Archivio mensile:marzo 2016
#TappaUnica3V: è primavera :)
Slalomando tra gli alti bianchi macigni esco dal piazzale e m’incammino tra le mille sottili increspature del nero asfalto, attorno a me dall’alto m’osservano le gialle corolle delle simpatiche primule che, discretamente, s’informano sulle mie intenzioni. Piegando leggermente il capo mi mostrano visi sorridenti, mentre con vocina sottile e stridula formulano graditi consigli: “modula il passo, la strada che vuoi fare è lunga assai” mi dice la prima più accosta a me, gli fa eco la compagna appresso “mantieniti idratato e stai attento al fiato”, in coro le altre aggiungono “è una bella giornata, fa freddo ma il sole presto riscalderà l’aria, divertiti”.
Ringrazio le primule e, senza sosta, imbocco la ripida salita, verdi fili d’erba si piegano a proteggermi dal vento, secche bruciate foglie si discostano per rendermi più leggero l’incedere. Lassù in alto, quasi a toccare il cielo, maestosi alberi fanno fremere le loro fronde per salutarmi e incitarmi. Il pendio si fa ancor più ripido, pervengo ad un giardino dorato dove ben più numerose primule abbandonano il loro lavoro per osservarmi, incuneandomi sotto l’ombrello delle loro foglie ne percepisco l’abbraccio formale. Macchie bianche appaiono poco innanzi, violette esultanti stanno festeggiando il loro risveglio dopo il lungo letargo invernale, per un breve attimo mi unisco a loro e insieme brindiamo alzando i calici ricolmi di rugiada.
Mi piacerebbe potermi fermare più a lungo, sdraiarmi sotto gli steli di questi magnifici fiori, farmi cullare dall’ondeggiare delle amache erbose, chiacchierare con le operose formiche e giocare con l’ape dorata che inizia a ronzare alla ricerca del nettare prelibato. Sono tentato ma una lucertola sbarazzina mi distoglie dal sogno ricordandomi del mio obiettivo odierno e allora avanti, in marcia, riprendiamo il faticoso cammino.
Bianco rugoso cemento solcato da mille canaloni, difficile scegliere quale imboccare, difficile sapere quale è il meno tortuoso, quale mi possa portare dall’altra parte in modo più diretto e meno faticoso. “Ehi amico!”, vocina sottile si alza alle mie spalle, “seguimi, vieni con me, ti guido io dall’altra parte”. Formichina gentile, parliamo del più e del meno, il suo nome è Lizzi e abita poco distante, ai piedi di Trulli, un maestoso faggio che per tutti in zona è l’anziano maestro, rispettato e onorato. Chiacchierando nemmeno m’accorgo della strada che scorre, nemmeno percepisco che da tempo sto camminando su un morbido seppur rigido fondo marrone, la terra ha preso il posto del cemento. Lizzi deve tornare sui suoi passi, le compagne attendono le granaglie che lei ha promesso di raccogliere, ci salutiamo e ognuno va per la sua strada.
Violacee pervinche applaudono al mio passaggio, verdi praterie si alternano a intricate selve di foglie secche, qualche bucaneve mi solletica la testa presto imitato dai più aggressivi denti di cane. Bianche rocce sconvolgono un cupo bosco, accecanti riflessi m’illuminano la strada. Inizia la prima discesa, piccoli cristalli di ghiaccio la rendono insidiosa, necessita un attimo di prudenza, ma presto il suolo ritorna tenero e gradevole, riallungo il passo e lesto raggiungo la seconda salita, mille piccole voci si alzano dal bosco, freschi sorrisi e parole d’incitazione: una folla di bucaneve si è raccolta attorno al mio percorso, li ringrazio, stringo loro la mano, alcuni mi abbracciano e ricambio con affetto: “purtroppo non posso fermarmi, vi prometto di tornare a trovarvi in altra occasione e ci faremo un pranzetto coi fiocchi”.
