Archivio mensile:settembre 2014
Incongruenze scolastiche
Uno dei problemi della scuola italiana è insito nella gestione degli aggiornamenti.
C’è qualcosa che non quadra se tu, informatico professionista con un Master inerente l’insegnamento con le tecnologie, formatore scolastico e aziendale con anni di insegnamento in ambito informatico e di utilizzo delle tecnologie nell’insegnamento, devi assistere a una lezione sulle (su una specifica tecnologia, in verità) tecnologie informatiche applicate all’insegnamento tenuta da… un maestro elementare appassionato di tecnologia.
Incongruenze scolastiche?
In ricordo di Silvano Cinelli – 2014
“Oggi è il giorno dell’incontro, incontro di persone, di pensieri, di ricordi, di culture, di opinioni. L’incontro non può essere vincolato, l’incontro c’è quando ognuno si apre agli altri”
La voce chiara e forte di Don Fabrizio risuona tra i verdi pascoli e i cupi boschi della Pezzeda dove, come ogni anno, un nutrito gruppo di appassionati della montagna si è ritrovato per ricordare Silvano Cinelli e alcuni altri amici che alla montagna hanno donato la loro vita. L’incontro è il tema della sua omelia, così come l’incontro è il significato di questa giornata che da 32 anni si ripete puntualmente ogni anno in questo identico luogo: il rifugio Blachì 2 all’Alpe Pezzeda.
Si incontrano persone di varie provenienze, di diverse associazioni; ci sono bambini, giovani e adulti, maschi e femmine; ma s’incontrano anche gli animi umani con le forze, i colori e i suoni della natura; s’incontrano le cime degli alberi e le vette dei monti con l’azzurro del cielo e il grigio delle nuvole, nuvole che oggi sembrava volessero tenersi lontane e invece si sono addensate prima sulla vetta del Monte Pezzeda per poi pian piano coprire tutto il lungo crinale che dal Monte Ario risale al Dosso Alto, gira sul Passo del Maniva per poi ripiegare a sud e raggiungere il Monte Guglielmo. Un lungo crinale che fa da corollario all’alta val Trompia, un lungo crinale solcato dal sentiero 3V “Silvano Cinelli”, un lungo crinale che da qui si può ammirare in tutta la sua estensione e formazione.
Sotto, nel fondo della valle, le case di Collio e di San Colombano sono, al contrario, baciate dal sole, quel sole che le previsioni davano per splendidamente presente e che, invece, ha deciso di giocare a rimpiattino con noi e con le nuvole fino a nascondersi definitivamente, facendoci mancare il suo caldo abbraccio, prontamente sostituito dal meno gradito freddo abbraccio del vento.
Il piacere dell’incontro, però, oltre che gli animi può scaldare anche i corpi!
Grazie a tutti e al prossimo anno
Maria, Emanuele, Valeria e Carla Cinelli
Divagando – Ode ad Orfeo
(Sapevi forse del mio poetar dal vero?)
Qual mondo svegliasti con le tue odi? Qual parer rivisse nei tuoi leggiadri e sapienti detti? Come per mano portasti in giro eluse parole a fiorir del vento, cosicché possano essere cantate nello spirar leggero della tua anima lontana. Obliasti l’amore rincontrato, l’antico sapore del beffeggiar greve di tal parola. La obliasti saputa. Le concedesti il rinnegato piacer di viver sola e nella leggiadria di un volgar apparire. Tu, Orfeo, tu mi chiedesti mille perché nascosti, e tu sapevi vita, morir e miraculia. Sapevi forse di me qualcosa? Sapevi forse del mio poetar dal vero? Non lo affermasti, di più incitasti lo spirito a ritornar alla natività desueta di chi per lui perì iracondo. Di colui che visse cento volte tal peccato e ne infamò per altre cento con la tua morte.
Io ti urlo Orfeo, ma urlo il tuo peccato non tal nomigna. E tu lo avesti sulla croce della vita che ti finì dodici anni orsono, arrivandoti pedestre, scalza e tardiva come natura maligna. Questa è quella che cantasti in odi tanto sublimi e ricordasti al poetame dell’Untore, quanto potea mancar a loro che privi furono di qualsiasi lode. Inforcasti parole morte, con la vivacità del ripristino vitale. Sodalizzasti e creasti l’antropofaga fedeltà carnale, sconquassando all’infinito modo il tuo citar blasfemo ed il peregrinar fu dolce nel tuo mare. Il mare degli ulivi salmastri, delle ciocche d’aglio e delle ginestre palesi gialle, ove l’andar di mulattiere cocea li sassi al sol. Tu fosti vita nell’infanzia rubata, tu raccogliesti forze ostili in Careneide, ove confessasti in meglio quel che ti credesti. Tu ebbi il coraggio umano d’esser debole con beltà e non fosti che consapevole di tal virtù… “sia il debole uomo quanto meno lo sia umana sapienza”…
Urlo Orfeo, urlo parole stanche come fossero rinnegate e mie. Urlo che di mancanza sono e mi dolea l’altrui sparita vita tanto quanto gioì la mia. E l’inconsapevole incombea altrove, nell’effimero destino di colui che sa e muove. Colui che fu, che è, e che rimarrà l’eterno. Colui che chiese ed ottenne il tuo viso luminoso ad irradiar lassù. Nei confini finiti ove si raccolgono nembi di spirito ed il riviver pare eterno. Vibrerà qualcosa sulla lingua che parea inferma. Brillerà qualcosa che l’apparir rese etereo per sempre. Ma brillerà! Credimi Orfeo, credimi quaggiù ove potea il mio piede più che l’anima che volge altrove. Credimi, mai mentirei. Mi muoia per sempre la maledizione della parola che non ti dissi se non quando ormai fosti, mi muoia per sempre il sorriso schivo che donai alla tua persona e muoian per sempre i fiori che colsi nel tuo giardino, nella vita di quella pagina rimasta.
Simone Belloni Pasquinelli
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