Archivio mensile:luglio 2018

Veri amici


I veri amici sono quelli con cui puoi anche litigare ma dopo un secondo è tutto come prima.

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Libro “Il mio 3V” di Luca Regonaschi


È sempre difficile fare la recensione di un libro, si rischia di cadere nello scontato, di reiterare nelle cose già dette per altri libri, di scadere nei luoghi comuni e nelle solite affermazioni iperboliche, per mia fortuna di libri ad oggi ne ho recensiti molto pochi, così posso almeno in parte sentirmi protetto, ritenermi parzialmente esente da alcune delle suddette problematiche e procedere con spirito libero.

Inizio estate 2017, vengo contattato da una persona che non conosco e che mi chiede informazioni sul sentiero 3V, sentiero dedicato a mio padre e che ormai conosco alla perfezione visto che ne ho recentemente tentato la percorrenza in tappa unica fermandomi a poco più di venti chilometri dal traguardo, un viaggio per il quale mi sono studiato il percorso, che salvo bevi tratti mai avevo effettuato, nei minimi dettagli, percorrendolo più volte per intero ma a singole distinte tratte. Un lavoro, questo, intenso e interessante che mi ha dato tantissimi insegnamenti evocandomi così l’idea di metterli a frutto, di mettermi a disposizione di chiunque volesse percorrere questo sentiero e così, come appena fatto con altra persona, passo a Luca tutte le informazioni che mi chiede e gli offro la mia collaborazione anche per il seguito.

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Agosto 2017, Luca parte per la sua avventura sul sentiero 3V, lo seguo a distanza per il tramite di alcuni contatti telefonici, gli dipano in tempo reale alcuni dubbi e incertezze, lo sostengo e lo incito. Maddalena, Conche, Sonclino, Vaghezza, Maniva, “dai Luca sei al giro di boa, ora inizia la discesa”. Hai voglia della discesa, ci sono ancora migliaia di metri da fare, anche in salita: è solo una discesa virtuale, quella discesa che ti dipingi nella mente al fine di renderti più agevole il cammino. Luca procede deciso e, pian piano, lascia dietro di sé metri e chilometri: Monte Campione, Monte Guglielmo (l’antico Cölmen poi storpiato nel passaggio dal dialetto all’austriaco degli antichi topografi e da questo all’italiano), Croce di Marone, Almana, Zoadello, Pizzo Cornacchia, Quarone, Santuario della Stella, Monte Peso, Campiani, Picastello. Ecco che ai suoi piedi appare nuovamente la città, l’ultima discesa ed è fatta, s’infila nella stradina ciottolosa che entra tra le prime case di Urago Mella e perviene al suo meritato traguardo. Seppure a distanza esulto con lui per la splendida riuscita del suo viaggio e lo esorto a scrivermi un resoconto da pubblicare sul mio blog, dove, fra le altre cose, ho creato una sezione specifica per il sentiero 3V.

Giugno 2018, Luca, stimolato dallo scritto fatto per il mio blog e trovandosi materiale già pronto, mi chiede l’autorizzazione per utilizzarlo nella realizzazione di un libro: “ci mancherebbe altro, manco devi chiedermelo, è materiale tuo, per me è stato un onore pubblicarlo ma resta tuo e ci puoi fare quello che vuoi”.

Luglio 2018, Luca non perde tempo, giusto il tempo di rivedere gli scritti e aggiungervi qualche appunto sulla storia del sentiero ed ecco che il libro è pronto, il 27 viene ufficialmente presentato presso il Comune di Isorella, suo luogo natale. La sala straborda di persone, molte persone, cento, duecento, forse anche più, ci si deve stringere per far entrare tutti nella piccola Sala Consiliare, Luca è visibilmente commosso da questo afflusso, si aspettava tanti amici e parenti, ma qui ci sono tanti altri, più o meno conosciuti, più o meno sconosciuti, sono strafelice per lui e… per il 3V: tutti e due meritano successo, ambedue meritano siffatta attenzione.

Ma il libro? Ehm, si, il libro. “Il mio 3V – Il sentiero delle Tre Valli bresciane – Secondo me –“ di Luca Regonaschi edito Marco Serra Tarantola. Resoconto emozionale, coinvolgente descrizione che ci accompagna passo passo nelle emozioni vissute, negli incontri fatti, nei dubbi e nelle incertezze, nelle paure, eh si perché ci sono anche queste, e nelle soddisfazioni che un solo percorso a tappe sa creare e donare a chi lo percorre. Luca è un ragazzo solare, aperto, tutto il mio contrario, attacca facilmente bottone e lo si capisce benissimo man mano che si procede nella lettura: rapporti non solo convenzionali coi gestori delle strutture in cui pernotta, amicizie che si formano ad ogni incontro, il coinvolgimento in una festa di compleanno, l’ospitalità notturna di un lumezzanese, i cercatori di funghi della Vaghezza, Sergio e Nicola casualmente incontrati sulle tracce e via dicendo. Lo stile narrativo dello scritto ne rende fluida la lettura, la cominci e non te ne stacchi più, parola dopo parola, riga dopo riga, pagina dopo pagina, anche tu sali e scendi le montagne, anche tu ti perdi nel vortice emozionale e nella fatica, anche tu soffi e affanni chilometro dopo chilometro, anche tu tremi e sorridi, anche tu parli con le persone e la natura, anche tu disegni la tua discesa virtuale e ti incammini felice verso il traguardo, vedi la città sotto i tuoi piedi, percorri l’ultima discesa, entri in Urago e ne calpesti il ciottolato, ammiri con soddisfazione la targa che ne identifica la fine, gioisci del risultato. Un’oretta e volti il retro di copertina desideroso di metterti in cammino, la mente rivolta alla montagna, le gambe frementi di mettersi in moto, il cuore che già pompa per darti energia, una sola parola si visualizza davanti ai tuoi occhi: 3V.

Bravo Luca, un ottimo aiuto alla conoscenza del sentiero 3V “Silvano Cinelli”, la migliore risposta a quella domanda che ti poni nello stesso libro “cosa posso fare per contribuire alla conoscenza di questo percorso?” Ecco non solo ti sei risposto, ma l’hai fatto. Grazie Luca, grazie a nome del sentiero, grazie a nome di mio padre, grazie a nome mio personale e… segnatelo sul taccuino: fra poco ci riprovo io, poi un 3V ce lo facciamo insieme, magari in tappa unica, ma anche a tappe o, perché no, in ambedue le soluzioni (non credo nel 2019, forse nel 2020, la percorrenza a tappe la proporrò nell’ambito degli eventi VivAlpe del mio blog, siete tutti invitati).

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Aglio


Veder togliere l’aglio dalla pentola è una cosa che mi fa letteralmente incazzare.

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Corsa in montagna


Per poterci correre in montagna bisogna andarci moltissimo e non sempre di corsa!

Ma perchè?


Ma…

Ma perché metti la cravatta se poi ogni tre per due devi passarci dentro il dito per dare sollievo al collo?

Ma perché porti la minigonna se poi devi abbassarne il bordo ogni due minuti?

Ma perché porti la gonna lunga se poi ogni tot devi agitarla per dare respiro alle gambe?

Ma perché porti le mutande se poi devi tirane gli elastici ogni dieci secondi?

Ma perché mangi vestito se poi devi metterti il bavaglione o il tovagliolo per non sbrodolarti?

Ma perché metti il costume da bagno se poi devi cambiartelo ad ogni più piccola entrata in acqua e sei sempre dietro a svuotarlo dalla sabbia?

Ma perché usi il costume se poi ad ogni primavera devi torturarti con la prova costume?

Ma perché ti vesti se poi devi essere preoccupato di quello che dice la moda?

Ma perché ti vesti se sei a casa tua e, magari, anche da solo?

Ma perché ti vesti se poi devi cambiarti ogni quattro ore perché i vestiti sono sudati?

Ma perché ti vesti se poi devi sbuffare per il mancato respiro del corpo?

Ma perché ti vesti se poi devi brontolare per il fastidio del condizionatore?

Ma perché vivi vestito se devi continuamente mostrare fastidio per gli abiti che indossi?

Perchè?

#nudiènormale #nudièmeglio

Zaino Grivel Mountain Runner 20


Sai com’è, ci sono delle cose che, anche se viste per pochi secondi, ti colpiscono profondamente nella mente da rimanerci indelebili e ritornare continuamente a farsi sentire, di più, a farsi vedere come nitide immagini di realtà aumentata: tu stai camminando e te le vedi davanti, stai lavorando e le vedi sovrapposte a quello che stai facendo, stai dormendo e ti appaiono nei sogni. Inutile, per quanto tu faccia non riesci a liberartene: ti dici che non ti servono e loro, impudenti, tornano alla carica, ti dici che magari non sono così belle come sembrano e loro, irrispettose, ti scrivono nella mente “provami”, ti dici che hai già speso troppo e loro, maleducate, si mettono a farti i conti in tasca. Oggetti empatici, talmente empatici da ricalcare i tuoi sentimenti e farli loro, alla fine non hai scampo, devi dargli ascolto, devi farle tue.

Portamento dello zaino

Così è stato per questo zaino da corsa in montagna, tenutosi nascosto mentre ne cercavo uno, poi apparso improvvisamente ai miei occhi poco tempo dopo aver fatto l’acquisto: nero e giallo com’era nero e giallo un mio precedente zaino da arrampicata che mi aveva egregiamente accompagnato in montagna per tantissimi anni; elegante e compatto com’era elegante e compatto quell’altro, della stessa marca, con la stessa forza attrattiva. L’altro, dopo avermi allo stesso modo prepotentemente catturato, m’aveva dato un prestigioso servizio e se tanto mi dà tanto.

Capita, poi, che le forze si combinino insieme arrivando a trasformare un microcosmo di sensazioni in un macrocosmo di desiderio, in un irrefrenabile impulso all’acquisto: il primo zaino da corsa si dimostra inadeguato alle mie esigenze, di più, si rileva proprio un brutto zaino. Così eccolo qui, davanti a me, sul mio tavolo, ormai parte di me, di un me che lo guarda estasiato, che, nonostante l’abbia già fatto in negozio, ancora lo gira e lo rigira esaminandolo nei minimi dettagli, di un me che ha già trovato e rimediato una piccolissima mancanza: il gancio portachiavi (invero, qualche settimana dopo scopro l’esistenza di un piccolo velcro la cui funzione appare essere proprio questa). Nel contempo ne sto già apprezzando la forma perfetta e la magica struttura, già sogno le prossime avventure in compagnia del nuovissimo zaino giallo e nero, in compagnia di questo bellissimo Grivel Mountain Runner 20.

In linea di principio sarebbe troppo presto per farne una recensione, tutto sommato sono passate poche settimane dall’acquisto e l’ho utilizzato per poche volte e pochi chilometri, ma è troppo bello, troppo funzionale, troppo troppo per attendere oltre, d’altronde ci ho comunque fatto un giro di trenta chilometri con duemiquattrocento metri di dislivello tirato al massimo con diversi lunghi tratti di corsa, inoltre ho una certa esperienza di zaini (invero non solo di quelli) e posso ben farne la valutazione quasi solo guardandoli.

La forma è perfettamente cilindrica (una delle due sole forme ammissibili per uno zaino: cilindro e gerla), bordi laterali paralleli, base piana, fronte che si sviluppa perfettamente in verticale per quasi l’intero zaino e solo nei pressi della sommità s’inclina per unirsi al dorso con una parte superiore stretta e piana. Un colpo d’occhio che fa presagire un’ottima portabilità del carico, una perfetta vestibilità e una grande stabilità dell’insieme, un colpo d’occhio, tra l’altro, decisamente gradevole e a me reso ancor più piacevole dall’indovinata combinazione di colori: il nero della struttura generale dello zaino, il giallo delle cerniere e delle varie tasche, le piccole striscette bianche degli elementi riflettenti e i quattro baffi rossi del sistema di regolazione della taglia.