Su, ancora su, irsuti pungitopo mi guardano con sguardo truce: “suvvia miei cari, unitevi al coro festoso, allargate le vostre labbra e sorridete al sole che fa capolino da dietro il monte”, “si, si, hai ragione” mi risponde quello che sembra il capo della compagine “forza ragazzi, allegria!”. Nel sole continua la mia marcia, un sole splendente che rende radioso l’incedere, lo sguardo volge lontano, mille monti nudi si mostrano al mondo intero, semplici e sinceri, antichissimi custodi del sapere infinito. Giù, su, ancora giù e di nuovo su, altalena di salite e discese, terreno vario, a tratti reso rude dalla rigida vegetazione delle zone secche, in altri addolcito dai coloratissimi fiori compagni di quelli già incontrati. Chilometri si sommano ai chilometri, metri ai metri, ore alle ore, sempre più vicina appare la meta, le gambe ormai dure, crampi che spezzano il ritmo: “dai, dai, non cedere, siamo con te”, milioni di fievoli voci, primule, violette, pervinche, denti di leone, denti di cane, pratoline, tutti m’attorniano e mi danno forza e coraggio, il passo torna ad allungarsi, svaniscono i dolori, la fatica è solo un ricordo e… eccolo, ecco il piazzale della partenza, sono arrivato. Grazie amici, grazie fiori, piante, monti, grazie animaletti del bosco, il vostro sostegno è stato essenziale, grazie.
Per la cronaca…
L’itinerario: Cariadeghe (parcheggio degli Alpini), Boca del Zuf, Ucia, Sella di Casina Ecia, Dragoncello, San Vito, Monte Salena, Costa di Monte Denno, Maddalena, Crinale del Monte Poffa, Forte di Sant’Eufemia, Caionvico, Sella della Poffa, Pareti di Santa Lucia, San Vito, Castello di Serle, Val Piana, Cariadeghe.
In totale circa quaranta chilometri per duemila metri di dislivello e otto ore di cammino.
Tanti, tanti fiori, tantissimi, quasi ovunque, una natura esaltante ed esplosiva che mi ha reso piccolo, molto piccolo. La primavera mi ha accompagnato per gran parte del tragitto e… sebbene non nudo come i monti, non nudo come i fiori, non nudo come tutti gli altri animali, non nudo come semplicità chiede, non nudo come il corpo vorrebbe, finalmente ho dato parziale respiro al corpo, a presto quello totale!
Stimolare la #creatività
Un momento di sconforto si capovolge e diviene l’ispirazione per una tecnica risolutiva.
Muri bianchi quasi completamente occupati da mensole in legno, libri, tanti libri, libri d’orni genere, quelli d’informatica, quelli di scienze, quelli di montagna, altri di grafica, altri ancora di subacquea, poi quelli vecchi dell’ITIS, i trofei delle giovanili gare di sci, la stampante 3D in costruzione, piccoli oggetti vari sparsi un poco ovunque a riempire gli spazi vuoti. Al di sotto, appese ai muri, alcune fotografie rievocano momenti di vita.
Nel mezzo della stanza due tavoli formano un’isola, su di essi un computer e due stampanti, qui, seduto su di una grande e comoda poltroncina nera, gli occhi fissi allo schermo, le mani staticamente e delicatamente appoggiate alla tastiera, sto lavorando ad uno dei miei articoli. Da diversi giorni metodicamente dopo la colazione mi sforza di trovare il verso giusto della storia, scrivo qualcosa, ci penso, lo rileggo, penso ancora e… insoddisfatto cancello per poi restare attonito a guardare il…
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#TappaUnica3V, un momento di recupero
Marzo volge al termine, mancano ormai solo quattro mesi all’appuntamento con TappaUnica3V e sto programmando i primi tapponi: percorsi oltre i quaranta chilometri e le dieci ore di cammino. Nel frattempo…
Domenica 13 marzo
L’avevo intuito diversi anni addietro e ne avevo compiuto una breve perlustrazione, poi non avevo più avuto occasione di tornarci. Naturale riprenderlo per questi allenamenti, integrandovi, rispetto all’idea originale, un tratto di ritorno che evitasse di ripercorrere la stessa strada. Studiato, programmato e… fatto!
Partenza dal Colle di Sant’Eusebio, salita al Monte Gnone, traversata per cresta al Monte Sete, discesa intrigante in Val Bertone, risalita al Monte Doppo, spostamento all’Erempo di San Giorgio, discesa a Caino per il sentiero 383, risalita a prendere il Senter Bandit (si ancora lui, ma nel tratto migliore per fortuna), per questo ritorno verso il Colle di Sant’Eusebio a cui si perviene per il bel sentiero che scende dalla Boca del Zuf. In totale almeno venticinque chilometri e 1931 metri di dislivello che ho percorso in sei ore e cinquanta compresi venti minuti di sosta all’Eremo.
