di sabato 5 luglio con l’intenzione di restarci, almeno alcuni di noi, fino al successivo sabato 12 luglio. L’idea originaria era quella di salire dal rifugio Tassara in Bazena attraverso il Passo del Frerone, ma la tanta neve ancora presente in quota ci ha suggerito prudenzialmente di cambiare percorso e salire, come lo scorso anno, dall’abitato di Braone. La variazione ci comporta due ore in più di cammino e, soprattutto, mille metri di dislivello aggiuntivi, cosa che, visti i corposi e pesanti zaini, non si presenta certamente facile. Fortunatamente il custode del rifugio, il gentilissimo e sincero Piero, si mette a disposizione per portarci gli zaini fino all’inizio della mulattiera vera e propria.

Foto di Emanuele Cinelli
Leggeri percorriamo il tratto di strada e in un’ora e mezza siamo alle Case di Scalassone, il punto d’incontro con Piero e Francesca, una di noi che è salita in macchina insieme agli zaini. Ci carichiamo dei pesanti fardelli e, salutato Piero, ci incamminiamo verso la nostra lontana meta.
La mulattiera inizia dolcemente e sale, nel fitto bosco, con frequenti tornanti. Dopo un’ora, aggravato da uno zaino che ammonta a venti chili, inizio ad accusare la fatica e necessito di frequenti brevi soste per alleviare i muscoli delle gambe contratti dai primi sintomi di acidosi. Dopo due ore, comunque, in perfetta tabella di marcia perveniamo alla piana di Malga Foppe di Sotto e qui ci fermiamo per mangiare qualcosa e riposare spalle e gambe.
Ripartiti, velocemente si percorre la piana per poi affrontare l’ultima balza, meno erta della prima e più corta, eppure più faticosa, vuoi per il sentiero che l’affronta a tratti più direttamente, vuoi per l’irregolarità del fondo su cui si cammina: entro in crisi profonda e medito di lasciare qui metà del carico per ritornare a prenderlo più tardi, dopo essermi ben riposato. Scatta così quel meccanismo di solidarietà che ben conoscono tutti coloro che praticano seriamente l’alpinismo: Francesca avendo lo zaino più leggero di tutti mi offre a più riprese lo scambio di zaini, finché mi decido ad accettarlo. Il cammino può procedere più spedito e in breve perveniamo al rifugio, dove, ancor prima di sistemarci, recuperiamo le forze con pane e salame e una bella birra fresca.
Apriamo il rifugio, depositiamo i viveri sistemando quelli non deperibili in cucina e quelli deperibili nella prima stanza dove l’assenza di riscaldamento ovvierà all’assenza di un frigorifero, prendiamo possesso delle brande e ci prepariamo per la cena: chi apparecchia il tavolo, chi si occupa di cucinare, chi si riserva di sparecchiare e lavare i piatti dopo mangiato, una equa e spontanea suddivisone dei ruoli dove tutti fanno qualcosa e nessuno resta inerme ad osservare gli altri che lavorano anche per lui.

Foto di Emanuele Cinelli
Dopo cena, mentre il fuoco scoppietta nella stufa e riscalda il locale, le solite chiacchiere da rifugio, nel nostro caso condite da qualche argomento in più: il nudismo e il piacere di vivere nudi, di assaporare la montagna senza barriere, avvicinandosi ad essa in tutta naturalità, per percepirne il suo minimo alito vitale, il suo più sottile respiro, la sua anima ribelle, per assorbirne con ogni millimetro della nostra pelle le sue tante essenze profumate e corroboranti. Presto, però, la stanchezza prende il sopravvento ed entro le ventidue siamo tutti stesi in branda e scendiamo più o meno velocemente nel mondo di Morfeo.
Domenica mattina, ore 6, sono già in piedi, gli altri ancora dormono alla grande, dopo una lunga attesa, visto che ancora nessuno si alza, decido di farmi un giro attorno, visitando la torbiera antistante il rifugio e il dosso che lo sovrasta. Rientrato al rifugio scopro che qualcuno, alzatosi per andare in bagno (poi si scoprirà essere Stefano), m’ha chiuso fuori, che fare? La temperatura non è rigida ma fa comunque abbastanza fresco e anche se vestito dopo un poco sento il bisogno di riscaldarmi: il versante di fronte già sta prendendo il sole, bisogna solo salire all’incirca duecento metri di dislivello, così riparto e mi porto velocemente verso il sole e il caldo.