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Molto leggero (550g) rispetto agli zaini da escursionismo ma, sebbene i venti litri di volume un poco giustifichino la cosa, ancora un poco più pesante di molti suoi compagni da corsa. Fatto con un mix di tessuti che appaiono tutti assai robusti, solo la maglina delle varie tasche appare critica potendo strapparsi a seguito dell’impigliamento di rami e spine, comunque è sempre applicata sopra il tessuto principale per cui eventuali rotture si possono fino ad un certo punto ignorare e poi facilmente sistemare con ago e filo. Non vengono date le specifiche tecniche del tessuto, la prova pratica ha dimostrato un’ottima traspirabilità e l’assenza di impermeabilizzazione (ma con trattamento di idrorepellenza, grazie al quale l’acqua scivola via sotto forma di palline sferiche rallentando l’infradiciamento del tessuto e del contenuto).

Estremamente confortevole (praticamente non lo si sente addosso), lo zaino veste benissimo, è molto stabile e rimane bello alto sulla schiena determinando il miglior portamento possibile: baricentro ben più in alto del nostro e molto vicino alla schiena per un carico verticale senza momento torcente all’indietro.

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Lo spazio di carico è stato suddiviso in tre distinti comparti, ognuno con la sua cerniera di accesso e la sua specificità d’uso, cosa che tiene adeguatamente separati i vari materiali e rende possibile un’ottima distribuzione del peso.

Il comparto a contatto con la schiena è, incomprensibilmente, il più capiente. Comodamente accessibile attraverso una cerniera laterale verticale lunga quasi quanto l’intera altezza dello zaino, contiene il velcro per appenderci la sacca idrica (operazione invero leggermente difficoltosa, specie a comparto pieno, e che richiede l’appoggio su un tavolo o altra superficie orizzontale) e quello, a mia deduzione data la sua piccola dimensione, per appendere le chiavi (purtroppo collocato in una posizione che le rende si molto accessibili ma anche facilmente perdibili). Data la generosa capienza di questo comparto, dopo l’inserimento della sacca idrica avanza ancora spazio che, pur dovendosi tener conto del diretto contatto con la schiena e del dorso che non isola dal sudore, possiamo sfruttare per collocare altro materiale. Sulla spalla destra è presente l’unica feritoia, chiusa con velcro, per l’uscita del tubetto dalla sacca idrica.

Il comparto centrale ha, su ambedue le facce, la spalmatura su un lato del tessuto che lo rende (quasi) impermeabile. Vi si accede attraverso una lunga cerniera che inizia alla base dello zaino, ne risale per intero un lato e prosegue lungo tutta la parte superiore. Due cursori a scorrimento opposto permettono, posizionandoli in corrispondenza della curva, di differenziare l’apertura e l’accesso: laterale e superiore. Qui metto gli elementi asciutti dell’abbigliamento tenendoli rigorosamente ben piegati e piatti. Purtroppo è tanto sottile che ci si riesce a collocare molto poco e il suo volume è in conflitto con quello del comparto più esterno.

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Il comparto più esterno è il più piccolo ma offre comunque una bella capienza. Chiuso da una cerniera posta orizzontalmente nella parte alta del fronte, ha un accesso decisamente comodo (vi passa l’intera mano e avanza ancora spazio). Qui vi trovano naturale collocazione tutti i materiali più piccoli quali barrette, gel, portafoglio, documenti, kit di pronto soccorso, chiavi (manca un moschettoncino per appenderle, ma ho facilmente rimediato cucendo, sul bordino interno della cerniera, un’asola di stoffa con piccolo moschettone super leggero), smartphone (da tenere in apposita custodia stagna: ci si perde dentro e può rovinarsi nel contatto con gli altri oggetti).

Sul fronte dello zaino è presente una capiente tasca in maglina elastica chiusa con un velcro centrale: appare la collocazione ideale per il materiale di utilizzo più frequente ma discontinuo, quale i guanti, il berretto, la maglia del secondo strato, il gilet antivento o, per chi si mette nudo, maglia e pantaloncini.

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Lungo i fianchi dello zaino sono presenti due cordini elastici di variazione volumetrica, passano in anelli di fettuccia che ne permettono uno scorrimento uniforme. La loro regolazione avviene in alto sopra la spalla, soluzione molto comoda in quanto fruibile anche a zaino indossato. Detto cordino è di discreto diametro facendo così ipotizzare un limitatissimo effetto taglio sui passanti.

Alla base dello zaino è presente altro cordino elastico (in realtà il cordino potrebbe essere uno solo che fa tutto il giro, ma essendo fissato allo zaino nelle sue due parti laterali inferiori è come se fossero tre) con un cursore di tensionamento al centro, anche questo utilizzabile a zaino indossato. Qui (vedi nota a fondo pagina) come capito dopo qualche mese d’uso (io non li utilizzo) vanno fissati i bastoncini, ma, in assenza di questi, vi si può fissare una giacca termica, un sacco da bivacco o un piccolo materassino. L’ho trovato assi utile, a zaino poco carico, anche per stringere meglio la parte basale dello zaino e spingere più verso l’alto il materiale (in tale situazione tende a depositarsi tutto sul fondo abbassando il baricentro e creando un poco di fastidio).

Il sistema di tensionamento per il variatore volumetrico sul fondo dello zaino

Le uniche due fibbie presenti sono pratiche e robuste, leggermente troppo piccole per una buona manipolazione con le mani indurite dal freddo o con i guanti. Sono altrettanto robuste tutte le altre parti in plastica. Le cerniere scorrono tutte molto bene, non sono stagne (e per lo scomparto principale questo potrebbe rappresentare una criticità: sarebbe stata forse opportuna una piccola sottile patta impermeabile di copertura della parte superiore), dispongono di piccoli tiretti in metallo il cui utilizzo è reso più agevole da asole di robusto cordino annegate in comode prese plastiche, non molto grandi ma sufficienti per una buona presa, forse andavano fatte un poco più ruvide.

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Il fondo dello zaino non è rinforzato, cosa logica in ragione della tipologia corsaiola e dell’esigenza di contenimento del peso. Quando riempito sta in piedi anche da solo ma dipende da quanto e cosa ci abbiamo messo dentro, oltre che da come abbiamo sistemato il materiale: è consigliabile metterlo sempre sdraiato a terra o appoggiato a qualcosa.

Come per tutti gli zaini da corsa non esiste uno schienalino rigido o semirigido, questo zaino non ha nemmeno una pur leggerissima imbottitura: solo un trasparentissimo (quindi traspirabilissimo) tessuto a maglia con rinforzi diagonali incrociati (Padded Air Mesh, un tessuto confortevole anche a torso nudo) separa la schiena dal materiale presente nel limitrofo comparto dello zaino. Tale tessuto trattiene pochissimo il sudore e questo evita il classico colpo di gelo quando si reindossa lo zaino dopo una breve sosta. D’altra parte lo trasferisce quasi per intero sull’eventuale materiale presente nel comparto principale, cosa da tenere ben presente quando si sceglie cosa metterci: dopo varie sperimentazioni alla fine ho optato per l’utilizzo di un leggerissimo sacchetto in tessuto impermeabile in cui mettere il materiale che qui voglio collocare.

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Dal dorso due ali si prolungano nella parte inferiore ad abbracciare il torace e altre due si allungano nella parte superiore ad avvolgere le spalle. Tutte fatte con lo stesso tessuto del dorso, quelle superiori sono rinforzate all’esterno con il tessuto principale (Air Mesh), cucito solo ai lati per lasciare spazio all’ingegnoso sistema di regolazione della taglia di cui parlo più avanti. Sull’esterno delle ali inferiori sono applicate due tasche (una per ala), abbastanza capienti (ci sta benissimo uno smartphone con schermo da cinque pollici) e servite da una cerniera superiore a tutta lunghezza (si fatica un pochetto a farci passare il suddetto smartphone, comunque l’operazione è fattibile anche a zaino indossato). Esternamente a queste due tasche è presente (una per lato) un’ulteriore capiente (ci sta comodamente una maglia tecnica o anche un paio di pantaloncini, persino di quelli a mezza coscia) tasca formata mediante il tessuto a maglia elastica e chiusa da un piccolo velcro centrale. Sulla loro faccia interna, invece, è ricavato il vano per fissaggio, mediante il già citato sistema di regolazione della taglia, degli spallacci.

Gli spallacci, in Padded Air Mesh rinforzato sui soli bordi, sono confortevolmente dimensionati e leggermente elastici, quel tanto che basta a favorire l’indossamento dello zaino senza mettere a repentaglio il suo sostentamento; chi corre a torso nudo potrebbe sentire l’esigenza di usare dei copricapezzoli, camminando nessun problema.

Particolare interno dello spallaccio

Come detto sono collegati al corpo dello zaino mediante un ingegnoso sistema di regolazione della taglia: gli spallacci non sono, come sempre, cuciti al dorso nella loro parte alta e collegati in basso con la fettuccia regolabile, bensì scorrono liberamente all’interno delle dette sedi realizzate nelle quattro ali che si prolungano dal dorso, pezzi di lungo e largo velcro fissano gli spallacci alle ali. Staccato il velcro (operazione piuttosto complessa che, d’altra parte, presumibilmente andrà fatta solo a zaino nuovo), aiutandosi con le opposte fascette di tessuto (rosse), si fanno scorrere gli spallacci all’interno delle sedi fino ad ottenere il posizionamento desiderato; tale operazione, purtroppo, data l’automatica richiusura del velcro quando si tolgono le dita dalla sede per far scorrere lo spallaccio, richiede la ripetizione della complessa regolazione almeno due o tre volte, ma poi è fatta e siete a posto per sempre. Quattro robuste striscette graduate (da +2 a -2) permettono di avere evidenza del posizionamento, che può essere identico su tutti e quattro i punti oppure differenziato in modo da adattarsi al meglio alla conformazione della persona. Se durante l’operazione di apertura del velcro lo spallaccio dovesse inavvertitamente uscire dalla sua sede, la fettuccia rossa, bloccata allo zaino, gli impedisce di staccarsi del tutto e poi lo si rimette in sede facilmente.

Sul lato frontale degli spallacci sono applicate altre tre tasche per spallaccio: una è il portaborraccia. Quest’ultimo, posizionato poco sopra la base dello spallaccio, è leggermente basso ma comunque compatibile con ogni tipo di borraccia rigida e floscia; essendo chiuso con cordino elastico e cursore può diventare anche un portamateriali (ci sta una canotta o un paio di pantaloncini da corsa); ha un foro di scarico sul fondo rifinito con anellino metallico; un asola in cordino elastico (generata con un semplice nodo) è fissata poco sopra per stabilizzare l’eventuale pipetta lunga della borraccia, purtroppo non è fissato allo spallaccio in modo rigido ma con in piccolo anellino di fettuccia che ne permette la rotazione e la caduta all’interno della tasca finendo bloccato tra questa e la borraccia.

Alla base dello spallaccio c’è una taschina orizzontale con chiusura in velcro, bella larga ma un po’ troppo corta comunque comodissima. In alto, verso la spalla, la terza tasca, senza chiusura salvo il bordino elastico, comodissima per tenerci la barretta di primo utilizzo e il dispenser della crema da sole. Ai lati di ogni portaborraccia ci sono due taschine in maglina elastica, abbastanza larghe da potervi infilare persino uno smartphone con schermo da cinque pollici, manca una fettuccina per aprirle agevolmente indossando i guanti. Grazie alle cerniere molto scorrevoli e ai pezzettini di velcro correttamente dimensionati, tutte le tasche sono accessibili senza togliere lo zaino anche per chi, come il sottoscritto, non abbia una grande articolabilità della spalla e del braccio.

Sugli spallacci sono montati il fischietto d’emergenza, posizionato in alto a destra è facilmente accessibile ma non si può modificare la sua posizione, e i due cinturini pettorali. Questi ultimi si possono far scorrere onde trovarne la migliore collocazione in conformazione al proprio torace, hanno il lato corto (comunque non troppo, quel tanto che lo lascia agevole da utilizzare) elastico e il lato lungo, con sistema di regolazione, rigido; la lunghezza delle fettucce di questi cinturini è eccessiva, in particolare quello più alto che se anche tirato al massimo rimane troppo lasco (e il mio torace non è propriamente stretto), inoltre manca un pratico sistema di raccolta e fissaggio della parte eccedente.

