Archivio mensile:luglio 2015
Giro del Frerone (Breno – BS)
Isolata cuspide calcarea nel mezzo del batolite magmatico dell’Adamello, il Monte Frerone presenta caratteristiche assai diverse sui suoi tre versanti: l’orientale a ripidi prati che dalla vetta scendono verso la valle di Cadino, il meridionale in parte di ripide pareti rocciose e in parte di uno scuro pendio di frana che sovrasta una ridente valletta erbosa, quello settentrionale che cade a picco con franose bianche pareti sulla val Braone. A dividere i tre versanti le creste: quella ovest breve e franosa di scarso interesse; quella sud est e quella nord est ben più lunghe e interessanti.
La cresta settentrionale, obiettivo di questo itinerario, inizia al Passo del Frerone e, senza particolari difficoltà, sale alla vetta superando ripidissime balze erbose ed esponendo all’ebrezza di qualche tratto a picco sula sottostante Val Braone. Nel suo tratto mediano s’incontrano le stelle alpine ed è possibile incrociare anche la marmotta che, vigile sentinella, ci osserva con cauto interesse dalla sommità di qualche masso di cresta.
Le marmotte sono anche molto presenti al Passo di Val Fredda e nel tratto immediatamente successivo, se salite di primo mattino, quando la zona e silente e solitaria, potreste vederle che vi attraversano la strada o che corrono nei prati al vostro fianco.
Il dislivello e il tempo di percorrenza rientrano nella media di un escursionismo attivo; le difficoltà tecniche, come detto, sono pressoché pari a zero, fatto salvo qualche esposto passaggio lungo la cresta e quattro brevi e facili tratti attrezzati con cordina metallica e pioli in ferro nella discesa dalla vetta verso il Paso di Val Fredda. Faticoso nella sua parte terminale (quella della cresta del Frerone) dove è richiesto anche passo fermo e assenza di vertigini, per il resto si procede su ottimi sentieri ben segnalati. La prima parte del percorso, quella che dalla Bazena ci porta al bivio con il sentiero per il rifugio Gheza, dopo la prima mezz’ora di cammino è pressoché costantemente pianeggiante.
Dati
Punto di partenza: Rifugio Tassara in Bazena – Breno (BS); bel rifugio collocato sulla strada asfaltata che, passando per l’arcinoto Passo di Crocedomini, collega Breno a Bagolino e da qui al Lago d’Idro; facile da individuare, con comodo e ampio piazzale sterrato per il parcheggio delle auto.
Quota di partenza: 1799 metri
Quota massima: 2673 metri
Dislivello: 964 metri
Tempo totale: 6 ore – 1,40 ore dalla Bazena al Passo di Val Fredda, 1,20 ore dal Passo di Val Fredda al Passo del Frerone, 1 ora per la cresta, 40 minuti per ridiscendere al Passo di Val Fredda con il sentiero normale, 1,20 ore per ritornare alla Bazena.
Segnaletica: tutto l’itinerario è ben segnalato con segni in vernice bianco rossi, varie le paline segnaletiche del CAI; da Bazena al bivio con il sentiero per il rifugio Gheza segnavia 1 dell’Alta Via dell’Adamello, che si sovrappone al 18 per il Lago della Vacca; dal bivio al Passo del Frerone segnavia 38; lungo la cresta nessun segnavia numerico; la discesa al Passo di Val Fredda lungo il percorso normale del Frerone è indicata con il segnavia 89a.
Note: partendo di mattina quasi tutto il tratto fino al Passo di Val Fredda risulterà in ombra, la restante parte del percorso è invece esposta al sole e priva di ogni forma di protezione anche solo parziale dallo stesso; escludendo l’abbeveratoio presente in Bazena, lungo il percorso non c’è modo di rifornirsi d’acqua; ovviamente si può usufruire del Rifugio Tassara per procurarsi il beveraggio necessario. La prima parte del percorso si sovrappone a un interessantissimo sentiero botanico costellato di diverse tavole sinottiche (in bianco e nero) sulla flora alpina, purtroppo le stesse non sempre risultano accostate alle essenze che documentano.
Relazione
Come già indicato si parte dal rifugio Tassara in Bazena (Breno – BS) dove un largo piazzale permette un facile e comodo parcheggio per l’autovettura. Sul lato est del piazzale delle targhe segnaletiche indicano la direzione da prendere: una strada sterrata che si dirige verso nord alzandosi con buona pendenza tra i pascoli e le conifere.