Ridiscendo dopo circa un’ora, finalmente qualcuno si è alzato e posso rientrare nel rifugio a prepararmi la colazione insieme a Marco, marito di Francesca. Nel frattempo uno ad uno si alzano anche tutti gli altri: prima l’altro Marco (che scenderà immediatamente a valle: il suo soggiorno poteva durare solo questi due giorni), poi Stefano e infine Francesca. Per le nove e mezza siamo pronti a partire per effettuare la prima delle escursioni previste: si punta al Forcellino di Mare e poi vedremo cosa fare.

Foto di Emanuele Cinelli
A causa della temperatura non confortevole per via di densi nuvoloni che si sono alzati a coprire il sole, il primo tratto di salita lo facciamo da vestiti. Breve sosta al Rifugio Gheza dove scambiamo due parole con i volontari del CAI di Darfo, saliti a preparare il rifugio per la festa che si terrà nel prossimo fine settimana, poi ripartiamo alla ricerca del sole che si vede illuminare i prati delle Somale di Braone. Poco dopo possiamo finalmente spogliarci e fruire della libertà data dalla nudità: nel giro di pochi minuti le nostre membra si rilassano assorbendo intimamente il dolce calore del sole, il sudore non più trattenuto dalle vesti si volatizza velocemente nell’aeree concedendo respiro e freschezza alla pelle, il sistema di termoregolazione non più condizionato e ingannato dall’ingabbiamento dei genitali riprende a funzionare al meglio, camminiamo velocemente e senza soste lungo il ripido pendio.
In venti minuti scarsi siamo al forcellino dal quale il nostro sguardo può spaziare a trecentosessanta gradi: prima di tutto notiamo il sottostante occhio azzurro del Laghetto di Mare, piccolo bacino d’acqua a picco sulla Valle Listino, poi la vista si allunga verso i costoni e le cime più lontane che, da profondo conoscitore dell’Adamello, provvedo a identificare e illustrare ai miei compagni.

Foto di Emanuele Cinelli
Finito di osservare la meraviglia del luogo e del paesaggio ci rimettiamo in camino per salire il primo dosso delle Somale di Braone. Da qui, per cresta, si continua con mirabile visione a picco sulla Val Paghera e le Case di Paghera: molte le essenze floreali che incontriamo, poi una postazione di guerra collocata proprio sul filo di cresta e la relativa trincea di avvicinamento scavata sul versante meridionale della montagna. Procedendo sempre per cresta miriamo alla Cima del Vallone, ma il percorso si fa impervio e la traccia di sentiero svanisce completamente in mezzo a cespugli e rocce, per cui decido di abbassarmi ad una traccia più evidente e per questa ritornare al Forcellino di Mare.
Pervenuti al detto forcellino, visto che la metà giornata ancora non è giunta, su sollecitazione di Francesca decidiamo di salire un poco verso la cima Galliner. Seguendo la vecchia e qui molto visibile mulattiera di guerra saliamo per circa mezz’ora e poi ci fermiamo a mangiare. Marco ne approfitta per controllare le previsioni del tempo: domani sarà ancora bello, ma martedì pioggia tutto il giorno, qualcuno comincia a premeditare un’interruzione anticipata del suo soggiorno.

Foto di Emanuele Cinelli
In discesa ancora una, stavolta più lunga, sosta al Rifugio Gheza dove quelli del CAI di Darfo ci raccontano la storia di questo rifugio, poi giù al nostro campo base, dove pensiamo sia ad attenderci Antoine, l’amico che deve arrivare oggi, venuto fin quassù dall’Olanda. Invece non è ancora arrivato, rifacciamo i conti e in effetti è presto: arriverà non prima delle cinque. Alle cinque di Antoine non c’è segno, mi abbarbico su di una rupe teso a scrutare la valle nella speranza di vederne la figura che risale il sentiero. Quando ormai le preoccupazioni iniziano a farsi serie ecco che, dal bosco sottostante, sbuca una nuda figura: “Antoine! Antoine!” sollevato mi lancio giù per il sentiero correndogli incontro per aiutarlo a portare lo zaino negli ultimi terribili metri di cammino. Ora ci siamo tutti, facciamo le debite presentazioni visto che Antoine lo conoscevo solo io, poi prepariamo la cena che sarà accompagnata e seguita da tante chiacchiere per informarci sul nudismo in Olanda e confrontarne la situazione con quello italiano. Alle ventitré tutti a nanna.