Due asoline sullo spallaccio destro permettono di stabilizzare il tubetto della sacca dell’acqua, mentre manca una clip per fissarne il terminale (non tutte le camelbag ne hanno una in dotazione), ho comunque trovato a tale scopo pratico il cordino che chiude i portaborraccia.

L’anellino per il passaggio del tubetto della sacca idrica

Mancano: un sistema specifico per il fissaggio dei bastoncini (anche se a me non serve visto che non utilizzo i bastoncini), si possono infilare sotto il cordino del variatore volumetrico ma l’operazione richiede di togliere lo zaino; un aggancio sullo spallaccio per l’orologio (c’è chi preferisce non tenerlo al braccio specie col caldo e camminando nudo); la classica maniglia di trasporto nella parte superiore dello zaino (per brevi spostamenti all’interno di luoghi affollati è scomodo usare uno spallaccio e può dare intralcio metterselo a spalle); una tasca stagna per il solo smartphone; un fissaggio più sicuro per le chiavi; una piccola tasca portadocumenti in posizione riparata e chiusa da una cerniera. Come già detto, modificherei anche il volume dei due comparti più grandi, riducendo quello a contatto con la schiena e ampliando quello stagno centrale. Vedrei molto bene una versione femminile.

In conclusione, questo Grivel Mountain Runner 20 necessita magari di attenzione nel carico dei materiali (mentre si è in marcia è invece tipico cacciarli dentro alla belle meglio) ed è poco agevole il fissaggio della sacca idrica, ma è proprio un bello zaino, pratico, comodo, stabile: è un piacere camminare e correre con lui sulle spalle. Decisamente promosso e consigliabile.

Importante integrazione consequenziale a un utilizzo sulla lunga distanza.

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Vista dorsale dello zaino

Che schifo il nudo!


 

Proposta indecenteSocial, quotidiano generico, post sul nudismo, tra i diversi commenti positivi o indifferenti ne spicca uno di una ragazza: “ma che schifo, proprio mi darebbe fastidio se in spiaggia mi trovassi a fianco un uomo con la banana al vento o una donna con la topa in bella mostra”. Ci si potrebbe immaginare una ragazza che disprezza il sesso e che vive nello stile di una suora di clausura e invece no, invece scopro che apprezza le foto e i post sul sesso, che pubblica lei stessa materiale di questo tipo, che utilizza normalmente un linguaggio scurrile! E allora, che forse il pene va mostrato solo quando è turgido e la vulva solo quando è bagnata?  Che forse mentre si sta facendo sesso il corpo è diverso da quello di quando si è tranquillamente stesi nudi in una spiaggia o di quando si cammina per un sentiero o di ogni altra situazione che non abbia nulla a che fare con l’attività sessuale? Suvvia!

#nudiènormale #nudièmeglio

“Il mio 3V” di Luca Regonaschi -presentazione


Dopo la serie di racconti pubblicata su questo stesso blog, Luca arriva alle stampe raccontando tutti i dettagli del suo viaggio sulle tracce del Sentiero 3V “Silvano Cinelli”:

“Il mio 3V – Il sentiero delle tre valli secondo me”
di Luca Regonaschi
Serra Tarantola Editore

Venerdì 27 luglio presso la Sala Consiliare di Isorella (BS), Piazza Roma 4, con la partecipazione del Comune di Isorella e della Sezione di Bozzolo del Calub Alpino Italiano ci sarà la presentazione ufficiale. A seguire un piccolo rinfresco.

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Camminare in montagna – Allenamento base


Prosegue da… Alimentazione e idratazione


Premessa importante: è certamente possibile praticare escursionismo senza fare specifici allenamenti, vorrà dire che ogni escursione sarà allenamento per la successiva con l’inevitabile conseguenza che ogni uscita sarà dolorosa e faticosa. Uhm, forse è meglio, molto meglio, allenarsi in modo specifico e godersi tutte le escursioni!

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Con allenamento base mi riferisco a quell’attività complementare all’escursionismo che ci permette di arrivare a camminare per sei ore continuative a una velocità media di due chilometri all’ora indipendentemente dalla tipologia di percorso: strada, mulattiera, sentiero o terreno vergine; piano, salita, discesa, misto. Potrebbe sembrare una prestazione banale ma vi assicuro che non lo è e vi invito a non fare confronti con le tempistiche che potete trovare su guide e cartine dato che è facile trovare discrepanze anche notevoli: a volte si riesce a stare abbondantemente nel tempo indicato, altre si fa molta fatica o addirittura non ci si riesce. In questa sede non è comunque importante risolvere il quesito, diciamo che ognuno può trovarsi i propri parametri di valutazione e poi fare riferimento a sé stesso.

Detto questo, come capire se ci si può considerare a posto con l’allenamento di base? Se già praticate da tempo l’escursionismo la cosa è facile, dovete solo rispondere alla seguente domanda: “riuscite a rispettare l’indicazione di riferimento sopra esposta?” Se potete rispondere “si sempre” allora siete a posto; se dovete rispondere “no, mai” oppure “quasi mai” o “solo alcune volte”, allora dovete decisamente seguire un programma di allenamento più o meno completo che definirete attraverso i test che riporto più sotto, test che ovviamente dovranno fare senza chiedersi nulla tutti coloro che non sono mai stati in montagna o in totale hanno fatto meno di trenta escursioni.

IMG-20170711-WA0012Sei sono gli aspetti che incidono sulla prestazione escursionistica, dobbiamo valutarli e allenarli tutti quanti: la forza mentale che ci permette di sopportare fatica e dolori portandoci a superare vari limiti soggettivi e, quindi, alla fine condiziona tutto il resto; la velocità che, per quanto qui ci interessa, equivale alla forza specifica dei muscoli delle gambe; la resistenza che è sostanzialmente legata all’attivazione di certi adattamenti fisiologici; la resistenza in velocità che è la combinazione dei due precedenti fattori; la propriocettività che determina l’equilibrio; la forza generale visto che il cammino coinvolge quasi per intero il nostro sistema muscolo-articolare.

Per ottimizzare il processo prima di tutto conviene fare l’intera serie di valutazioni, saremo così in grado di capire cosa allenare e come allenarlo.

Valutare la forza mentale

0548_ph. carla cinelli_edCome detto la forza mentale influenza tutti gli altri fattori prestazionali ed è pertanto il primo che andiamo a valutare. Il metodo più semplice e rapido è quello di fare una corsa:

  • indossare indumenti comodi e adeguati alla temperatura (tuta da ginnastica o pantaloncini e maglietta, ad esempio, ma anche niente se si ha la fortuna di poterlo fare);
  • trovare una strada pianeggiante (per comodità, ma va bene anche in salita o in discesa o con alternanza delle due) meglio se a fondo regolare (asfalto o sterrato) onde evitare la possibilità di prendere delle storte;
  • camminare a passo veloce (diciamo il sessanta percento della massima velocità che si è in grado di produrre e mantenere) per una decina di minuti al fine di compiere un adeguato riscaldamento;
  • a questo punto aumentare sensibilmente la velocità (ottanta percento) e tenerla per cinque minuti;
  • ora passare alla corsa con una velocità che ci porti poco (per non farsi del male) oltre la nostra zona di comfort (la frequenza cardiaca deve salire a centotrenta battiti al minuto) e mantenerla senza variazioni di velocità finché il fiato si fa pesante o le gambe diventano dure e pesanti;
  • rallentare leggermente ma sensibilmente e tentare di continuare a correre, ci riusciamo?

Se si riesce a correre ancora almeno per dieci minuti ci si può (per il livello escursionistico di base) ritenere a posto, in caso contrario dovremo allenare la nostra forza mentale.

Valutare la velocità

0145_ph-alberto-quaresmini_edNon è facile separare la velocità dalla resistenza dato che, alla fine, le due cose sono pur sempre collegate tra loro, ci sarebbe anche da prendere in considerazione la differenza tra le tipologie di fondo e le diverse inclinazioni che può assumere un percorso, ma per ora possiamo ignorare tutto questo: quello che vogliamo valutare (ed eventualmente allenare) è la capacità del nostro organismo di produrre e supportare una data velocità.

  • Scegliere un percorso pianeggiante (per escludere l’incidenza di eventuali deficit nella forza muscolare specifica e/o generica) su strada asfaltata o sterrato (per non crearci problemi di equilibrio o articolabilità di anche e caviglie) con una lunghezza di due chilometri.
  • Camminare in scioltezza (la respirazione dev’essere regolare e poco più profonda del nostro solito, si deve riuscire a parlare, se abbiamo modo di controllarla possiamo basarci sulla frequenza cardiaca che deve restare attorno ai novanta battiti al minuto) dall’inizio alla fine (non cambiare velocità).
  • Quanto tempo ci abbiamo messo? Se non arriviamo a coprire l’intera distanza calcoliamo quella coperta per usarla come quota di partenza nell’allenamento della velocità (che a quel punto diventerà un allenamento di velocità e resistenza).

Se ci abbiamo messo non più di un’ora possiamo considerarci a posto, altrimenti dobbiamo allenare la nostra velocità.

Valutare la resistenza

0891_ph. alberto quaresmini_edQui vogliamo verificare se i nostri muscoli sono in grado di lavorare per le sei ore continuative che ho definito come riferimento del livello escursionistico di base.

  • Scegliere un percorso pianeggiante con una lunghezza di dodici chilometri (quella che corrisponde ai due chilometri all’ora per sei ore che rappresentano il riferimento del livello base).
  • Percorrerlo camminando per sei ore in scioltezza (la respirazione dev’essere regolare e poco più profonda del nostro solito, bisogna riuscire a parlare, eventualmente se abbiamo modo di controllarla possiamo basarci sulla frequenza cardiaca che deve restare attorno ai novanta battiti al minuto);
  • Allo scadere della sesta ora fermarsi anche se non si è coperta l’intera lunghezza dei dodici chilometri.
  • La velocità è rimasta costante?

Se la velocità è rimasta costante siamo a posto, altrimenti dobbiamo allenarci sulla resistenza.

Valutare la resistenza in velocità

0389_ph-fabio-corradini_edQuesto test è da farsi solo se abbiamo superato ambedue i precedenti e serve per verificare se siamo in grado di mantenere i due chilometri all’ora per tutte le sei ore definite come tempo di riferimento per il livello base.

  • Scegliere un percorso pianeggiante con una lunghezza di dodici chilometri.
  • Percorrerlo mantenendo dall’inizio alla fine la velocità di due chilometri all’ora.
  • Ci siamo riusciti?

Se si siamo a posto, altrimenti dobbiamo allenare la nostra resistenza in velocità.

Valutare la propriocettività

Jpeg

Al livello escursionistico di base non sarebbe un aspetto fondamentale, senonché c’è pur sempre un discorso di sicurezza: camminare su un fondo irregolare può metterci in difficoltà e cadere in certe circostanze (sentiero esposto, prati ripidi, paretine rocciose e altre similari situazioni nelle quali anche l’escursionista medio può venirsi a trovare) potrebbe voler dire rischiare infortuni anche gravi, se non addirittura la morte.

Riusciamo a stare in equilibro a occhi chiusi senza sbilanciarci per almeno trenta secondi sia sulla sola gamba destra che sulla sola gamba sinistra? Se si siamo a posto, altrimenti dobbiamo migliorare la nostra propriocettività.

Valutare la forza generale

A livello di base non abbiamo bisogno di fare una valutazione specifica: se abbiamo superato i precedenti test abbiamo una forza generale di certo adeguata, altrimenti potremmo aver bisogno di qualche esercizio specifico per aiutarci nel miglioramento degli altri fattori.

Allenare la mente

DSC_0172Come già visto con una forza mentale troppo debole non potremo allenare le restanti qualità, quindi è necessariamente la prima cosa su cui lavorare.