È stata un’uscita soddisfacente sotto tutti i punti di vista, meteo discreto, temperatura gradevole, sentieri quasi tutti puliti e ben tracciati, vari scorci panoramici, la primavera fa capolino nell’esplosione di coloratissimi fiori, le gambe girano sempre meglio e il fiato pure. Uniche note dolenti sono la comparsa di dolore ai legamenti delle ginocchia sulle ripide discese più sconnesse e i crampi ai quadricipiti sul finire del giro. Affaticamento? Probabile, sarà opportuno allentare leggermente la pressione in vista dei prossimi ben più gravosi appuntamenti.
Sabato 19 marzo
Secondo allenamento condiviso con gli amici di Mondo Nudo: giro delle contrade di Vallio Terme, dodici chilometri e cinquecento due metri di dislivello, ambedue misurati con precisione.
Stavolta non sono solo, come me ci sono Pier e Alessandro, quest’ultimo arrivato qui niente popò di meno che da Padova. Saltiamo il previsto riscaldamento facendolo direttamente con un primo tratto di cammino a passo moderato, dopo una quindicina di minuti la strada lascia il posto al sentiero e incrementiamo sensibilmente l’andatura favoriti anche dall’andamento ora pianeggiante del percorso. Chiacchierando pressoché in continuazione quasi senza accorgercene arriviamo al punto da dove il percorso inizia a ritornare verso la partenza. Ci si sposta sul versante opposto della valle di Vallio, si risale un poco lungo la strada asfaltata che sale al colle di Sant’Eusebio e poi di nuovo in piano, sebbene con frequenti sali scendi, si rientra al parcheggio. In questa seconda parte i fiori la fanno da padroni, alcuni tratti sembrano dei giardini botanici: estese macchie di gialle primule si alternano ad altrettanto estesi raggruppamenti di pervinche, a contorno gruppetti di bianche violette.
Altra bellissima giornata, questa volta in buona compagnia, grazie Alessandro, grazie Pier.
#TappaUnica3V, un viaggio nel tempo
Martedì 8 marzo
Voci di spensierati ragazzi si aggirano nel bosco, l’azzurro grigiastro delle camicie di tela, il blu variegato e stinto dei jeans, al collo fazzolettoni marroni con righe gialle chiusi sul davanti da un anello di cuoio intrecciato. Corse e rincorse, riunioni cantanti, il cerchio del pranzo, ancora corse, ancora giochi, ancora voci e risa. Il colore delle mille note che salgono al cielo, il sapore della gioia che inonda il bosco, la sensazione d’una socialità semplice eppur perfetta.
Un salto nel tempo, una grande casa nascosta nel fitto di uno scuro bosco, una ripida grigia acciottolata salita, un pesante nero cancello di ferro, decine di persone sedute ai tavoli del licenzino, parole, parole, ancora parole. Un ragazzino s’aggira tra i tavoli, in mano la piccola chiara bottiglietta della preziosa gazzosa, piccoli sorsi per apprezzarne il più a lungo possibile il dolce sapore, i nonni sorridono osservando il loro nipote, tenui sussurri per gratificarne l’educato comportamento.
Cambia la scena, il bosco si fa più chiaro, il tronco robusto di tanti castagni, di sopra, fra le mille tonalità del marrone, l’azzurro d’un cielo ora visibile, poi il verde dell’erica che costella i fianchi d’una piana sterrata stradina, una bionda bimba avanza barcollando sulle deboli gambine, una sorridente ragazza la tiene per mano mentre dietro due robusti occhiali il fratello le osserva correndo qualche passo avanti a loro. Una lucente signora li controlla da debita distanza, una nera macchina fotografica con pozzetto e doppia ottica nasconde il grosso viso di un corpulento signore, sul viso un grande sorriso, grandi mani che sanno essere dolci carezza. Una piccola pozza stagnate, un grande portone di legno adduce ad un portico di grosse multicolorate lastre di porfido, grosse squadrate colonne sostengono un tetto di legno, sulla sinistra un largo e verde terrazzo erboso al cui margine un basso muretto funge da parapetto, sulla destra una serie di piccole porte danno su scure stanze fumose, un caminetto, un tavolo, alcune signore che preparano panini, una cambusa ricolma di bibite di vario genere, fiaschi di vino, brocche dell’acqua raccolta dal pozzo. All’esterno, sul fondo del porticato, una serie di tavoli, attorno ad essi persone sedute. Ciq, cei, tri, quater, mura! Ad un tavolo quattro persone, in piedi, un piede sulla sedia, le mani ai bordi del tavolo, veloci, molto veloci, ad incrocio le mani si alzano per abbassarsi immediatamente sul legno e le dita compongono dei numeri che vengono nel contempo urlati dalle voci: la mora, un gioco molto in voga, simpatico e coinvolgente.