La mattina di lunedì si presenta solare, sebbene le solite nubi girino attorno alle creste che ci sovrastano coprendo fastidiosamente il sole. Francesca, intimidita dalle previsione del martedì e non volendo scendere a valle sotto la pioggia, convince il marito a scendere in giornata, Stefano, che è in auto con loro, non può fare altro che adeguarsi: preparano i loro zaini mentre io sviluppo i piani per la giornata. Come fare per allungare la condivisione della stessa anche con i tre amici che hanno deciso di scendere? Come far fare loro ancora una piacevole escursione in zona? Presto fatto: percorreremo tutti assieme la vecchia mulattiera di guerra lungo le pendici delle Somale di Braone e della Cime del Vallone!
Partenza! Velocemente risaliamo al rifugio Gheza, stavolta spogliandoci quasi subito visto la giornata maggiormente assolata. Il rifugio oggi è vuoto e possiamo tranquillamente passare senza coprirci. Saliamo ancora un poco fino alla freccia che indica l’inizio della mulattiera: sarà l’unica indicazione di questo percorso. La prima parte è ben visibile e tranquilla, ma ben presto le cose mutano: la traccia si fa più stretta, l’esposizione aumenta vertiginosamente e l’erba invade gran parte del sentiero. Entriamo in un canalone scavato dall’acqua, qui il passaggio, anche se breve, si fa particolarmente delicato per la presenza di una frana. Poco oltre, con mio sollievo (io non ho problemi e apparentemente non ne hanno nemmeno i miei compagni, ma, da ideatore e conduttore dell’evento, nonché da ex Istruttore Nazionale di Alpinismo, sento pur sempre il peso della responsabilità), l’esposizione si ridimensiona. Dopo un lungo traverso nei prati, ci avviciniamo a delle rupi rocciose ed è evidente che la mulattiera non può passare attraverso queste, guardando verso il basso individuo i debolissimi segni della mulattiera che qui scende con alcuni stretti tornanti. Segue un nuovo diagonale, poi ancora tornanti a scendere portano in una radura con le classiche alte erbe di malga, apparentemente sembra non esserci modo di passare oltre ma senza esitazione mi lancio attraverso le alte erbe: ho percepito, al di là delle stesse, uno spianamento del terreno, non può essere altro che il residuo dei lavori militari. Infatti la mulattiera si evidenzia poco sotto.

Foto di Emanuele Cinelli
Il tracciato continua in lievissima discesa, a tratti è pressoché totalmente nascosto dalla vegetazione, anche se inequivocabili lastre di granito ne segnano il lato a valle, a tratti è più evidente. Dopo un lungo traverso siamo vicinissimi alla Cima del Vallone e sulle sue pendici, netto, il segno di una larga mulattiera. Ci separa una tutto sommato tranquilla cengia terrosa che taglia un ripidissimo canalone erboso. Tranquilla? Eh no, all’improvviso un pastore che ci osserva dall’altro lato della cengia si mette a urlare: “Sassooooo, sbrigatevi, non fermatevi!” Io, già arrivato da lui, mi giro e vedo immediatamente che in alto nel canalone ci sono numerose pecore al pascolo le quali, incuranti di chi sta sotto, non si fanno la premura di non far cadere sassi: già poco prima, ci riferisce il pastore, una pecora è stata uccisa, colpita in testa da uno di questi massi. “Va beh, è andata, il sasso è scivolato a valle lentamente passando per un canalino secondario senza colpire nessuno di noi, però” penso “poteva anche avvisarci prima che passassimo sotto il canalone, quando eravamo ancora in punto sicuro, invece di aspettare che ci fossimo in mezzo e in pericolo!”
Ancora due chiacchiere con il pastore e poi riprendiamo la discesa ora più tranquilla e semplice. In breve siamo sulla mulattiera principale, risaliamo alla piana della Malga Foppe di Sotto dove pranziamo tutti insieme, poi la sofferta separazione: Marco, Francesca e Stefano scendono a valle, io e Antoine risaliamo al Prandini con l’intenzione di rimanerci fino a sabato.