  • Indossare indumenti comodi e adeguati alla temperatura (tuta da ginnastica o pantaloncini e maglietta, ad esempio, ma anche niente se si ha la fortuna di poterlo fare).
  • Trovare una strada pianeggiante (per comodità, ma va bene anche in salita o in discesa o con alternanza delle due) meglio se a fondo regolare (asfalto o sterrato) onde evitare la possibilità di prendere delle storte.
  • Camminare a passo veloce (diciamo il sessanta percento della massima velocità che si è in grado di produrre e mantenere) per una decina di minuti al fine di compiere un adeguato riscaldamento.
  • A questo punto aumentare sensibilmente la velocità (ottanta percento) e tenerla per cinque minuti.
  • Ora passare alla corsa con una velocità che ci porti poco (per non farsi del male) oltre la nostra zona di comfort (la frequenza cardiaca deve salire a centotrenta battiti al minuto) e mantenerla senza variazioni di velocità finché il fiato si fa pesante o le gambe diventano dure e pesanti.
  • Rallentare leggermente ma sensibilmente e continuare a correre finché ci riesce; l’obiettivo è portare questo tempo a venti minuti.

Allenare la velocità

IMG_20180425_102246Una volta che siamo a posto con la forza mentale possiamo dedicarci alla velocità. I percorsi saranno su strada asfaltata o sterrata (il fondo liscio e regolare ci consente di fare confronti migliori fra le varie sedute, specie se cambiamo ogni volta percorso, utile per non annoiarsi) e pianeggianti (per escludere l’incidenza di eventuali problemi di forza specifica); fare sei allenamenti (sei giorni consecutivi) a settimana, il settimo eseguire recupero passivo (non fare escursioni ne camminate) o attivo (fare una breve camminata a blanda velocità), se nella settimana programmate un’escursione rimandate l’allenamento alla settimana successiva ponendoci in mezzo un giorno di recupero passivo. Partire dal livello che si ritiene di poter già eseguire senza problemi (se poi così non fosse retrocederemo a quello immediatamente precedente); camminare senza soste ne fermate; alla prima esecuzione procedere alla velocità che si pensa di poter mantenere per l’intero percorso (se poi non ci riusciremo alla successiva seduta adotteremo una velocità sensibilmente più bassa), di seduta in seduta aumenteremo progressivamente la nostra velocità. Passare al livello successivo o, per l’ultimo livello, alla fase che segue solo dopo che per tre settimane si riesce a completare il percorso nel riferimento indicato come obiettivo del livello corrente senza avvertire forte stanchezza e/o dolori né in tempo reale né nelle quarantotto ore successive. Nel caso che la stanchezza o i dolori siano ancora presenti al momento di effettuare la nuova sessione di allenamento, la rimanderemo, se comparissero nel corso della seduta la interromperemo immediatamente, riprenderemo l’allenamento alla scomparsa della fatica e dei dolori, comunque non prima di due giorni. Eventuali escursioni che potremmo fare nel frattempo le useremo per valutare i benefici dell’allenamento ma non le computeremo come seduta di allenamento.

  1. Da farsi solo se nella valutazione di velocità non si è raggiunto il chilometro. Iniziando dalla distanza raggiunta nella valutazione e incrementandola, man mano che si copre il percorso senza problemi, di cento metri, arrivare a camminare un chilometro.
  2. Camminare per un chilometro con un tempo di percorrenza che, man mano che si copre il percorso senza problemi, va diminuito di due minuti fino coprire il percorso in trenta minuti.

Allenare la resistenza

IMG_0860Acquisita la necessaria velocità di base ci possiamo dedicare al rinforzo della resistenza. I percorsi saranno ancora su strada asfaltata o sterrata e pianeggianti. Partire dal livello che si ritiene di poter già eseguire senza problemi (se poi così non fosse retrocederemo a quello immediatamente precedente); camminare senza soste ne fermate; procedere in scioltezza (la respirazione dev’essere regolare e poco più profonda del vostro solito, bisogna riuscire a parlare, eventualmente se abbiamo modo di controllarla possiamo basarci sulla frequenza cardiaca che deve restare attorno ai novanta battiti al minuto). Passare al livello successivo o, per l’ultimo livello, alla fase che segue solo dopo che per tre settimane si riesce a completare il livello corrente senza diminuire la velocità e senza avvertire forte stanchezza e/o dolori né in tempo reale né nelle quarantotto ore successive. Nel caso che la stanchezza o i dolori siano ancora presenti al momento di effettuare la nuova sessione di allenamento, la rimanderemo, se comparissero nel corso della seduta la interromperemo immediatamente, riprenderemo l’allenamento alla scomparsa della fatica e dei dolori, comunque non prima di due giorni. Eventuali escursioni che potremmo fare nel frattempo le useremo per valutare i benefici dell’allenamento ma non le computeremo come seduta di allenamento.

  1. Un’ora. Tre volte a settimana (giorni non consecutivi).
  2. Un’ora e mezza. Due volte a settimana (giorni non consecutivi).
  3. Due ore. Due volte a settimana (giorni non consecutivi).
  4. Tre ore. Almeno una volta a settimana.
  5. Quattro ore. Almeno una volta a settimana.
  6. Cinque ore. Almeno una volta a settimana.
  7. Sei ore. Almeno una volta a settimana.

Allenare la resistenza in velocità

IMG-20170711-WA0006Acquisita anche la necessaria resistenza ci possiamo dedicare al rinforzo della resistenza in velocità. I percorsi saranno ancora su strada asfaltata o sterrata e pianeggianti. Partire dal livello che si ritiene di poter già eseguire senza problemi (se poi così non fosse retrocederemo a quello immediatamente precedente); camminare senza soste ne fermate; procedere, finché ci si riesce, ad una velocità costante di due chilometri all’ora. Passare al livello successivo o, per l’ultimo livello, alla fase che segue solo dopo che per tre settimane si riesce a completare il livello corrente senza diminuire la velocità e senza avvertire forte stanchezza e/o dolori né in tempo reale né nelle quarantotto ore successive. Nel caso che la stanchezza o i dolori siano ancora presenti al momento di effettuare la nuova sessione di allenamento, la rimanderemo, se comparissero nel corso della seduta la interromperemo immediatamente, riprenderemo l’allenamento alla scomparsa della fatica e dei dolori, comunque non prima di due giorni. Eventuali escursioni che potremmo fare nel frattempo le useremo per valutare i benefici dell’allenamento ma non le computeremo come seduta di allenamento.

  1. Due chilometri. Tre volte a settimana (giorni non consecutivi).
  2. Tre chilometri. Due volte a settimana (giorni non consecutivi).
  3. Quattro chilometri. Almeno una volta a settimana.
  4. Cinque chilometri. Almeno una volta a settimana.
  5. Sei chilometri. Almeno una volta a settimana.
  6. Sette chilometri. Almeno una volta a settimana.
  7. Otto chilometri. Almeno una volta a settimana.
  8. Nove chilometri. Almeno una volta a settimana.
  9. Dieci chilometri. Almeno una volta a settimana.
  10. Undici chilometri. Almeno una volta a settimana.
  11. Dodici chilometri. Almeno una volta a settimana.

Allenare la resistenza in salita

DSC06471Fino ad ora abbiamo lavorato in piano, ma le escursioni comportano salite e discese, dobbiamo allora dedicare attenzione anche alla resistenza in salita. I percorsi, che saranno ancora su strada asfaltata o sterrata (se si hanno difficoltà a reperire percorsi di questa tipologia si possono sfruttare anche combinazioni con mulattiere o sentieri a patto che siano abbastanza regolari sia come fondo che come pendenza), ora saranno tutti da dodici chilometri e composti in parte uguale (anche con alternanza ripetuta) sia da salita che da discesa (se avete modo di farvi venire a prendere in auto o di rientrare con mezzi di servizio pubblici potete anche fare tutta salita); il dislivello indicato non è la somma di positivo e negativo ma il singolo valore di salita (positivo) e di discesa (negativo), se fate solo salita dovete raddoppiarlo onde mantenere la stessa inclinazione media (sarà difficile avere un’inclinazione costante, ma tutto sommato poco importa, meglio comunque utilizzare lo stesso percorso fino al completamento di un livello); fare almeno un allenamento a settimana. Partire dal livello che si ritiene di poter già eseguire senza problemi (se poi così non fosse retrocederemo a quello immediatamente precedente); camminare senza soste ne fermate; procedere, finché ci si riesce, ad una velocità costante di due chilometri all’ora (essendo in salita sarà difficile avere una pendenza costante e, quindi, una velocità realmente costante, potete basarvi sulla velocità media computata sul chilometro o, meglio, sul mezzo chilometro). Passare al livello successivo solo dopo che per tre settimane si riesce a completare il percorso corrente nel tempo di sei ore senza avvertire forte stanchezza e/o dolori né in tempo reale né nelle quarantotto ore successive. Nel caso che la stanchezza o i dolori siano ancora presenti al momento di effettuare la nuova sessione di allenamento, la rimanderemo, se comparissero nel corso della seduta la interromperemo immediatamente, riprenderemo l’allenamento alla scomparsa della fatica e dei dolori, comunque non prima di due giorni. Eventuali escursioni che potremmo fare nel frattempo le useremo per valutare i benefici dell’allenamento ma non le computeremo come seduta di allenamento, a meno che non abbiano caratteristiche conformi o superiori a quelle del livello di allenamento corrente e la velocità minima di cammino (velocità media computata sul chilometro o, meglio, sul mezzo chilometro) sia coincidente o superiore ai due chilometri all’ora.

  1. Trecento metri di dislivello.
  2. Quattrocento metri di dislivello.
  3. Cinquecento metri di dislivello.
  4. Seicento metri di dislivello.
  5. Settecento metri di dislivello.
  6. Ottocento metri di dislivello.
  7. Novecento metri di dislivello.
  8. Mille metri di dislivello.

Allenare la propriocettiva

Questa fase può invero essere eseguita anche in sovrapposizione alla precedente. A questo punto le nostre prestazioni escursionistiche saranno decisamente conformi all’obiettivo prefissato e indicato come riferimento per il livello di base, ma, fino ad ora, abbiamo lavorato su fondi regolari e nelle uscite in montagna potremmo rilevare problemi nel mantenere l’equilibrio, passiamo quindi ad allenare la propriocettività; consiglio vivamente di fare questi esercizi a corpo nudo, potremo più facilmente verificare il posizionamento e percepire l’equilibrio. Iniziare dal livello che si ritiene di poter già eseguire senza problemi (se poi così non fosse retrocederemo a quello immediatamente precedente) e passare al livello successivo solo dopo che per tre settimane si riesce a completare il livello corrente senza sbilanciamenti, nemmeno lievi. Durante ogni esercizio la testa dev’essere in posizione di riposo (dritta e con il mento lievemente abbassato: non dovete sentire tensioni alla nuca e sulle spalle), tenere lo sguardo dritto davanti a voi (le prime volte potreste essere tentati ad abbassarlo per migliorare la stabilità, se proprio non riuscite ad evitarlo bene, ma ripetete il livello fino a che riuscite a tenerlo costantemente alto). Se perdete la stabilità, rimettetevi in equilibrio e continuate l’esercizio fino ad esaurimento del tempo.

  1. IMG_0943In piedi, piedi alla larghezza delle anche, ben dritti e allineati fra loro, braccia distese lungo i fianchi, occhi aperti. Mantenere la posizione per un minuto.
  2. In piedi, piedi alla larghezza delle anche, ben dritti e allineati fra loro, braccia distese lungo i fianchi, occhi aperti. Mantenere la posizione per due minuti.
  3. In piedi, piedi alla larghezza delle anche, ben dritti e allineati fra loro, braccia distese lungo i fianchi, occhi aperti. Mantenere la posizione per tre minuti.
  4. In piedi, piedi alla larghezza delle anche, ben dritti e allineati fra loro, braccia distese lungo i fianchi, occhi chiusi. Mantenere la posizione per un minuto.
  5. In piedi, piedi alla larghezza delle anche, ben dritti e allineati fra loro, braccia distese lungo i fianchi, occhi chiusi. Mantenere la posizione per due minuti.
  6. In piedi, piedi alla larghezza delle anche, ben dritti e allineati fra loro, braccia distese lungo i fianchi, occhi chiusi. Mantenere la posizione per tre minuti.
  7. In piedi sulla sola gamba destra, piede ben dritto in avanti, braccia distese lungo i fianchi, occhi aperti. Mantenere la posizione per un minuto. Ripetere con la gamba sinistra.
  8. In piedi sulla sola gamba destra, piede ben dritto in avanti, braccia distese lungo i fianchi, occhi aperti. Mantenere la posizione per due minuti. Ripetere con la gamba sinistra.
  9. In piedi sulla sola gamba destra, piede ben dritto in avanti, braccia distese lungo i fianchi, occhi aperti. Mantenere la posizione per tre minuti. Ripetere con la gamba sinistra.
  10. In piedi sulla sola gamba destra, piede ben dritto in avanti, braccia distese lungo i fianchi, occhi aperti. Mantenere la posizione per quattro minuti. Ripetere con la gamba sinistra.
  11. In piedi sulla sola gamba destra, piede ben dritto in avanti, braccia distese lungo i fianchi, occhi aperti. Mantenere la posizione per cinque minuti. Ripetere con la gamba sinistra.