Il cammino di oggi mi porta in luoghi che conosco fin dalla mia più tenera età e la mia mente veleggia tra i mille ricordi: i giochi di scout al Goletto, le giornate coi nonni al bar dell’Alpino condotto da alcuni parenti, le passeggiate di famiglia alla cascina della Margherita dove altri parenti servivano i convenuti, lo zio che gioca alla Mora insieme ai cugini suoi e di mio padre, la raccolta dei prelibati Marroni o la ricerca di altrettanto gustosi funghi, la felicità di splendide giornate, la spensieratezza di un fanciullo.
Poi m’addentro in luoghi meno noti e il pensiero necessariamente si rivolge all’individuazione del giusto percorso fra le tante diramazioni del sentiero. Agli occhi non sfuggono comunque i mille piccoli segni del bosco e della natura, le sfumature di marrone e di giallo delle secche foglie che scricchiolano sotto i piedi inondano il corpo di piacevoli fremiti, il contrastante vivido colore dei fiori il cui tenue profumo s’insinua nelle nari trasformandosi in lievissime scariche elettriche che inebriano il cervello, l’azzurro grigiastro di un cielo nuvoloso che a sprazzi appare tra le fronde degli alberi. Il grigio asfalto della strada di Muratello, di nuovo il chiaro marrone dei sentieri e delle strade sterrate, alcune cascine compaiono a ripetizione rompendo la splendida monotonia dei colori e dei sapori di un inverno autunnale, castagni, tanti castagni, bellissimi castagni. Un verdissimo prato circonda l’ennesima cascina, la scura acqua della Pozza del Sarisì, il conosciuto bianco azzurro del sentiero 3V, la ripida e scabrosa discesa che porta al roccolo del Monte Salena. La cascina di San Vito, ricordi d’una conviviale riunione, colori di camicie in lana, pantaloni alla zuava, calzettoni rossi e pesanti scarponi in cuoio, voci e parole, risa e canti, suoni e vibrazioni, il calore dell’amicizia.
Riparto, ancora sentieri sconosciuti impegnano gli occhi e la testa nella ricerca del giusto tracciato senza per questo distoglierli dall’osservare le gialle primule che inondano in terreno, dei bianchi dente di cane, delle violette nelle due varianti più tipiche, quella viola e quella bianca, il grigio delle rupi che sovrastano la mia testa. Un placido cavallo mi osserva passare, la sorda esplosione di mine da cava, una sorgente, le case di Botticino e di Rezzato si disperdono a vista d’occhio alla base del monte. Santa Lucia, ripida risalita al crinale del Monte Poffa, lo sguardo divaga verso le nevi del Monte Baldo, un mare di grigiastre nuvole nasconde il Lago di Garda. Due foto e poi via, il lungo traverso con vista ai laghetti di San Polo, il verde largo costone del Trinale, una discesa a picco sulle case di Sant’Eufemia, il sordo tremolante calore di muscoli che iniziano a chiedere un poco di riposo. Sentiero numero 12, di nuovo a mezza costa, tornano ricordi d’infanzia, le storie di mio padre che da ragazzo qui veniva a cercare i funghi, le rade visite ai parenti del Buren, la casa dove mio padre viveva ai tempi della guerra, una casa che ho potuto vedere una sola volta restandone talmente colpito d’averla spesso negli occhi, nella mente e nell’animo, ormai diroccata e dispersa nel bosco, mi riprometto di venire a cercarla, promessa, promessa.
Rieccomi all’Alpino, ancora sentiero 3V, ancora il bianco delle nevi e l’azzurro dei cieli riuniti insieme a fare i colori di Brescia, a creare quei segni atti a indicarmi la strada. Medaglioni, la ripida strada acciottolata di via San Gaetanino. Rumori di auto, rientro alla città, asfalto e cemento, cemento e asfalto, semafori, motorini, bicilette, auto, suoni di clacson, sfrigolio di freni, colori d’una civiltà invero civilmente persa, sapori amari, sensazioni fredde e stridenti, contrasto forte coi boschi fra i quali ho vagabondato per quasi cinque ore, con la natura che mi ha a lungo inebriato, peccato non averla potuta assorbire nella nuda pelle, appuntamento però solo rimandato, siamo alla metà di marzo, presto le temperature saliranno e potremo lanciare alle ortiche i nostri vestiti, ridare alla pelle il suo naturale respiro, sentire il solletico dell’aria che scivola nei pori, assaporare il calore dei raggi solari, osservare il nostro vero colore. A presto, a presto, o splendida natura, natura del monte, natura vegetale, natura animale, natura dell’uomo, normale natura del nostro corpo.