La sera inizia a piovere e continua ininterrottamente per ventiquattr’ore costringendoci a restarcene nel rifugio per tutta la giornata di martedì. Antoine la passa prevalentemente a letto o studiando per un libro che sta scrivendo, io in parte mi occupo della stufa, in parte del taglio della legna, in parte delle pulizie, in parte di scrivere le bozze per le relazioni del soggiorno e dei percorsi fatti.

Foto di Emanuele Cinelli
Nella notte il cielo si rasserena e mercoledì mattina la giornata si presenta calda e soleggiata. In attesa del risveglio di Antoine, che se la dorme alla grande fino alle nove, riparto a perlustrare il territorio antistante il rifugio e che adduce alla Porta di Stabio: ci si può sicuramente tracciare un percorso alternativo (poi la cosa mi viene confermata da Piero che già più volte ha seguito questa via di salita) e creare un interessante anello, ma, non conoscendo bene Antoine, per maggiore sicurezza decido di salire per il sentiero segnato.
Alle nove e mezza ci mettiamo in cammino e velocemente risaliamo la parte mediana della Val di Braone pervenendo al bivio per la Porta di Stabio. Qui il sentiero sale direttamente per l’erto pendio, la segnaletica a volte è ben visibile, altre volte stinta e difficile da individuare, ma il percorso è evidente e senza esitazioni porto il compagno alla meta, seguendo, verso la fine, un percorso che ci permette di evitare quasi tutta la neve. Magica la sensazione di solitudine che si prova: intorno a noi chilometri di montagna senza altre presenze, nemmeno quelle dei camosci che, viste le tante loro cacche qui presenti, speravo di vedere. Assordante l’immenso silenzio che pervade questi luoghi. Stupendo il panorama: a nord la vista spazia sui monti dell’Aprica e su quelli del settore meridionale dell’Adamello; a sud si vedono nettamente i radar del Dasdana e la lunga cresta che da questi porta a Monte Campione, dietro il quale evidente l’inconfondibile sagoma del Guglielmo, più a destra i monti della bergamasca, poi il più vicino Monte Altissimo di Borno e dietro altri monti non ben definibili, in lontananza la sagoma bluastra delle Alpi Liguri e degli appennini bolognesi; sotto di noi l’iride blu di uno splendido laghetto alpino e, a seguire, tutta la Val di Stabio, dolce e verde, molto invitante.

Foto di Emanuele Cinelli
Vorrei scendere al laghetto sottostante ma il percorso complicato (ripido terreno franoso con un bel tratto di catene di sicurezza) e le nuvole nere che sempre più minacciose arrivano dal Cornone del Blumone, noto catalizzatore di maltempo, mi convincono a rinunciare e a sollecitare il ritorno a valle. Giusto il tempo di oltrepassare la conca innevata sottostante il valico che inizia a grandinare! Prima sono piccoli chicchi simili a palline di polistirolo, poi pian piano la dimensione degli stessi cresce diventando dolorosa per mani e testa, infine cresce anche l’intensità della grandine e nel giro di pochi minuti il paesaggio da verde diventa bianco. Fortunatamente, nonostante alcuni tuoni, non c’è né vento né pioggia e la temperatura rimane confortevole: il nostro cammino procede tranquillo e regolare, senza problemi rientriamo al rifugio dove abbiamo la base.
La sera, sfruttando un momento di calma tra le piogge che hanno ripreso con intensità, riesco a collegarmi telefonicamente con mia moglie e vengo a sapere che le previsioni per i giorni successivi non sono buone (mattina bella ma pomeriggio temporali) e che lei non sta tanto bene: suggerisco ad Antoine di ridiscendere a valle venerdì, lui rilancia proponendo di scendere ancora giovedì stesso e questo decidiamo di fare. In attesa della cena preparo lo zaino ed effettuo le pulizie del rifugio, la mattina successiva, visto il bel tempo, di buon ora sveglio il mio compagno, rapida colazione, ultime pulizia e poi giù senza sosta fino a Braone: Antoine fatica alquanto a camminare sul terreno sconnesso e la sua discesa è piuttosto lenta, ci mettiamo ben quattro ore e mezza per arrivare alla macchina.