Allenare la forza generale

Questa fase può essere eseguita anche in sovrapposizione (mescolandole o tenendole differenziate) alla precedente. A questo punto, se ne abbiamo bisogno (ad esempio test di valutazione negativo, dolori alla schiena o alle braccia o alle caviglie durante o dopo le escursioni, difficoltà nel superare i tratti gradinati o singoli gradini molto alti, crampi a gambe o polpacci nelle salite ripide), possiamo lavorare sulla nostra forza generale. A questo livello non abbiamo di fare grandi cose, solo pochi esercizi da ripetere almeno due volte alla settimana fino alla risoluzione dei detti problemi; consiglio vivamente di farli a corpo nudo. Non sono un insegnante di ginnastica né un allenatore pertanto quanto segue è solo l’elenco di alcuni degli esercizi che ho usato e ancora quotidianamente utilizzo per i miei allenamenti (sono contemplati anche alcuni esercizi di allungamento e articolabilità utili alla prevenzione di certi traumi), liberi di trovarne altri o di rivolgervi a un personal trainer.

  1. IMG_0998Flessibilità della caviglia (nel cammino è molto importante: più la caviglia è flessibile più potremo sfruttare, in salita quanto in discesa, l’appoggio dell’intera suola riducendo lo scivolamento; nelle discese ripide, poi, è importante riuscire ad appoggiare prima la punta del piede, cosa che richiede una buona estensioni in avanti dello stesso) – In piedi, una mano appoggiata su un tavolo o altro sostegno stabile ad altezza dei vostri fianchi, alzare la gamba destra di circa trenta gradi, estendere il piede in avanti fino a sentire una discreta tensione sopra la tibia, mantenere la posizione un secondo, flettere il piede all’indietro fino a sentire una discreta tensione sul polpaccio, mantenere la posizione per un secondo. Ripetere dieci volte senta intervallo. Ripetere con il piede (e gamba) sinistro.
  2. Articolabilità della caviglia (ci preserva dalle storte molto più di quanto possano fare delle morbide pedule alte) – In piedi, una mano appoggiata su un tavolo o altro sostegno stabile ad altezza dei vostri fianchi, alzare la gamba destra di circa trenta gradi, ruotare il piede verso l’esterno per dieci volte cercando la massima estensione articolare in ogni direzione. Ripetere con il piede (e gamba) sinistro. Ripetere ruotando il piede verso l’interno.
  3. Allungamento polpacci (li riscalda per il successivo esercizio) – Appoggiarsi con le punte dei piedi su un rialzo di almeno venti centimetri (gradino), mantenendo la posizione eretta abbassare il tallone fino a percepire una discreta tensione al polpaccio, mantenere la posizione per quindici secondi, alzarsi sulle punte dei piedi, mantenere la posizione cinque secondi, tornare in posizione di partenza. Ripetere tre volte con 5 secondi di intervallo.
  4. Rinforzo polpacci (nelle salite ripide, quelle che ci portano a lavorare più di punta che con l’intera pianta del piede, sono molto sollecitati) – In piedi, piedi alla larghezza delle anche tenendoli paralleli fra loro, braccia distese lungo i fianchi. Sollevarsi sulla punta delle dita e subito ridiscendere con il tallone a terra. Ripetere dieci volte senza intervallo.
  5. IMG_0983Allungamento quadricipiti (li riscalda per il successivo esercizio) – In ginocchio, gambe avvicinate ma che non si toccano, parallele tra loro, piedi in estensione, mani appoggiate sui quadricipiti o lasciate distese lungo i fianchi. Abbassare i glutei avvicinandoli ai talloni, se sentite dolore alle ginocchia o ai quadricipiti ponete le mani in appoggio a terra e scaricate sule braccia una parte del vostro peso (oppure cambiate esercizio: in piedi, alzare il piede destro da terra e impugnare la caviglia con la mano corrispondente, tirando con la mano portare il tallone verso il gluteo, mantenere la posizione per quindici secondi, portare il piede a terra e ripetere con l’altro piede), arrivate a sentire una discreta tensione sui quadricipiti, mantenete la posizione per dieci secondi e poi riportatevi nella posizione di partenza. Ripetere tre volte con un recupero passivo di quindici secondi, dopo l’ultima ripetizione non fare il recupero ma passere immediatamente all’esercizio successivo.
  6. Rilassamento legamenti del ginocchio (probabilmente sollecitati e induriti dall’esercizio precedente) – Seduti, gambe avvicinate ma non unite, distese in avanti, piedi a martello, braccia allungate indietro, mani in appoggio a terra, busto eretto o appena inclinato all’indietro. Spingere le ginocchia verso il basso fino a far rientrare la rotula (si nota la formazione di due fossette, una per lato, sui fianchi delle ginocchia), mantenere la posizione per trenta secondi.
  7. IMG_0957Rinforzo quadricipiti (di certo il distretto muscolare che più di tutti lavora nel cammino in salita) – Posizionarsi di fronte a un gradino (panca, sedia, l’importante che diano un appoggio stabile e robusto) alto all’incirca quanto le nostre ginocchia, in piedi, gambe alla larghezza delle anche, piedi paralleli fra loro. Inspirare, alzare il piede destro e posizionarlo sopra il gradino, spostare leggermente in avanti il bacino (il nostro baricentro deve portarsi sulla verticale del tallone posto sul gradino), spingendo sulla gamba piegata espirando sollevarsi estendendo completamente la gamba destra fino a poter appoggiare il piede sul gradino vicino al destro, immediatamente rialzare il piede sinistro e, senza farlo cadere violentemente a terra, inspirando riportarlo a terra tenendolo esteso (permette di ammortizzare il contatto con il terreno). Ripetere dieci volte senza intervallo. Ripetere con la gamba sinistra.
  8. IMG_0979Rinforzo del core (col termine “core” ci si riferisce all’insieme muscolare che rappresenta il centro del nostro corpo: addominali, dorsali, eccetera; anche se non sembra, avere un core tonico e sufficientemente potente è importantissimo ai fini di un cammino più efficiente e senza dolori, specie alla schiena) – Ci sono molti esercizi per il core, molti sono specifici per uno o pochi muscoli, alcuni richiedono una valutazione posturale prima d’essere utilizzati, uno è generico e praticabile da tutti: il plank. Mettersi in ginocchio, piedi a martello, appoggiare gli avambracci a terra piuttosto avanti (troverete la misura giusta con due o tre prove), raddrizzando le ginocchia sollevarsi da terra portando le spalle sulla verticale dei gomiti (che restano appoggiati a terra) e mettendo il corpo in linea, mantenere in linea anche il collo e la testa, lo sguardo deve cadere sui polsi. Respirando normalmente mantenere la posizione del plank per dieci secondi. Ripetere tre volte con un intervallo di trenta secondi, durante i quali si resta seduti senza fare niente (recupero passivo).
  9. IMG_0989Rinforzo braccia (nel cammino sono coinvolte solo se si utilizzano i bastoncini, in ogni caso è sempre bene mantenere un equilibrio tra i vari gruppi muscolari per cui un poco di allenamento anche per queste non guasta) – Inginocchiarsi, piedi a martello leggermente discosti, appoggiare le mani a terra in linea con le spalle e sensibilmente allargate, dita in avanti, a braccia ben distese sollevare le ginocchia da terra, mettere il corpo bene in linea compreso il collo e la testa, sguardo verso le mani. Inspirando piegare le braccia senza allargare i gomiti che devono restare il più vicino possibile al busto (scendendo all’indietro invece che in fuori), il corpo deve restare perfettamente allineato, Arrivati con il mento che sfiora il terreno, espirando ridistendete le braccia fino a tornare nella posizione di partenza, attenzione a non inarcare la schiena. Eseguire cinque piegamenti, se non ci si riesce invece di appoggiarsi solo sulle punte dei piedi si possono appoggiare anche le ginocchia (tenendo i piedi sollevati da terra uniti o incrociati). Ripetere tre volte con un intervallo di trenta secondi, durante i quali si resta in ginocchio a braccia distese verso il basso senza fare niente (recupero passivo).

Mantenere la prestazione di base

Abbiamo, magari con una discreta fatica e qualche dolore, raggiunta la prestazione di base, come possiamo mantenerla? Se da qui in avanti faremo un’escursione alla settimana possiamo limitarci agli esercizi di forza generale da eseguirsi almeno due volte alla settimana, se necessario incrementando un poco il carico (aumento dei tempi o/e delle ripetizioni), in caso contrario sarà opportuno effettuare almeno un allenamento alla settimana: su strada asfaltata o sterrata pianeggiante un’ora di cammino (se fate più di un allenamento a settimana potete ridurre a quaranta minuti) a velocità di quattro chilometri l’ora o mezz’ora di corsa blanda (sei/sette chilometri l’ora).

Sitografia di riferimento e approfondimento

Mondo Nudo – Computare il tempo di percorrenza di un sentiero escursionistico

Mondo Nudo – Scala delle difficoltà escursionistiche


Continua in…  Allenamento avanzato


Riepilogo globale della serie Camminare in montagna (con qualche infiltrazione dovuta alla natura stessa dei motori di ricerca)

Tu ci credi all’osteopatia?


 

asphalt clouds endurance grass

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Preambolo

Gita di gruppo, stiamo piacevolmente camminando lungo una stradina che taglia incolti prati, gli occhi sono invasi dai mille colori del monte, la mente occupata a riconoscere essenze e memorizzare immagini. All’improvviso una fredda lama s’insinua nelle mie orecchie, rimbalza sui timpani, scuote gli ossicini, scorre spavalda lungo il nervo acustico e presuntuosa irrompe nel cervello: “recentemente sono stata dall’osteopata ma non ne ho sentito benefici, tu ci credi all’osteopatia?” “Aarghh, perchè sconvolgere sul nascere una giornata di escursione montana? Perchè impegnarsi in siffatti complessi discorsi? Va beh, facciamocene una ragione e un articolo!”

Prima di tutto una notizia: è cosa recente e magari a qualcuno è scappata, l’osteopatia è ora una disciplina medica ufficiale a tutti gli effetti, è stata riconosciuta ed è stato istituito il relativo ordine. Che ne deduciamo? Che al di la dei nostri personalissimi pareri nell’osteopatia ora ci credono anche i medici e gli scienziati, magari non tutti, ma la maggior parte si, le loro rappresentanze si, le istituzioni e il ministero competente. Questa potrebbe e dovrebbe essere risposta sufficiente ma… ecco anche il mio pensiero e la mia esperienza.

Io credo…

Credo che il nostro corpo abbia delle incredibili capacità autocurative, credo che la nostra mente sia in grado di fare molto più di quello che la stragrande maggioranza di noi, ivi compreso me stesso, riesce a fargli fare, credo che troppi medici si limitino a valutare la sintomatologia in funzione del solo ristretto specifico distretto, credo che si sia persa (o forse mai realmente trovata) la cooperazione tra specialisti dei diversi settori, credo che la medicina tradizionale si sia troppo allontanata dal concetto d’insieme e, salvo medici particolarmente illuminati, si sia opportunisticamente arroccata su posizioni che l’esperienza storica dovrebbe far intuire essere necessariamente provvisorie e quindi non ergibili a verità uniche ed assolute, credo che l’obiettivo primario dei medici dovrebbe essere quello di mantenerti in ottima salute e non quello di curarti quando ti ammali.