Aggirato il primo dosso si perviene a un breve tratto pianeggiante, sulla sinistra un abbeveratoio e una bacheca indicano l’inizio del sentiero botanico, sulla destra la strada si fa cementata e ripidissima. Possiamo prendere sia l’uno che l’altro dei due percorsi, il sentiero botanico sale molto più dolcemente, e si ricongiunge alla strada sopra il secondo dosso, dove la stessa spiana un poco (attenzione, quando il sentiero esce dal bosco ci si trova poco sopra la strada cementata, non seguire la stradina erbosa che, in lieve salita, riporta su detta strada, ma tenere a sinistra per sentierino con gradii in legno che poi diviene stradine erbosa; arrivati sopra il dosso alcune tracce portano brevemente alla strada ed è consigliabile seguirle: il sentiero botanico qui effettua un lungo traverso in mezza salita tenendosi nel bosco sotto e a sinistra della strada). Traversando alti sopra un casinetto, la strada prosegue per un poco a mezzacosta, poi una secca curva a destra immette su una breve ripida salita cementata che possiamo evitare tenendoci alla sua destra per il sentierino erboso del percorso botanico.
Alla fine dello strappo entriamo nell’ampia e verde conca della Val Fredda, davanti a noi ben evidente l’omonima malga, in alto sopra di essa a sinistra il Monte Frerone, a destra il Monte Cadino e fra loro la netta incavatura del Passo di Val Fredda a cui dobbiamo arrivare. Ben visibile lungo tutto il versante destro della conca il segno del sentiero da seguire.
Seguendo la direzione indicata da una grossa freccia bianco rossa disegnata su un masso a terra, prendiamo alla nostra destra il sentiero che con lieve salita porta alla base del Monte Mattoni di cui taglieremo, in discesa, il versante occidentale per arrivare pochi metri sotto il Passo Cadino. Da qui si procede in piano sul fianco occidentale del Monte Cadino, fino ad arrivare al Passo Val Fredda.
Dal passo si scende una cinquantina di metri sul versante opposto per poi procedere in piano tra dossi erbosi popolati da diverse marmotte. Dopo una curva ci troviamo davanti la targa segnaletica del Rifugio Gheza che ci indica di prendere un sentierino a sinistra. Si sale un erto dosso erboso. La salita presto s’attenua e si procede verso nord con poca fatica seguendo l’abbondante segnaletica e i segni di passaggio. Ancora qualche strappo alternato ad altri traversi verso l’ormai ben visibile Cima di Terre Fredde che, però, teniamo a distanza per deviare a sinistra e salire, con ultimo ripido tratto, alla larga e piatta sella del Passo del Frerone. Grandiosa la visuale sulla Val di Braone da un lato e la Valle di Cadino dall’altro, molte le cime ben visibili, prima fra tutte la chiara pala del Pizzo Badile.
Prendiamo a destra (sud ovest) puntando a dei paletti in legno con segnaletica bianco rossa. Seguendo la cresta del Frerone ci si tiene alla sua sinistra (versante Cadino) lungo uno stretto ma evidente sentiero che ci porta alla sommità del primo dosso di cresta. Si segue per pochissimo la cresta e poi si traversa in piano per erbe tenendosi al di sotto di una piccola frana, oltre la quale si sale direttamente il ripido pendio erboso per riprendere la cresta poco a monte del secondo risalto di cresta. Proseguendo sul filo di cresta, ora costantemente erboso e mai affilatissimo, con discreta esposizione sulla Val di Braone, camminando fra le stelle alpine ci si porta alla base della ripidissima pala erbosa di vetta che risaliamo direttamente seguendo l’evidente solco del sentiero. Al termine della salita un breve tratto pianeggiante ci porta in vetta (segnale per le rilevazioni cartografiche).
Procedendo in direzione opposta a quella d’arrivo, prendiamo sul filo di cresta un evidente piano sentiero. Ben presto questo inizia ad abbassarsi tagliando a mezza costa una vasta frana di terra e sassi. Giungi dalla parte opposta della frana ci si abbassa brevemente a destra, poi si taglia nuovamente la frana ritornando verso nord, altri due tornanti e siamo alla base della frana, da qui si prosegue verso sud nell’alveo di una conca erbosa che porta sulla pala erbosa dell’alta Val Bona. Qui il sentiero continua evidente e con alcuni tornanti ci riporta alla base del Frerone. Un lungo traverso pianeggiante supera le pareti (qualche breve e facile tratto attrezzato con coordina metallica e qualche piolo di ferro), infine per erbe si raggiunge il sentiero di salita nei pressi del Passo di Val Fredda. Da qui si rientra alle auto seguendo lo stesso percorso fatto in salita.