Foto di Emanuele Cinelli
Ultimi sguardi verso l’alto, un saluto malinconico a questa valle meravigliosa, una valle che mi ha stregato già nel lontano 1988 quando l’ho risalita in pieno inverno, una valle che mi rivedrà sicuramente: anche se questo potrebbe per me comportare il perdere un luogo selvaggio e solitario dove poter vivere esperienze di montagna piene e appassionanti, ho deciso di scrivere non solo le relazioni dettagliate sui percorsi effettuati e sugli altri possibili, non solo di redigere articoli da inviare alle principali riviste di montagna, ma anche di realizzare un opuscolo su di essa dato che merita d’essere meglio conosciuta e frequentata, lo merita davvero.
La riconsegna delle chiavi, il pagamento di quanto dovuto per il soggiorno e i saluti a Piero concludono questo magico, per quanto sofferto, soggiorno. A Piero formulo la mia disponibilità a collaborare per la rimessa in funzione della mulattiera di guerra percorsa tre giorni prima, ma anche per altri lavori che possano essere necessari, quali il ripristino della segnalazione sul percorso della Porta di Stabio o la manutenzione del rifugio Prandini: se vuoi partecipare agli eventuali lavori segnalami nominativo, indirizzo e-mail e numero di telefono (modulo di contatto), grazie.
Per concludere devo e voglio ringraziare innanzitutto Piero, il custode del rifugio, per la sua estrema gentilezza e l’enorme diponibilità, poi gli Alpini di Braone per la costruzione e l’ottima gestione del rifugio Prandini, indi il Sindaco, gli Assessori e gli abitanti di Braone per la cura che hanno nei confronti del loro prezioso tesoro, infine i miei compagni di soggiorno: Antoine l’olandese, Francesca dall’Alto Adige, Marco pure dall’Alto Adige, l’altro Marco da Milano, Stefano da Chioggia. Grazie, grazie mille a tutti!
Poesie: Corri uomo
Corri uomo, corri!
Ma dove corri, dove vai,
non hai più tempo ormai.
Fare, disfare, rifare,
non c’è più tempo per pensare.
Spogliati uomo,
abbandona l’animo corrotto,
lascia i panni del condizionamento,
togli le vesti che l’apparenza ingannano.
Torna, uomo, alle virtù del tempo,
alla saggezza della natura.
Torna, frena, torna!
Emanuele Cinelli – 30 giugno 2014
Le ricette del “Cuoco Nudo”: tinca allo zenzero
Ingredienti (per quattro persone)
1 tinca da 2kg, 1 foglia di alloro, 1 foglia di salvia, 1 piccolo rametto di rosmarino, una spessa fetta di zenzero fresco (la quantità esatta dipende dal gusto personale e dalla freschezza della radice: se vecchia tende a perdere sapore), mezzo limone, mezzo bicchiere di vino bianco, olio extravergine d’oliva, sale.
Preparazione
Pulite e lavate la tinca, con l’aiuto di un trinciapollo e di un coltello molto affilato tagliate via la testa (passando appena dietro le pinne pettorali che, così, vengono via insieme alla testa) e la coda, togliete anche le pinne ventrali. Usando il coltello incidete la parte posteriore dall’ano alla coda e approfondite il taglio lungo la lisca centrale come se voleste sfilettare il pesce ma senza aprirlo del tutto, a questo punto con il trinciapollo partendo dal lato della testa tagliate le grosse lische pettorali staccandole dalla spine centrale su ambo i lati e aprite per bene il pesce rendendolo quasi piatto (come si fa per il pollo).
Mondate e lavate gli aromi (alloro, salvia e rosmarino), lasciateli asciugare per bene e poi tritali finemente tutti insieme. Tritate finemente anche lo zenzero.
Foderate con carta da forno una grossa teglia e adagiatevi il pesce ponendo la parte della pelle a contatto con la carta. Spennellate il lato carne del pesce con poco olio e poi con il vino, bagnate con il succo del mezzo limone e, infine, cospargetevi sopra il trito di aromi. Distribuite uniformemente sul pesce il trito di zenzero, salate leggermente e mettete in forno caldo (220°C) lasciando cuocere per circa un’ora.
Servite ben caldo accompagnando con altro zenzero tritato (per chi volesse rendere il piatto più piccante), insalata verde in foglia e vino bianco secco.