Credo che l’osteopatia e l’osteopata siano ad oggi quasi gli unici a guardare l’insieme del corpo, a prendere i sintomi e farteli scivolare addosso, farli interagire tra di loro e con l’intero corpo, trovare le loro connessioni, le origini più misteriose. Credo che l’osteopatia e l’osteopata siano oggi spesso la migliore soluzione per risolvere traumi muscolari e articolari, ma anche altro. Credo che allo stato attuale delle cose in assenza di fratture, dove l’osteopata potrà tornare utile solo a posteriori, solo in fase di recupero e riabilitazione, l’osteopata possa spesso essere la prima strada da intraprendere. Credo che all’osteopata ci si dovrebbe rivolgere prima di intraprendere percorsi sportivi (ma anche non sportivi) potenzialmente traumatici (ma quali non lo sono?). Credo che l’osteopata dovrebbe affiancarsi al medico di base e seguirci dalla nascita alla morte.

Risolve? Beh, visto quello che ho poc’anzi scritto direi che la mia risposta può essere solo affermativa, però voglio e devo specificarla meglio: l’osteopata non fa miracoli e la sua manipolazione, perchè l’osteopata non fa massaggi ma manipolazioni, se può talvolta apportare immediati benefici non necessariamente questo capita, la manipolazione attiva i meccanismi autocurativi del nostro corpo e questi sono meccanismi lenti, per sentirne gli effetti bisogna aspettare del tempo anche qualche mese.

La mia esperienza pratica

Primavera 2017, mi sto allenando per TappaUnica3V, da circa un mese ad ogni uscita in montagna dopo una decina di chilometri il ginocchio sinistro dolorosamente s’ingrippa, vi si aggiungono dolori diffusi ad ambedue le ginocchia: nelle discese il piegamento della gamba si blocca a un terzo della sua possibile estensione. Medico, radiologo, ortopedico, tac, ortopedico, tutti concentrati sul solo ginocchio sinistro e sul suo doloroso blocco articolare, nessuna considerazione per il resto. Dagli esami radiologici risultano solo segni artrosici diffusi e due esostosi, l’ortopedico dichiara che non ho nulla e mi prescrive solo l’utilizzo per alcuni giorni di cerotti antidolorifici. Ovviamente la situazione non si risolve, passano si i dolori diffusi, invero ignorati nel corso del protocollo medico, ma resta l’ingrippamento, oggetto delle visite e mia preoccupazione primaria.

Giugno dello stesso anno, ad un raduno sto parlando con alcuni amici del mio problema e dal gruppo limitrofo esce una persona che mi si avvicina e si presenta, è un osteopata, ha sentito quello che dicevo e, dopo avermi rassicurato sulle sue credenziali (decisamente di rilievo) si offre di farmi una manipolazione.  Accetto e… Subito dopo il trattamento sento solo il corpo molto più sciolto del solito, provo a fare una corsa sulla collina presente in zona, salita e discesa ripidissime con in mezzo un diagonale impegnativo: tutto bene, comunque il percorso è molto corto per cui mi riservo di valutare con uscita più lunga in montagna. Qualche ora dopo camminando avanti e indietro per l’ampio prato dove ha sede il raduno nitidamente avverto un’impressione strana, mi ci si concentro e… mi sembra di camminare sollevato da terra!

Nelle successive uscite, come del resto preannunciato dall’amico osteopata (“non aspettarti molto da una sola manipolazione”), l’ingrippamento del ginocchio si ripresenta, ci mette di più a uscire ma esce, a breve devo partire per il lungo viaggio di TappaUNica3V (130km e 9000m in unica tratta), che faccio? Visto che me ne aveva parlato l’osteopata mi procuro dei Tape e, studiandone l’utilizzo su Internet, li applico secondo quella che a mio parere è la soluzione più consona. Nell’ultimo allenamento tutto procede bene per cui mantengo il Tape anche per TappaUnica3V, dove purtroppo altri problemi mi fermeranno prima del tempo.

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Fine estate, si è man mano attenuato fino a svanire del tutto. Autunno inoltrato, nelle ultime settimane ho percepito dei cambiamenti nel mio fisico: il cammino è più leggero, l’appoggio più centrale, le ginocchia più sciolte. Osservandomi allo specchio noto che le mie gambe sono più dritte. Sarà effetto degli allenamenti alla tavola oscillante che ho introdotto sul finire dell’estate? Uhm, forse, ma sono più propenso a credere nell’effetto sul lungo tempo della manipolazione osteopatica, eventualmente in combinazione con il resto, resto con partecipazione secondaria. In ogni caso il problema al ginocchio non si è più presentato, sono risaltati fuori i dolori diffusi, si è stirato un legamento, ho avuto problemi in altri settori articolari, ma l’ingrippamento è completamente svanito, ma nessuno dei nuovi dolori è stato bloccante, nessuno è durato più di tanto (eccetto alcuni dolorini alle ginocchia legati ai segni artrosici diffusi, coi quali devo necessariamente conviverci ma la manipolazione osteopatica li ha alleviati), tutti svaniti nel giro di poco tempo. Beh, di certo un bel cambiamento e con una sola manipolazione.

“Emanuele, ci credi all’osteopatia?”

Si, si, ci credo all’osteopatia, eccome se ci credo, bisogna solo non aspettarsi miracoli e avere pazienza!

Utopia



L’utopia è un concetto inventato e usato dagli uomini per giustificare la propria immobilità e/o per indurre gli altri all’immobilismo.

Camminare in montagna – Alimentazione e idratazione


Prosegue da… Il nudo


Istantanea 2 (24-04-2017 09-47)

Non sono un dietologo e nemmeno un qualsiasi altro genere di medico, non ho titoli specifici che mi possano dare una qualche forma di autorità in ambito dietologico o alimentaristico, d’altra parte non è di diete (in merito alle quali dico solo che vanno fatte esclusivamente dietro indicazione medica e devono essere definite da un dietologo, non da riviste, vip o altri personaggi di tendenza) che vi voglio parlare, tutto sommato nemmeno di regime alimentare di base (in relazione al quale mi permetto solo di far osservare quanto la stragrande maggioranza dei dietologi e degli alimentaristi suggerisce: il migliore è quello che non fa mancare niente), quello che andrò di seguito a scrivere sono solo dei principi (ovviamente rubati ad esperti e da me poi personalmente sperimentati) e delle astuzie (alcune lette in giro, altre trovate da solo, comunque tutte confermate dalla mia e altrui prolungata esperienza) in merito a come alimentarsi e idratarsi durante l’uscita o nelle ore che la precedono o la seguono di poco. Ovviamente il tutto è strettamente correlato all’impegno che dovremo andare ad affrontare, più questo è alto e più attenzione dobbiamo metterci, in ogni caso si può individuare una base comportamentale comune alla quale farò riferimento.

Principi generali

  • Evitare di appesantire lo stomaco.
  • Evitare la formazione di gas nello stomaco e nell’intestino.
  • Immagazzinare quanto poi servirà a produrre la necessaria energia, ovvero carboidrati e grassi, evitandone nel contempo un inutile (o deleterio) sovraccarico.
  • Durante l’uscita mantenere costantemente attive le scorte energetiche.
  • Alimentarsi in cinque o sei pasti al giorno dando più e pari importanza a colazione e cena, per poi suddividere il resto tra pranzo e due o tre spuntini, questi ultimi meglio se a base di frutta o verdura.
  • Mantenersi ben idratati.

Prima dell’uscita

Nelle ventiquattr’ore che precedono la partenza…

  • Evitare di assumere cibo a lenta digeribilità, in particolare latte, frutta, verdura, cereali ed ogni altro alimento che sappiamo esserci ostico da digerire o che ci provochi altri fastidi, quali flatulenza o irritazioni epidermiche.
  • Progressiva riduzione delle proteine.
  • Parallelo progressivo incremento dei carboidrati, anche ad alto indice glicemico.
  • Equilibrata assunzione di grassi, all’incirca nella stessa quantità dei carboidrati.
  • Bere molta acqua (da due a tre litri), possibilmente alcalina (ph superiore a 7) e a basso contenuto di anidride carbonica (non gassata, naturale come usualmente si dice).
  • Evitare le bibite gassate e i super alcolici.
  • Contenere il più possibile l’assunzione di vino e birra, meglio evitarlo del tutto nelle sei ore precedenti la partenza.

Due ore prima della partenza fare uno spuntino energetico a base di carboidrati a basso indice glicemico e grassi.

Durante l’uscita

  • Mantenersi adeguatamente idratati, non si deve mai arrivare a sentire la sete, attenzione che la sensazione di secchezza alla bocca è già un segnale di disidratazione, avete aspettato troppo o bevuto troppo poco, alla prima istanza è ancora rimediabile ma poi diventa sempre più critico; volendo dare un’indicazione più chiara, ma che risente comunque di tante variabili (temperatura, vento, umidità, quota, insolazione, composizione corporea e altro), possiamo dire che si deve bere da un decilitro a venti decilitri ogni quindici minuti.
  • Se la durata dell’uscita e breve (meno di tre ore) ci basta l’acqua.
  • Se l’intensità dello sforzo è molto alto (corsa o cammino molto veloce) e/o si prolunga parecchio nel tempo (sopra le tre ore) all’acqua pura è utile accompagnare una soluzione ipo (concentrato di soluto inferiore a quello del nostro sangue, facile da digerire ma con meno apporto di sali) o iso (concentrato di soluto identico a quello del nostro sangue, più difficile da digerire ma più efficace) tonica, io preferisco la prima; da nessuna parte ho trovato indicazioni in merito alla proporzione tra l’acqua pura e l’acqua con integratore, dopo vari test io l’ho fissata in quattro a uno; la soluzione potete farvela voi stessi, oppure utilizzare le apposite polveri da disciogliere in acqua o le soluzioni già pronte, fate dei test per trovare la formulazione o il prodotto a voi più congeniale usando come indicatori la digeribilità e il gradimento al palato; il soluto può essere composta da soli sali (come facilmente accadrà se ve lo fate in proprio) o da sali e carboidrati (come nelle polveri e nelle soluzioni già pronte, che risultano quindi utili anche al mantenimento energetico)
  • Se la durata dell’uscita supera le tre ore, dopo un’ora dalla partenza assumere una barretta energetica o altro prodotto / alimento energetico a voi congeniale che contenga carboidrati ad assorbimento graduale, dopo vari test io preferisco le barrette: meno gradevoli al palato ma più equilibrate, più digeribili, più efficienti, più semplici da trasportare e da assumere.
  • Se la durata supera le tre ore e l’intensità è alta dopo il primo assumere altri prodotti o alimenti energetici con carboidrati sia ad assorbimento rapido che graduale, nel caso si utilizzino alimenti predisporli in piccole porzioni. La frequenza di assunzione molti la indicano in ogni ora, personalmente sui percorsi molto lunghi (oltre le 18 ore) penso, specie usando per l’idratazione una soluzione con carboidrati, sia meglio allungare all’ora e mezza o anche due per evitare un eccesso di nutrienti e sforarne i valori consigliati (VNR), bisogna fare dei test per capire quali siano i prodotti o gli alimenti più tollerati e con quale cadenza assumerli (di certo non meno di un’ora e non più di due). I prodotti solidi (esempio barrette e frutta) ci impegnano nella masticazione e pertanto vanno assunti solo in discesa o sui lunghi piani; i gel non impegnandoci nella masticazione si possono assumere in ogni momento ma, dato che richiedono un certo sforzo per essere estratti dal contenitore e molti anche il rovesciamento della testa all’indietro, il momento migliore sono i piani e le discese; i prodotti liquidi (gel già disciolti in acqua e purea di frutta) vanno sempre bene ma meglio riservarli alla soluzione di eventuali crisi energetiche che possano insorgere nel mezzo delle salite; non mi baserei solo sui gel liquidi, intanto perché se ne possono assumere non più di due al giorno e poi perché non ostacolano l’insorgere dei sintomi della fame, come invece fanno in parte le barrette; la purea di frutta, che apporta poca energia e agisce sulla sensazione di fame prevenendola o attenuandola, negli sforzi di bassa intensità (cammino tranquillo o moderato) può anche essere utilizzata come unico apporto di energia.
  • Se l’intensità è bassa e il percorso non supera le sei ore di percorrenza possiamo anche non assumere prodotti energetici dopo il primo e attendere la sosta per il pranzo.
  • Alla sosta per il pranzo assumere cibi che si digeriscono facilmente e che apportino un equilibrato mix di carboidrati e grassi, le proteine sono sostanzialmente inutili ma è anche inutile (difficile o addirittura impossibile) cercare di non assumerle. Accompagnate il cibo con abbondante acqua, se non ripartite immediatamente e li gradite sono accettabili anche un bicchiere di buon vino o una caraffa di birra.
  • Se il pranzo conclude l’impegno della giornata (ad esempio percorsi a tappe), alle indicazioni di cui sopra conviene associare anche quelle che seguono, relative al dopo uscita.