ON2015: 12 luglio, escursione al Dosso Alto
Avevo qualche titubanza in merito a questo evento: Maniva, Cima Caldoline e anche lo stesso Dosso Alto sono luoghi molto frequentati ed è ancora presto per proporre la nudità anche sui sentieri affollati. D’altra parte ho scelto un itinerario atipico, un percorso che ho individuato e ipotizzato tanti anni addietro, un sentiero di cui nessuno mi ha mai parlato, sebbene ne abbia trovato in Internet una relazione (ma una sola e questo mi lascia comunque un bello spiraglio di fiducia).
Al ritrovo al Gioco del Maniva le facce di alcuni dei miei compagni sono perplesse: in zona ci saranno un migliaio di persone. Perplessità che si rinforza arrivati al Passo del Dosso Alto, dove lasciamo le vetture: molte le auto già presenti in zona e c’è un continuo via vai di persone che, a piedi, arrivano dal Maniva; con una giornata come quella di oggi, cielo sereno e caldo, i sentieri della zona saranno tutti super affollati.
Per imboccare il nostro sentiero dovremmo scendere circa un chilometro lungo la strada asfaltata con certo dispiacere per le piante dei piedi, allora m’invento un traversone sui prati con ripida discesa per un canalino erboso che ci permette di tagliere fuori tutta la strada e il passaggio dalla Malga del Dosso Alto. A poche centinaia di metri dal passo possiamo già spogliarci.
Il sentiero, contrariamente a quanto avevo rilevato da Internet, è senza segnaletica, comunque molto evidente: i tracciati creati dagli alpini per la prima guerra mondiale sono ampi e ben lavorati, il recupero allo stato brado è lento e molto lungo. S’inizia con un comodo traversone a mezza costa che ci porta man mano ad alzarci sulla Valle della Berga che scende ripida sotto di noi in direzione di Bagolino. Qui il gruppo si allunga sensibilmente: siamo in tanti oggi, diciotto persone più un cane, record assoluto per le escursioni di Mondo Nudo.
Parliamo del gruppo, un bel gruppo di persone provenienti da tutta l’alta Italia: tre dal Piemonte, uno dal Veneto, quattro dall’Alto Adige, dieci dalla Lombardia e di questi ultimi quattro arrivano da fuori provincia. Invero doveva esserci anche un amico da Trieste, ma all’ultimo ha dovuto rinunciare per contrarietà familiari: i coniugi sono spesso il freno più forte alla pratica della libertà del corpo, comprensibile che per amor di famiglia una persona preferisca rinunciare piuttosto che litigare, c’è però da chiedersi perché sia quasi sempre chi agogna alla nudità a doverlo fare, c’è da chiedersi perché il coniuge tessile raramente accetti o proponga un compromesso, perché quasi sempre pretenda che sia l’altro a prostrarsi e cedere, e, badate bene, non è questione di uomo o donna che le cose si ripetono identiche sia in una direzione che nell’altra. Matureremo? Vista in senso generale e generico la vedo dura, anzi negli ultimi quindici anni ho notato un forte peggioramento nel rapporto di coppia, una volta c’era sì la gelosia che forse oggi tende a calare, ma una volta c’era anche un senso di reciproco rispetto, di comunione e accordo, di mutua ammissione degli spazi personali, oggi vedo solo possesso, rigido e totalizzante possesso: le cose si fanno solo insieme. Purtroppo lo scotto da pagare è che al primo litigio ci si lascia, anziché affrontare la questione e trovare l’accordo (che poi può benissimo essere nel cedimento dell’uno verso l’altro, mutuo cedimento, una volta l’uno, l’altra volta l’altro) ognuno per la propria strada. Beh, si, tendenzialmente è anche legato all’altra brutta abitudine che ho visto diffondersi a macchia d’olio: la spasmodica ricerca delle scappatoie, di trucchi per aggirare le difficoltà, di strade traverse, irrilevante quanto poco edificanti esse siano, che permettano di evitare d’affrontare i problemi della vita.
Torniamo a noi, torniamo al gruppo. Dicevamo un bel gruppo, numeroso, interregionale, possiamo anche aggiungerci eterogeneo: sei donne e dodici uomini; età dai trenta ai sessant’anni, con una bambina di quattro anni; due vestiti, un topless, quindici nudi. Un gruppo siffatto crea di suo un ambiente protetto, invita a restare liberi anche nell’incontro con altre persone: le odierne forti perplessità iniziali vengono quasi subito attenuate e ben presto annegate.