In ricordo di Silvano Cinelli – 2013
25 agosto 2013, sfidando le infauste previsione meteorologiche e trovandosi premiati da una splendida mattina di sole, una cinquantina di amici si ritrovano per la trentaduesima volta al Rifugio Blachì 2 in Pezzeda.
Sfruttando i vari sentieri o le diverse stradine sterrate che da più punti portano al detto rifugio, sono tutti a destinazione per le ore 11, pronti per presenziare alla messa in memoria di Silvano Cinelli, e di altri amici che l’hanno affiancato e seguito prima sulle tracce del sentiero 3V, poi sulle nuvole del cielo infinito.
Alle 11,15, con leggero anticipo sull’orario previsto, anche per via di un minaccioso addensarsi delle nuvole e la brusca caduta della temperatura, Don Fabrizio Bregoli indossati i paramenti si pone all’improvvisato altare e da inizio alla Santa Messa. Come sua abitudine una funzione senza divagazioni, sincera e partecipata, incentrata sulla metafora del vaso che non va tenuto chiuso, ma deve aprirsi agli altri. In chiusura viene innalzato il canto e le note coinvolgenti si spandono nell’aree: Dio del cielo, Signore delle Cime, accogli il nostro amico.
A seguire il consueto pranzo conviviale nel caldo e accogliente salone del Blachì 2: un bel piatto di pizzoccheri, seguito da un saporito brasato al barolo con la classica polenta bresciana; una bella fetta di formaggio fuso viene presto seguita da caffè e i necessari correttori alcolici.
Nel frattempo fuori si è messo a piovere, una pioggia battente a cui fanno seguito alcuni tuoni che mettono in apprensione chi deve rientrare con un più o meno lungo cammino, invero quasi tutti i presenti, visto che da alcuni anni la seggiovia è fuori servizio e, quest’anno, la strada delle jeep è chiusa per una competizione motociclistica.
Ma gli alpinisti sono ben temprati anche alle peggiori condizioni meteorologiche e tutti rientreranno a valle fradici ma contenti per questa ennesima giornata passata in comunione dello spirito e dei ricordi.
La famiglia Cinelli ringrazia tutti i presenti e anche tutti coloro che, viste le previsioni, hanno preferito rinunciare ma sono comunque stati presenti con il pensiero, ringrazia poi Don Fabrizio per la sua sempre gradita presenza, i gestori del rifugio Blachì 2 per l’ottima ospitalità ormai diventata vera amicizia, lo staff della competizione motociclistica che si è prodigato per modificare il percorso e consentire l’indisturbato svolgimento della Santa Messa.
Grazie a tutti e al prossimo anno
Maria, Emanuele, Valeria e Carla Cinelli

Foto Carla Cinelli
Le ricette del “Cuoco Nudo”: tinca agli aromi
Ingredienti (per quattro persone)
1 tinca da 2kg, 3 foglie d’alloro, 5 foglie di salvia, 2 rametti di rosmarino, mezzo limone, mezzo bicchiere di vino bianco, olio extravergine d’oliva, sale.
Preparazione
Pulite e lavate la tinca, con l’aiuto di un trinciapollo e di un coltello molto affilato tagliate via la testa (passando appena dietro le pinne pettorali che, così, vengono via insieme alla testa) e la coda, togliete anche le pinne ventrali. Usando il coltello incidete la parte posteriore dall’ano alla coda e approfondite il taglio lungo la lisca centrale come se voleste sfilettare il pesce ma senza aprirlo del tutto, a questo punto con il trinciapollo partendo dal lato della testa tagliate le grosse lische pettorali staccandole dalla spine centrale su ambo i lati e aprite per bene il pesce rendendolo quasi piatto (come si fa per il pollo).
Mondate e lavate gli aromi (alloro, salvia e rosmarino), lasciateli asciugare per bene e poi tritali finemente tutti insieme.
Foderate con carta da forno una grossa teglia e adagiatevi il pesce ponendo la parte della pelle a contatto con la carta. Spennellate il lato carne del pesce con poco olio e poi con il vino, bagnate con il succo del mezzo limone e, infine, cospargetevi sopra il trito di aromi. Salate leggermente e mettete in forno caldo (220°C) lasciando cuocere per circa un’ora.
Servite ben caldo accompagnando con patate lesse, prezzemolo tritato e vino bianco secco.
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