Dopo l’uscita

  • Nella prima mezz’ora reidratassi abbondantemente; non bisogna preoccuparsi delle perdite saline che, come si può leggere nella sitografia sotto riportata, alla fine sono irrilevanti e verranno recuperate in poco tempo senza bisogno di fare alcunché di specifico.
  • Contemporaneamente assumere un poco di proteine (un grammo ogni quattro chili del proprio peso) per attivare e facilitare la riparazione dei microtraumi che ogni attività fisica ci procura.
  • Se l’impegno è stato notevole possiamo, sempre nella prima mezz’ora, aggiungere anche una dose (vedere istruzioni sulla relativa confezione) di aminoacidi essenziali che aiutano il processo rigenerativo (si possono assumere anche mediante il cibo ma, specie se siamo in un rifugio o, peggio ancora, bivacchiamo, potrebbe essere piuttosto complicato assumerne la dose ideale, quindi le pastiglie tornano comode).
  • Entro l’ora assumere un grammo di carboidrati per ogni chilogrammo del proprio peso.

Sitografia di riferimento e approfondimento

Nutrizione Sport – L’alimentazione e l’integrazione negli sport di resistenza

Sporteat – Grassi e endurance: la nuova frontiera dell’energia

Dad2Tri – L’alimentazione degli sport di endurance: le proteine, i mattoni per i nostri muscoli

Dad2Tri – I carboidrati, energia per il movimento e per il recupero

Dad2Tri – Disidratazione e integrazione di sali

Enervit – Nutrizione e integrazione

Running Italia – Il consumo energetico e i 4 sistemi che lo regolano

Runner’s World – Omega-3 alleati del runner

Runlovers – Ridurre infiammazioni e DOMS con gli omega 3

+ViVi – Differenze tra bevande ipotoniche, isotoniche e ipertoniche

Ministero della salute – Apporti giornalieri di vitamine e minerali

+ViVi – Calcolo carboidrati netti negli alimenti

Dossier.Net – Calcolo calorie alimenti


Continua in…  Allenamento base


Riepilogo globale della serie Camminare in montagna (con qualche infiltrazione dovuta alla natura stessa dei motori di ricerca)

Parlare o tacere? La scuola del monte!


È una bella giornata di prima estate, l’umidità della sera inizia a rubare il posto al calore degli ultimi raggi di sole, una luce rossastra dipinge le cime degli alberi e le distese dei pascoli, gruppi di mandrie al pascolo ancora rompono il silenzio con il sordo rumore dei loro campanacci. Ai bordi del sentiero si chiudono le colorate corolle dei fiori lasciando al viandante solo il sapore del loro tenue profumo, piccole gemme di rugiada appaiono sui petali e sulle foglie, ombre sfuggenti attraversano la traccia per nascondersi sotto i sassi o tra gli alti fili d’erba. Già da un paio d’ore sto camminando in direzione della prima vetta di un lungo anello alpino, il mio nudo corpo offerto alla nuda montagna ne riceve sollievo e fragranza, le luci della valle si sono accese e posso notare il frenetico movimento dell’urbe, al contrario il mio incedere ancorché veloce è assai più tranquillo, solo il ritmo della natura compone lo spartito musicale che mi guida e mi comanda.

Metri e chilometri sono ormai sfilati sotto i miei piedi, minuti e ore sono ormai girati sul quadrante del tempo, il mio cervello impavido divaga tra le immagini che penetrano gli occhi e i pensieri che inondano la mente, sono nel contempo impegnato e distratto, impegnato a seguire le tortuose giravolte del pensiero, distratto dal porre attenzione alle umane turbe. All’improvviso, dall’ennesima curva nascosta dal bosco, appaiono due persone, un uomo e una donna lentamente mi si avvicinano, mi guardano stupiti, non si fermano, non deviano, non si girano, semplicemente avanzano. Ci incrociamo, lo stretto sentiero m’induce a cedere loro il passo, mi sfiorano, l’uomo mi guarda in viso, la donna mi esamina dall’alto al basso soffermandosi al centro prima di tornare sul viso, cordialmente ci salutiamo e, senza altro proferire, ognuno prosegue per la sua strada, loro verso valle, io verso il monte.

Avanza la notte, il conico fascio di luce emesso dalla frontale cattura il mio sguardo e la mia attenzione, tenui colori contornati di nero fra i quali spiccano piccole macchie colorate, spruzzi di vernice lasciati da un eretico pittore. In alto l’ombra della vetta si staglia contro il pallido chiarore del cielo stellato, sembra volermi impressionare, sembra volersi dichiarare irraggiungibile, dolcemente la guardo chiedendole permesso, la mia mente e la sua si mettono in risonanza, sento la sua forza scivolare nella mia debolezza, cambiarla, mutarla in calda intraprendenza, scioglierla in vigorosa sicurezza: mi sono umilmente e totalmente esposto alla montagna e la montagna mi ha accettato, la montagna mi ha aperto le porte che portano nel suo magico regno, la montagna mi ha cantato il suo invito indicandomi la strada da percorrere. Montagna nella montagna, nuda entità nella nuda natura, semplice essenza nella splendida solitudine del monte, fusione di menti e di corpi, compenetrazione di energie, sommarsi di sensazioni ed emozioni che mi accompagnano fino alla vetta e ancora oltre, nella ripida e complessa discesa e nella successiva risalita.

Altro monte, altra vetta, il crepuscolo del mattino ha rotto gli induci e il sole allunga il suo rosso e caldo abbraccio. Disteso sulla piccola solitaria cima lascio che la luce e il fuoco invadano la mia pelle, tutta, indistintamente tutta, qui non esistono timori, la montagna non conosce perversioni, la natura non impone limiti, ci sono solo libertà e reciprocità, il reciproco rispetto, la reciproca conoscenza, la libertà d’essere sé stessi, la libertà dai fastidi e dai peccati, la libertà dall’ipocrisia, dal concetto di pudore creato dall’uomo per l’uomo ma ignoto alla natura. Senza vergogna il monte mi osserva, una marmotta fa capolino dalla sua tana, un camoscio si avvicina, un ignoto rapace mi saluta col suo stridulo grido, i fiori mi mostrano il loro cuore dorato, piccoli insetti appaiono dall’erba che mi circonda, una formica mi solletica le natiche, una cavalletta salta sul mio pube, una farfalla gioca con le dita dei miei piedi, una mosca impenitente atterra sul prepuzio del mio pene.

Vola il pensiero, purtroppo torna a incontri diversi, all’incontro con la vergogna, con le preoccupazioni e i pregiudizi, con i subdoli condizionamenti e gli opportunismi mascherati da scientifico dovere, con un concetto unilaterale di rispetto e di diritto: “il nudo è male“, “il nudo è solo esibizionismo”, “non ho niente contro il nudismo ma non è pratica socialmente accettabile”, “bisogna rispettare chi prova fastidio per il nudo e praticarlo solo in casa o in posti accuratamente mascherati”, “mi sembra se ne parli troppo”, “è (solo) un modo di passare il tempo come un altro”, “parlarne lo rende innaturale”, “non cerco di convincere altri perché non tutti lo capiscono e in ogni caso lo si capisce solo dopo averlo provato, le discussioni sono inutili”, “parlerei dello stile nudista solo con chi intende accostarsi, senza sbandierarlo ai quattro venti perché non a tutti interessa”, “perché una persona dovrebbe forzatamente aprirsi e desensibilizzarsi al nudo”, “parlare di nudismo è una forzatura”, “va rispettato anche chi non vuol essere desensibilizzato”, “non possiamo che accettare il fatto di non poter stare nudi quanto vorremmo, in ogni luogo e in ogni momento”, “è proprio l’impossibilità a goderne a moltiplicare il piacere di spogliarsi quando questo è possibile”, “la felicità e il piacere sono fatti di brevi momenti non di lunghi periodi”. Perché non s’impara dal monte e dalla natura? Perché non è possibile accettare che ognuno sia semplicemente libero di fare quello che gli pare, di stare come meglio preferisce, nudo, vestito o in una qualsiasi via di mezzo? Dove sta il problema? Fastidio? Avete provato a capire da dove nasce questo fastidio? Ci si rede conto che l’origine è relativamente recente? Ci si chiede perché ci si debba necessariamente conformare a quello che, alcuni secoli or sono, qualcuno ha deciso dovesse essere? Ci si chiede se sia lecito elevare a stato sociale di norma una palese fobia (qualsiasi fastidio diviene fobia nel momento in cui non è controllabile e ci si deve necessariamente proteggere)? Ci si chiede come possa essere ritenuto precetto naturale un qualcosa che invero non è una costante di tutte le culture e di tutte le genti? Perché mai dovrei essere io a chiedermi perché gli altri non si conformano al mio stile di vita e non devono al contrario essere gli altri a chiedersi perché io preferisca stare nudo? Perché la società deve domandarsi (e domandarmi) quale senso può avere stare nudi? Non sarebbe forse meglio che si chiedesse se ha veramente senso stare sempre vestiti? Sicuri che sia solo un passatempo? Dove sta scritto che il piacere e la felicità siano fatti di soli brevi momenti? Chi l’ha detto che lo stare nudi sia solo un piacere e/o una felicità? Non potrebbe (dovrebbe, è) essere un’esigenza intrinseca, l’espressione massima della nostra naturale normalità? Perché mai chiedere la condivisone degli spazi dovrebbe essere una forzatura verso chi ne prova fastidio? Perché mai parlarne dovrebbe essere una mancanza di rispetto verso chi non sopporta il nudo? Non sono invece delle opportunità? Non è forse vero che la comunicazione è il fondamento essenziale della socializzazione? Non è forse vero che la negazione dei diritti coincide con le limitazioni e non con le aperture? Non è forse vero che poter fare qualcosa è ben diverso dal doverlo fare? Che il poter fare non obbliga a fare? Che nella possibilità di fare chiunque può trovare il proprio spazio e sentirsi rispettato? Perchè devo solo accettare? Perchè dovrei per il nudo applicare una logica completamente diversa da quella applicata in altre situazioni più o meno recenti?  Lo si nota che secondo questa logica le donne avrebbero dovuto accettare il non aver diritto di voto, l’essere schiave dell’uomo, l’essere prede sessuali? Che secondo questa logica gli omosessuali avrebbero dovuto accettare d’essere considerati anomali e anormali, malati, dementi, immorali, contro natura? È proprio così difficile comprendere che la rinormalizzazione del nudo porterebbe con sé tanti di quei cambiamenti personali e sociali da poter risolvere molti dei problemi sociali che attualmente vengono quotidianamente denunciati? Che il nudo incrementa all’ennesima potenza il rispetto verso l’altro? Che migliora la crescita psicologica dei bambini? Che nel tempo andrebbe ad eliminare la violenza sessuale e la pedofilia? Che eliminerebbe alla radice i ricatti sessuali? L’utilizzo delle foto di nudo come ripicca e offesa? Che…

Un fischio mi strappa dai miei pensieri, un nutrito gruppo di persone sta arrivando alla vetta, uno di loro mi ha già notato e mi saluta con un cenno della mano: “tranquillo, resta pure nudo, anzi, guarda, lasciami arrivare e mi ci metto anch’io”. Del gruppo, composto da uomini e donne, solo una ragazza e due bambini seguono l’esempio del loro compagno e si tolgono le vesti, allo stesso tempo nessuno avanza perplessità, anzi tranquillamente si siedono vicino a me e, dal momento che uno di loro, avendo letto alcuni dei mie post, mi ha riconosciuto, chiedono curiosi del mio percorso odierno e del mio viaggio futuro.