Bene, eravamo rimasti al lungo traversone iniziale. Ad un certo punto il sentiero quasi svanisce e si biforca, con occhio critico e la relazione in mente è facile comprendere che bisogna seguire il ramo in salita, una salita leggera, tipica delle mulattiere militari, resa però più complesso dal franamento di alcune parti e dalle alte erbe che ricoprono per intero questo tratto. Dopo una decina di tornanti si perviene alla linea di crinale affacciandosi su un ampio e verdissimo pendio, che la traccia, ora più evidente, traversa in piano. Alcune piccole frane complicano sensibilmente il cammino. A metà di questo traversone Franca, una nuova amica arrivata dall’estremo confine italo francese e abituata alle facili camminate della Provenza, si sente troppo affaticata per continuare: si ferma e con lei si fermano Alberto (suo mentore per l’occasione) e Stefano (amico di Alberto e in macchina con loro). Faccio la spola tra il grosso del gruppo, già ben più avanti, e questo gruppetto bloccato, alla fine si decide che loro rientrino alla vettura e gli altri, sebbene profondamente dispiaciuti, proseguano nella loro escursione.
Dopo i tratti franati il sentiero torna a farsi bello ed evidente, passiamo ciò che resta di una postazione di guardia e il pensiero viaggia spontaneo a quei tempi: questa era una terza linea ma il lavoro di allestimento è stato pur sempre duro e talvolta anche pericoloso. Poco dopo si aggira una costola della montagna, poi una piccola valletta, altra costola con muro di confine delle malghe e… un ambiente affascinate appare al nostro sguardo: in basso la piccola malga di Ciumela, tutt’attorno dolci declivi di verde pascolo formanti serie di dossi che come onde nel mare smuovono il terreno, sopra di noi un cielo terso dall’azzurro profondo si contrappone mirabilmente alle mille tonalità di verde del pascolo, un profondo silenzio copre col suo rumoroso mantello l’intero areale, all’orizzonte si distinguono monti noti e altri meno noti o addirittura ignoti, come bambini felicemente proviamo a individuarli e dargli nome: Cima Ora, il forte di Cima Ora, Monte Suello, il Monte Baldo, il Pizzoccolo, Cima Meghè, il Baremone, Monte Telegrafo, il Bruffione, e via dicendo.
Ripreso fiato, con gli occhi pieni di colori e immagini, riprendiamo il cammino oltrepassando la malga. Icontriamo un primo segnavia in vernice, indica di seguire nell’erba una traccia che scende, scende troppo però, per cui decidiamo di abbandonarla e puntare direttamente al crinale che ci sovrasta. Giunti sul crinale ritroviamo l’evidente traccia e una buona segnaletica: si segue più o meno fedelmente il crinale, tratti piani si alternano ad altri di salita, lo sguardo cade a capofitto sulla valle del Caffaro e sull’abitato di Bagolino, ora appare il Cornone del Blumone, in fianco ad esso la Cime del Listino, più lontano il Re di Castello e il Monte Fumo.
Risaliamo un piccolo dosso con alcuni mughi e d’improvviso incontriamo lui, l’emblema della montagna, il fiore forse più conosciuto tra gli escursionisti, lei, la magica, bellissima, evocativa Stella Alpina. Sono anni che non ne vedevo, ora a distanza di pochi giorni le incontro ben due volte: stupendo! Se la prima volta erano poche e striminzite, oggi sono più vigorose, non grandi, che poi veramente grandi le si vedono solo se coltivate, ma robuste e sode, soprattutto oggi sono tante, a decine, forse superano anche il centinaio. Alcune isolate, altre in coppia, altre ancora a formare più o meno ricchi gruppetti, impossibile passare senza fermarsi ad ammirarle, impossibile esimersi dal fotografarle, siamo in forte ritardo sulla tabella di marcia ma che importa, il tempo è stupendo, al buio mancano ancora parecchie ore, godersi la montagna e i suoi piccoli tesori è, a tali condizioni, piacere irrinunciabile.
L’ultima balza, quella della vetta, appare piuttosto ripida, il sentiero l’affronta con alcuni intelligenti diagonali e, quasi senza accorgersene, ecco che ci si trova sulla cresta sommitale, una sottile traccia in bilico tra i ripidi pendii erbosi del versante orientale e le scoscese rupi di quello occidentale. Sotto di noi il Giogo del Maniva con il suo ampio piazzale e i tre alberghi, distintamente si nota l’intenso affollamento sebbene le voci e i rumori quassù arrivino molto attenuati, appena percettibili. Alzando lo sguardo ecco il Rifugio Bonardi, poi i prati del Dasdana, le Colombine, Il Crestoso, il Muffetto e la montagna dei bresciani, il Monte Guglielmo.