La macchina, ritorno a casa, la doccia, frugale pasto, la mente al giorno, il pensiero alla prossima escursione, la pelle fremente nella certezza di un imminente regalo di libertà. A presto!
P.S.
Che magnifico giro, cerchiamo le cose belle lontano da casa e poi loro sono a due passi da noi. Bresciani, provatelo, al cammino o di corsa, merita. Merita veramente. Al più presto ne farò la relazione, devo prima verificare alcune varianti che, togliendo due ripide intermedie salite, lo renderanno più agevole. Ah, come minimo sono trenta chilometri (un giro similare, il tratto Gottardo-San Vito è in comune, riportato su un sito di MTB riporta trentatré chilometri), il dislivello dipende da dove si parte, salendo in auto al Gottardo o a San Vito è limitatissimo. Io l’ho fatto in cinque ore esatte (con partenza e arrivo a Brescia, quindi con massimo dislivello e qualche chilometro in più), direi che ad un passo normale e concedendosi una bella sosta a metà giro (San Vito) si debbano mettere in conto almeno otto ore, meglio ancora nove.
#TappaUnica3V, un attimo di pausa!
Combinazione terribile: taglio ore, cambio contrattuale che ha ora prodotto la prevista batosta fiscale di marzo (speravo di poterla evitare ma niente da fare), ampia perdita economica. Il morale è sceso sotto i piedi e la preoccupazione per l’imminente futuro ha preso il sopravvento spingendomi a riprendere in mano un mio vecchio progetto professionale per rilanciarmi economicamente, questo mi ha ovviamente impegnato parecchio tempo limitando sensibilmente quello che potevo dedicare agli allenamenti per TappaUnica3V. Il lavoro per il lancio di PEARL, il mio servizio di formazione tecnica continua, è tutt’altro che finito, anzi oserei dire che sono nella fase più critica, quella del trovare clientela (fatemi pure pubblicità veh), però innegabile il benefico effetto psicologico di un progetto che già diverse persone hanno definito molto più che interessante.
Sabato 27 febbraio
L’allenamento di oggi è il primo che ho programmato appositamente per aiutare gli amici alla preparazione per le escursioni del programma QuindiciDiciotto. Allenamento leggero, pertanto: sentiero delle Pozze, un semplice giretto di due ore attorno il pianoro tipicamente considerato dai bresciani come “LA” Maddalena, anche se invero la vetta di questo monte è più in alto.
Nessuno si è registrato per l’evento, d’altra parte ho anche scritto che chi voleva poteva comunque venirci anche senza registrarsi, per cui, nonostante il cielo è scuro, le nubi minacciose, e la temperatura prossima allo zero, mi preparo e, con largo anticipo, mi metto in viaggio per il punto di ritrovo, ma…
Ma non salgo in auto fino al piazzale del Cavrelle, arrivo a Sant’Eufemia e mi fermo: partirò a piedi da qui per rendere l’allenamento più conforma alle mie specifiche esigenze. Salgo per il Triinal (Trinale), un evidente e largo costone erboso che con forte pendenza e andamento rettilineo dal piano porta alla parte alta della strada della Maddalena. Parto fortissimo e riesco a tenere il passo fino alla sommità della salita, qui invece di seguire il piano sentiero segnato, proseguo lungo il costone e con un ulteriore tratto di ripida salita mi porto sulla strada asfaltata per andare a prendere l’ultima parte del 3V, che supero quasi di corsa. In meno d’un’ora dalla partenza arrivo al piazzale del Cavrelle giusto all’orario di ritrovo.