Alla base di quest’ultima salita Mara manifesta evidente l’effetto della fatica e sale molto lentamente con dolori e crampi. Attesa e assistita da Emanuele e Pierangelo procede con calma e frequenti pause, inutilmente i compagni, che non si erano avveduti del problema, li attendono sulla vetta del monte: i pochi metri finali richiedono a Mara e ai suo due “infermieri” una buona mezz’ora. Il gruppo di testa, dopo la rituale foto di vetta, decide così di scendere un poco e trovare un posto riparato al vento che sta battendo la cresta sommitale. Vento amico del cammino, piacevole sollievo in una giornata torrida come quella odierna, al contempo possibile fastidio durante la lunga sosta del pranzo.
Il gruppo finalmente si riunisce, appollaiati su un dosso erboso, costantemente visitati da miriade di piccoli insetti abitanti dei pascoli alpini, consumiamo il nostro meritatissimo seppur frugale pasto. Al termine Vittorio ci intrattiene con l’ormai abituale lettura, oggi ha deciso ci incantarci misurandosi in una prova esemplare: ben ventitré pagine. Ovviamente prova largamente superata!
Si riparte e in breve siamo alle macchine, lungo la discesa l’unico incontro, come sempre tranquillo e cordiale, di oggi con altro escursionista: un giovane infermiere che sta velocissimo (sarà di ritorno al parcheggio ancor prima che noi si riparta) salendo alla vetta.
Una sosta al bar del Maniva per salutarci dinnanzi a una bibita e poi via, ognuno a casa propria. Io con gli occhi e la mente pieni di immagini meravigliose, di momenti incommensurabili, della voglia di ripetersi al più presto, della speranza di rivedere un gruppo tanto numeroso ed eterogeneo, della certezza che potremo presto assaporare senza limiti la gioia del nostro doppio stile di vita: montagna e nudo. Penso di poter affermare che gli stessi sentimenti erano nello spirito dei miei compagni di giornata: Vittorio, Marco, Francesca, Luise, Angelo, Alberto, Franca, Alessandro, Mara, Pierangelo, Riccardo, Aurora, Stefan, Attilio, Paola, Stefano, Riccardo. Grazie a tutti voi amici carissimi, grazie alla montagna, grazie agli altri amanti dell’alpe, grazie a coloro che vorranno prossimamente unirsi a noi, vestiti o nudi che siano. Grazie!
12 luglio 2015, Dosso Alto, Collio Val Trompia (BS), sesta escursione di questa stagione nell’ambito del programma “Orgogliosamente Nudi”. Trecento novanta metri di dislivello, partenza dai 1764 metri del Passo del Dosso Alto e arrivo ai 2064 metri del Dosso Alto. Partiti all’incirca alle 11, rientrati alle macchine attorno alle 16.30. 7 ore e mezza in giro per il monte, 7 ore nel più piacevole e più confortevole abbigliamento: la nostra sola pelle.
Album fotografico
Monte Asino, un’importante conferma

Zona di Contatto: incontro di due escursionisti, l’uno nudo e l’altro vestito (foto di Alessandro)
Bene, in questa straordinaria giornata abbiamo avuto anche questo e siamo orgogliosi di poter affermare che sia l’azione del dialogare che i contenuti del dialogo sono stati, dopo un esordio in parte negativo (un caso su cinque ma pur sempre un’evidenza di forte disappunto, anche se poi si è trasformato radicalmente), assolutamente positivi, una conferma a quello che andiamo dicendo e facendo, un importante rinforzo alle nostre condizioni e alla nostra azione.
Un cielo quasi perfettamente azzurro e un sole splendente ci accolgono al Passo di Croce Domini (Breno – BS), conosciutissimo valico frequentato ogni anno da migliaia di motociclisti impegnati in uno dei tre possibili giri che passano da qui. Al momento del ritrovo la temperatura è freschino ma le condizioni atmosferiche lasciano presagire che presto si alzerà adeguatamente e ci consentirà, anche in ragione dello sforzo fisico del cammino, di liberarci da ogni copertura tessile.
Con un ormai purtroppo cronico ritardo sull’orario previsto, ci mettiamo in cammino imboccando proprio d’innanzi al rifugio una ripida stradina sterrata con freccia segnaletica ”Alta via del Caffaro”. Non sapevo che questo itinerario, da me conosciuto come vecchia traccia, fosse stato segnalato e la novità un poco mi preoccupa facendomi presupporre una frequentazione del percorso inadatta ai nostri presupposti di nudità, ma ormai siamo qui, ci sarebbe la possibilità di cambiare percorso ma perché? Ormai abbiamo raccolto tanti di quei segnali di pacifica convivenza che possiamo anche pensare di spingerci un poco più in là e frequentare sentieri un poco meno solitari. Siamo in ballo, balliamo. Avremo forse così la possibilità di ottenere quella risposta sonora di cui nella precedente relazione lamentavo la mancanza, cerchiamola, creiamola!
Dopo un centinaio di ripidi metri abbandoniamo la stradina per imboccare sulla sinistra il sentiero che ci porterà sulla vetta del Monte Bazena da dove potremo prendere l’aerea cresta erbosa che separa la piccola conca di Malga Bazenino dalla Val Fredda. Ripidissimamente si sale seguendo fedelmente il crinale meridionale del Monte Bazena, dietro di noi lo sguardo, limitato solo verso nord, si allarga sempre più sulle montagne e le valli che ci circondano, in ordine da ovest verso est si distinguono chiaramente: il Monte Misa, la Valle di Cadino, il Monte Gera, la Valle Bazenina, la Val Sanguinera, il Monte Mignolo, il Monte Molter, il Monte Crocedomini, la Punta dell’Auccia, i radar del Dasdana, il Crestoso, il Muffetto, la Valle di Croce Domini, La Val Camonica, la Presolana. Sotto di noi, costate presenza (e lo resterà per tutto il giro), il rifugio Croce Domini e il suo affollatissimo piazzale.
Alzatici sufficientemente rispetto al rifugio e vista l’assenza totale di altri escursionisti ci liberiamo delle vesti per continuare il cammino in piena e comoda libertà epidermica, vorremmo liberarci anche dello zaino ma purtroppo questo non è possibile: il montagna a queste quote, siamo prossimi ai duemila metri, il tempo cambia facilmente e rapidamente, la sicurezza impone di avere al seguito sempre e comunque l’abbigliamento necessario per affrontare ogni situazione climatica, questo può trovare posto solo nello zaino il quale, per ora, non ha autonomia di movimento e va necessariamente portato a spalle.
Dato che questa parte di sentiero è anche a me sconosciuta, mi tengo in testa al gruppo, distanziato di qualche centinaio di metri in modo da poter anticipare adeguatamente eventuali difficoltà di percorso o tecniche ed evitare agli altri perdite di tempo e fatica aggiuntiva. Infatti ad un certo punto il sentiero diventa molto stretto e ci sono alcuni metri a picco su di un ripido e franoso canalone, quindi mi fermo per dare assistenza a chi ne avesse eventualmente bisogno. Il gruppo s’è sgranato alquanto e si sono creati tre distinti drappelli, arriva il primo e passa senza problemi, arriva il secondo più numeroso e nel quale c’è anche la bimba di quattro anni, ma anche questa passa senza battere ciglio (in effetti si sta dimostrando un’alpinista in piena regola e sostengo la potremo in futuro vedere impegnata in imprese ben più impegnative).
All’appello mancano ancora tre persone, ma al loro posto arrivano altri due escursionisti, un uomo e una donna, dalla mia posizione non li potevo vedere e nemmeno loro potevano vedere me prima dell’improvviso incontro, come successo in ogni altra occasione ci salutiamo e passano via tranquillamente. Resto fermo nella mia delicata, sono a mezza costa su un ripido prato, posizione in attesa degli ultimi tre miei compagni, fra essi una persona alla sua seconda escursione in montagna e con calzature poco adeguate devo per forza aspettare. Ma non arrivano, sono rimasti molto indietro, al loro posto, invece, sbuca un’altra coppia, prima arriva lui, poi lei. Anche questi mi passano via salutandomi cordialmente però… però poco dopo sento una voce maschile che, chiaramente rivolto alla sua compagna, dice “quello è un esibizionista!” Immediatamente mi giro e faccio le mie rimostranze: “guardi che si sbaglia, se fossi un esibizionista sarei laggiù sul piazzale, oppure in città, non qui in un posto isolato e solitario”. “Lei è un esibizionista” ribatte l’altro. “Ok, va bene, se per lei è così, allora è così, anche se credo di essere ben certo di quello che sono”. La signora a questo punto dice al marito “Lascia perdere” e tutto finisce lì, loro manco s’erano fermati e sono ormai abbastanza lontani, fra poco noteranno i miei compagni, pure loro nudi, e probabilmente capiranno la realtà della situazione, come poi loro stessi ci diranno essere effettivamente successo. Tutto sommato, pensandoci bene, trovarsi una persona nuda, sola e ferma in un punto di passaggio obbligato, per giunta molto stretto, può ben dare adito a qualche perplessità.