Foto d’archivio, tratto scabroso della discesa
Non c’è nessuno, attendo quindici minuti, accorgendomi della temperatura decisamente bassa, e nessuno arriva, per cui mi rimetto in cammino. Faccio per conto mio il previsto giro delle Pozze mettendoci un quarto del tempo previsto e poi di corsa giù per il sentiero numero 1, una discesa impegnativa non tanto per le pendenze raramente importanti, quanto per i diversi tratti cosparsi di massi e lisce lastre rocciose, anche qualche salto. Si è messo a piovigginare e le rocce risultano piuttosto scivolose devo fermare la corsa e procedere al passo con molta attenzione finché arrivo alla stradina che porta sul fondo valle e alle case di Sant’Eufemia. Ottimo test per la caviglia che nella precedente uscita avevo storto, superato alla grande, così come alla grande sono andate le gambe, buono anche il fiato anche se qui desidero lavorarci ancora un poco.
Venerdì 4 marzo
Fino ad ora mi sono allenato solo per il tramite delle escursioni, oggi mi nipote Francesca mi ha convocato in palestra per abbinarci qualcosa di diverso, qualcosa che faccia lavorare anche quei distretti muscolari e articolari che non vengono messi in movimento dal cammino, qualcosa che coinvolga anche l’equilibrio, la postura, e tutti quegli altri micro aspetti che solo se messi insieme formano un corpo tonico e adatto a supportare e sopportare con largo margine tutte le sollecitazioni ipotizzabili per un lungo ininterrotto cammino come quello di TappaUnica3V: la ginnastica.
Dopo l’opportuno riscaldamento all’eccentrica ci spostiamo nella sala degli esercizi a corpo libero e mia nipote mi spiega per bene i vari esercizi che pone nel mio piano di allenamento: un’ora di lavoro che intanto mette in evidenza i gravi problemi di equilibrio a me già noti e che da tempo mi dico di risolvere senza poi mettermici seriamente, poi suona l’allarme per una certa rigidezza generale che pensavo fosse assai meno diffusa e rilevante, infine lascia un’impronta indelebile: a sera dolori un poco dappertutto, dolori che ancora permangono dopo due giorni.
Che dire… grazie Fancesca, mi applicherò per bene anche in questi a me meno piacevoli allenamenti!
Domenica 6 marzo
Avevo programmato una venti chilometri montana attorno alla Maddalena ma per varie ragioni lascio perdere e mi limito a ripetere il test di lentezza, questa volta su otto (quattro + quattro) chilometri. Visto che la volta precedente nonostante l’impegno ero andato troppo veloce, concentrandomi al massimo cerco di tenere un passo ancora più lento. L’essere sorpassato da altre persone che camminano mi indica che sto proprio andando piano, si avvicinano i due chilometri, guardo il cronometro e… cavolo sono ancora troppo veloce. Rallento e procedo, arrivo ai quattro chilometri: quarantaquattro minuti, nooooooo, ancora troppo veloce, proprio non ci riesco ad andare a quattro chilometri l’ora, approssimativamente la velocità media che dovrò tenere durante il giro di TappaUnica3V.
Durante il ritorno calcolo a mente quanti passi devo fare per viaggiare a quattro chilometri l’ora, sono un’ottantina e allora cronometro alla mano provo più volte ma il meglio che mi riesce di fare è di novanta. Ok, può comunque andare, durante il giro finale avrò molti punti di rilevamento tempo, sarà facile gestire la velocità inserendo all’occorrenza anche delle pause.
Consuntivo
Come ad ogni fine mese, aggiorno la tabella dei totali:
- uscite effettuate: 30
- chilometri percorsi (calcolo approssimato per difetto): 440
- metri di dislivello superati (calcolo approssimato per difetto): 24530
- ore di cammino fatte: 114 e 29 minuti (107,02 effettive, 7,27 di soste)
- massimo chilometraggio fatto in unica uscita: 45
- massimo dislivello superato in unica uscita: 2212 metri
- tempo massimo di cammino in unica uscita: 8 ore e 25 minuti
Dove siete o muse del canto?
La testa di un lupo,
una luna splendente,
nel cielo le stelle
il nero fan ribelle.
Lo sguardo sprofonda
nel quadro sul muro,
volano pensieri
oltre le stelle sinceri.
Lontano si sente
il suono d’un flauto,
emerge a stento
dal fruscio del vento.
Trasformazione mentale
ora sono le onde
nel mare rotonde
la mia mente si confonde.
Giornate bigie,
giornate silenti,
il foglio bianco
mi guasta l’incanto.
Son giorni che mancano
si fanno pregare
le muse del canto
di un poeta stanco.
Emanuele Cinelli, 3 marzo 2016
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