Finalmente arrivano anche gli ultimi del gruppo e anch’io posso ripartire. Avanzo velocemente e in breve, facilitato anche dal percorso ormai piano, recupero la testa del gruppo. Vedo che i quattro altri escursionisti si sono pure loro riuniti e sono poco più avanti di noi, dai miei compagni vengo a sapere che alla fine con loro non ci sono stati problemi, anzi hanno pure chiesto informazioni a quello di loro che era completamente vestito: “ma sono per caso dei naturisti? Sono quarant’anni che andiamo in montagna e non avevamo mai visto una cosa del genere”. Attilio risponde ottimamente: “Di più, sono persone che stanno nude ventiquattr’ore al giorno, per cui lo fanno anche in montagna”. Bello, un primo segnale di avvicinamento verbale, di interessamento immediatamente mi viene il desiderio di raggiungerli per riprendere il discorso lasciato in sospeso e che ora sono certo avrebbe una piega totalmente diversa, gli obblighi di gruppo mi frenano e lascio perdere.
Continuiamo in gruppo il nostro cammino seguendo il largo e piano crinale erboso che dal Monte Bazena porta al Monte Paletti. Mentre scendiamo ad una evidente forcella (il Passo di Bazenina) un altro escursionista arriva dalla parte opposta, io con un primo piccolo gruppo di compagni ho già valicato la forcella prima che questa persona vi giunga, s’incontra con Vittorio, in quel momento rimasto solo e vedo che i due si mettono pacificamente a chiacchierare e lo fanno a lungo. Nel frattempo arrivano anche gli altri e tutti riprendono il loro cammino nelle rispettive direzioni. Da Vittorio sapremo che la persona incontrata si è interessata al nostro stile escursionistico ed ha espressamente affermato “se a voi va bene così, va bene anche a me”. Superrrr!
Siamo molto in ritardo sulla tabella di marcia, davanti a noi ancora una breve ma ripida salita priva di sentiero, ritengo necessario proporre una modifica al percorso, anche per non mettere ancor più in difficoltà Daniela che vedo camminare male, oltre che molto lentamente e con continue soste: una netta traccia percorre il versante meridionale del Monte Asino di Bazenina, mi offro per accompagnare Daniela lungo questo percorso mentre gli altri possono proseguire su quello predefinito. Con un poco di dispiacere alla fine si conviene tutti di restare uniti e chi vorrà potrà eventualmente salire alla vetta dall’altro versante durante la sosta del pranzo. Si riparte lungo la traccia che, sebbene da lontano risultasse netta, invero è flebile e a tratti svanisce completamente. Alcuni duri ghiaioni creano qualche problema a Daniela, ma alla fine siamo dall’altra parte e ci si para davanti un meraviglioso prato fiorito, il luogo ideale per la sosta pranzo.
Dopo mangiato Vittorio ci incanta nuovamente con la sua abilità di lettore, rinforzando oltre misura l’emozione di una giornata di libera immersione nella natura. Poi si rientra a valle allungando un poco il percorso per ritardare al massimo il rientro alla confusione della strada asfaltata.
Siamo al bar del rifugio, in me una speranza si fa manifesta: “che bello se quelle persone che abbiamo incontrato nella prima parte della giornata capitino qua, mi piacerebbe proprio risentire la loro opinione, specie quella di chi mi ha apostrofato come esibizionista”.
A volte i desideri ottengono il piacere di esaudirsi e oggi è una di quelle volte: proprio quando stiamo per lasciare il nostro tavolo e andare a pagare il conto ecco che arrivano quelle persone e si siedono proprio davanti alla cassa. Vittorio dietro di me li saluta e sento affermare “vestiti un po’ meglio”. “Beh, dai è già qualcosa”, mi giro e mi avvicino anch’io a loro, saluto e inizia una piacevole conversazione fatta di domande: “ma perché?”, “mi sentirei a disagio”, “tutto che ciondola, non vi dà fastidio?”. Cordialmente rispondiamo ad ogni singola domanda arrivando ad un fantastico “ci proverò”.
Saldato il nostro conto usciamo sul piazzale per gli ultimi saluti, ad un certo punto dietro di me sento una voce ormai nota che chiede “ma di dove siete?” Mi giro e gli spiego che arriviamo da diverse parti dell’Italia Nord Orientale, Angelo li suggerisce di andare a visitare il mio blog e lui risponde affermativamente. Mi viene in mente che ho ancora qualche bigliettino da visita in tasca e subito glie ne consegno uno.
Che dire la giornata è stata magnifica, ma la sua conclusione è stata straordinaria. Ora spero solo di poter vedere quella persona e magari anche i suoi compagni ad una delle nostre prossime escursioni, poco importa se resterà vestita, quello che per ora è più importante è dimostrare praticamente che la pacifica condivisione degli spazi è molto più che solo ipotizzabile.
Mancava il feedback vocale, ora abbiamo anche quello ed è sicuramente di sporne a proseguire sulla strada intrapresa: l’esempio è la nostra strategia migliore, con l’orgoglioso esempio possiamo ottenere spazio e successo, basta aver paura, basta con una retorica forma di rispetto, avanti a (quasi, si quasi perché per ora è ovviamente meglio evitare di mettersi nudi nella folla) tutta!
28 giugno 2015, escursione al Monte Asino di Bazenina lungo la cresta che contorna la conca della Malga di Bazenina.
Luogo splendido, percorso panoramico e meritevole, molti variopinti fori, qualche marmotta, verdi pascoli a perdita d’occhio, visioni ampie e coinvolgenti, prima parte (dal rifugio alla forcella del Passo di Bazenina) su sentiero ora perfettamente tracciato e segnalato, seconda parte (dal Passo di Bazenina al versante meridionale del Monte Asino) un lungo mezza costa per flebile traccia tutto sommato comunque facile da mantenere, ultima parte comoda discesa per prati verso la vicina e ben visibile strada asfaltata, senza raggiungerla si traversa poco sopra in direzione dell’evidente Malga Banzenina che si raggiunge rialzandosi sul versante opposto. Una strada sterrata porta al rifugio Croce Domini. 255 metri di dislivello condensati nella prima ora di cammino, poi solo alternanza di piano e discesa.
Certamente è più accattivante, anche se più faticoso, l’intero percorso di cresta che prevede una breve risalita dopo il Passo di Bazenina (78 metri) ancora lungo il sentiero segnato “Alta via del Caffaro” per poi prendere le tracce di sentiero che solcano la cresta nord ovest del Monte Asino di Bazenina e proseguono in discesa per il suo crinale sud (radi segni).
Grazie agli amici che mi hanno splendidamente accompagnato: Vittorio, Marco, Francesca, Luise, Attilio, Paola, Alessandro, Stefan, Christine, Pierangelo, Angelo, Daniela.
Divagando – Come fosse come
(La rovina del mondo è approfittare di mille occasioni d’oro!)
Le nascoste virtù fanno riferimento alle incomprensibili visioni mattutine o serali quando, come squali, i nostri pensieri fanno irruzione nelle viscere del presente, della memoria e dell’avvenire; intanto non resta che sentire i loro dolci passi che, come crema, rendono edulcorato l’esistere, parola blasfema ed impervia che rimane solo e giusto quando non si può che insistere per “pendere” qualcosa che ci appartiene.
Non di banda musicale per fermare i suonatori. Come se la luna incantasse ed il sole facesse vedere: questo aggiungo ai miei sogni. Osservo e mi dilungo inutilmente e non raccolgo nulla: insomma sempre la stessa solfa. Ma le vele portano doni ed il vento fa da riscontro ai sentimenti dell’uomo, così persi, così selvaggi da sembrare ridicoli. Non è la solita partita quella che si gioca in casa nostra: pochi se ne sono accorti, alcuni addirittura se ne sono andati cercando nei mari altro che sentire! … Altro che passioni!
Vanno e vengono le famosissime melodie come, se non fermarsi in questi mari, fosse solo appartarsi nei luoghi più vari. Che dire di Lei! La rovina del mondo è approfittare di mille occasioni d’oro! La piena consapevolezza e la malinconia conducono a strade disperate dove è impossibile ritrovarsi come se nulla fosse mai accaduto. E’ meglio forse provare? Non è meglio navigare “sotto” le stelle che in loro compagnia? Che cose tristi che dicono … E pensare che avevo fatto già tutti i miei calcoli.
Continuo un estenuante cammino all’insegna della sicura vittoria o della reale sconfitta. Basta! Quello che voglio è un mondo dove correre e saltare, far piangere e far dormire! Corrono anche le macchine, le persone, ma tutto resta fermo come olio su una fetta di pane: mi accorgo che è inutile dilungarsi in analisi della contemporaneità e delle maschere: la vita è circoscritta sempre da due idiomi: dura e bella.
E’ vietato andare avanti, è vietato rovinarsi se non davanti a chi, sempre come mare, da senso a tutti i moti dell’animo. Chiedo aiuto a chi ci sta a pensare e perdono chi mi sa perdonare; per ora, visto che non cambia niente! Acconsente, posso dirlo, e si ritrova chi lavora per mestiere come se fosse perdere anni ed anni. Sì! Gli anni diventano inutilmente pochi e tanti utilmente come concorrenti affamati. La vittoria è vicina, bellissima, truce, imperdibile.
Affezionati come siamo, non impugniamo né rose, né spine di questo tempo. Siamo i soliti conservatori dell’esigenza timida, sfruttata e riciclata, trasformata in un’orda di minuti-secondi selvaggi, tesi allo sbranamento, alla antropofagia, alla misantropia. Ridiamo e saremo felici o piangeremo e saremo tristi?
Simone Belloni Pasquinelli
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