Il sole mi punge le spalle, rumori di vita arrivano alla vetta dal sottostante piazzale dove un albergo e due ristoranti stanno aprendo le porte, è giunta l’ora di rimettersi in cammino, saluto i nuovi amici e m’avvio verso la restante strada, ancora venticinque chilometri e duemila metri mi separano dall’automobile, non c’è altro tempo per tergiversare. “Grazie a tutti, grazie per la diponibilità, grazie per l’indifferenza, grazie per l’accoglienza”, “grazie a te Emanuele, ci hai aperto nuovi orizzonti, li terremo presenti!”

Parlare o tacere? Esporsi o nascondersi? Osare o coprirsi? Beh, la risposta è chiara: imparare dal monte!

#TappaUnica3V Emanuele perchè corri?


 

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Foto di Carla Cinelli

La domanda mi è stata recentemente posta da un’amica che, purtroppo (per lei), mi segue solo attraverso le non sempre precise parole del marito. Sostanzialmente l’ho già velocemente spiegato in passato, andrò anche a motivarlo nell’ambito di un manuale che sto scrivendo e che sto man mano pubblicando con articoli su questo blog (Camminare in montagna), ma, visto che per questo ci vorrà ancora del tempo e che sostanzialmente le risposte tornano sicuramente comode  qualsiasi escursionista (sostanzialmente migliorando la prestazione diminuiamo la fatica e, pertanto, aumentiamo il godimento delle nostre uscite) alle esigenze di qualsiasi escursionista, voglio sinteticamente (senza supportarle con particolari spiegazioni fisiologiche e mediche) anticiparle.

Vero, non faccio gare di corsa in montagna, abbandonata l’arrampicata la mia attività è prettamente escursionistica, anche TappaUnica3V è un progetto escursionistico e l’escursionismo usualmente non prevede la corsa. D’altra parte, come chi mi segue dovrebbe ormai ben sapere, mi sono trovato a mio agio sulle lunghissime distanze (trenta, cinquanta, settanta, cento e più chilometri) e queste sono diventate parte importante della mia attività, TappaUnica3V è solo una di queste, ad oggi la più impegnativa ma non l’unica. Non solo lunghissime distanze, ma anche grandi dislivelli: tremila, cinquemila, novemila metri. Si ma…. ma questi sono dati comunissimi, dati che appartengono a tanti percorsi, a questi percorsi che vengono effettuati a tappe, quei percorsi che oggi, con mio notevole disappunto, insensatamente invasati di anglofonia, si preferisce chiamare trekking, e allora? Allora la differenza è che io mi sono invaghito della modalità trail e tutti questi miei lunghissimi cammini cerco di farli nel minor tempo che mi è possibile, ovvero li faccio in unica tappa, con un limitato tempo totale di percorrenza e dando pochissimo spazio al riposo, escludendo così la possibilità di dormire, quantomeno di farsi una vera dormita rigenerante e TappaUnica3V è, per ora, la mia espressione massima di questa metodica di cammino. Date le specifiche è chiaro che l’impegno richiesto a mente e corpo è notevole, un impegno che trascende le usuali richieste escursionistiche, un impegno che, specie per TappaUnica3V, può essere emulato solo con altri progetti similari, cosa ovviamente alquanto complessa, sarebbe come se un maratoneta si preparasse alla gara facendo, a breve distante tra loro, diverse altre maratone. La soluzione più consona e praticabile è quella di sfruttare percorsi più corti percorrendoli fuori dalla mia “zona di confort”, zona che, specie su tali distanze, già prevede un cammino piuttosto spedito quindi non mi resta che correrli, quantomeno correrne una parte più o meno rilevante a seconda della lunghezza, del dislivello e della conformazione. “Si, ma così facendo cosa ottieni di preciso? Non è che ti affatichi e basta?” Certo che ti affatichi ma, seguendo un opportuno protocollo che preveda gli adeguati intervalli di recupero e scarico, ti alleni e, per la precisione, ottieni i seguenti benefici:

  • l’organismo si adatta alle maggiori richieste energetiche attivando una serie di modifiche organiche alcune delle quali, essendo reiterate nel tempo a brevi scadenze, diventano stabili determinando la capacità di supportare sforzi man mano maggiori;
  • aumentano le fibre rosse (la corsa che principalmente utilizzo è una corsa aerobica, relativamente blanda e portata per lunghi tempi) , quindi la resistenza dei muscoli;
  • si alza la sopportazione al lattato e quindi si riduce la sensazione di fatica a fine escursione (ma anche nel corso della stessa);
  • migliora la capacità ventilatoria e. di conseguenza, l’afflusso di ossigeno al sangue;
  • aumenta la capillarizzazione quindi la quantità di sangue che arriva ai muscoli;
  • il sistema energetico impara ad utilizzare i grassi piuttosto che i carboidrati, questo permette all’organismo di lavorare più a lungo (i grassi a parità di peso producono più energia dei carboidrati, di grassi ne abbiamo a disposizione decisamente di più, i carboidrati non possiamo immagazzinare più di tanto, ad esempio se ingeriamo troppi zuccheri l’organismo produce insulina per bruciarli immediatamente, per giunta finendo col bruciarne più di quelli immessi);
  • si riduce il peso e ogni chilogrammo in meno comporta una sensibile diminuzione dello sforzo necessario a sollevare (salita)  o abbassare (discesa) il corpo, con minore fatica generale e minore sollecitazione per ginocchia, caviglie, anche, vertebre;
  • cambia positivamente (è utile non solo allo sport ma anche alla vita quotidiana e alla salubrità in genere) l’indice di massa corporea (BMI), ossia il rapporto tra massa magra e massa grassa (aumenta la prima e diminuisce la seconda);
  • aumenta la massa muscolare più interessata dal movimento della corsa (quadricipiti, polpacci, addominali, dorsali) che, guarda caso, è sostanzialmente la stessa interessata dal cammino (addominali e dorsali sono stressati dal cammino, specie se con lo zaino, ma non ne vengono potenziati);
  • la nostra percezione della fatica (e del dolore) si abbassa mettendoci in grado di spingere di più e/o di resistere più a lungo;
  • possiamo imparare a conoscere e riconoscere le reazioni del nostro organismo in situazioni di intenso stress fisico (e saperle pertanto gestire);
  • riusciamo a individuare e differenziare tra loro i dolori benigni (esempio la risposta costruttiva muscolare) da quelli maligni (esempio i traumi);
  • incrementiamo la nostra velocità di progressione e di conseguenza la nostra tranquillità psicologica a fronte di escursioni man mano più lunghe;
  • miglioriamo notevolmente la nostra sicurezza (sappiamo che in caso di bisogno, ad esempio per andare a chiamare soccorso o per evitare il sopraggiungere del maltempo, possiamo tranquillamente metterci a correre);
  • possiamo fare in poche ore percorsi che ne richiederebbero diverse, in giornata percorsi che normalmente richiederebbero due o più giorni (sarà cosa secondaria, ma vi assicuro che procura parecchia soddisfazione dandoci la motivazione a proseguire nei faticosi e dolorosi, ma come visto indispensabili, allenamenti).

Ecco perchè da due anni ho iniziato ad allenarmi metodicamente inserendo non solo la ginnastica ma anche la corsa: i benefici ottenuti superano alla lunga la fatica fatta e, avendo notevolmente allargato la mia “zona di confort”, posso dedicarmi con molta più tranquillità e soddisfazione all’escursionismo.

Alla fine, però, queste sono le motivazioni per cui ho iniziato e continuo a correre come allenamento, facendolo però è scattato qualcos’altro, man mano che il correre diventava più naturale ho scoperto che ti dona nuove esperienze, che ti permette di percepire aspetti della montagna che sono invisibili camminando, che ti avvolge, ti pervade, ti immerge in un turbinoso vortice emozionale e finisce che non puoi più fare a meno di correre. magari lo alterni al cammino, magari dai ancora più spazio al cammino che alla corsa, ma non smetti più di correre, corri ogni volta che puoi, corri non più solo per allenarti al cammino ma corri per correre.

G’avet comprì? 🙂

P.S.

Marito dell’amica, falle leggere il blog invece di limitarti a raccontarglielo, ehhehe!

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Foto di Carla Cinelli

 

Semplicità


 

I bambini non provano fastidio nei confronti della nudità, gioiscono della propria e sono semplicemente indifferenti a quella altrui, serviranno la violenza fisica (l’imposizione materiale delle vesti), la violenza psicologica (la reiterazione dei richiami che negano la svestizione e impongono la vestizione) e l’inganno (cultura del peccato, nudofobia, concetto di pudore, eccetera) per condizionarli e far mutare loro atteggiamento. Tutto questo vorrà ben dire qualcosa! La semplicità del bambino dovrà pur insegnarci qualcosa!

#nudiènormale #nudièmeglio

Zaino RaidLight UltraVest 20


Nella tarda estate del 2016, sulla base delle esperienze fatte durante la preparazione e il primo tentativo di TappaUnica3V, ho sentito l’esigenza di applicare dei portaborraccia agli spallacci dello zaino onde semplificare e velocizzare l’idratazione. Dal momento che i negozi della mia zona, quantomeno quelli da cui mi servo, non avevano nulla del genere ed anche su Internet non trovavo nulla di soddisfacente, capii che dovevo pensare ad uno zaino già così predisposto. A quel punto, avendo introdotto negli allenamenti la corsa dove l’ottimo zaino già in mio possesso (e descritto in altra recensione) perdeva stabilità, focalizzai la mia attenzione sugli zaini da trail che, oltre al requisito di cui sopra, mi avrebbero dato un minore peso e una maggiore stabilità. Nel corso dei due mesi successivi esaminai i siti di diversi produttori (quelli legati all’alpinismo, l’unico campo che, a quel tempo, conoscevo bene), visualizzando vari modelli, tutti, però, avevano un solo portaborraccia e io ne volevo due, uno per spallaccio. Cerca che ti ricerca sono incappato nel sito di RaidLight (marca che si dedica esclusivamente ai prodotti per il trail e che, quindi, non conoscevo) e ho trovato quello che desideravo, ma… ma quello che vedevo non mi convinceva per cui memorizzai la pagina e continuai la ricerca ancora per un mesetto. Cercai delle recensioni e ne trovai alcune, purtroppo nessuna dava pareri completi e tutte sembravano nascondere qualcosa (devo dire che analoga impressione l’avevo già avuta leggendo le recensioni di altri prodotti similari e anche completamente differenti). Alla fine, evitando stupidamente di vedere se lo zaino fosse disponibile presso qualche negozio della mia zona, mi feci convincere dal prestigio del marchio e dal valore dei suoi ambasciatori così ruppi gli indugi: nel tardo autunno 2016 feci l’ordine direttamente sullo shop on-line della RaidLight. Poco dopo arrivò il pacco, lo aprii freneticamente e la prima impressione fu quella di uno zaino esteticamente notevole ma anche piuttosto delicato per il tessuto sottilissimo, alzandolo rinotai quei dettagli che mi avevano fatto tergiversare a lungo prima di formulare l’acquisto ma mi dissi anche “non facciamoci condizionare dalla vista, spesso le apparenze ingannano, solo l’utilizzo darà indicazioni obiettive”.  Siamo ad oggi, l’utilizzo ora c’è stato ed è stato intenso, posso quindi formulare un parere oggettivamente valido, anche se, trattandosi di un prodotto che deve vestire, in parte sempre suscettibile di soggettività: “che delusione: alla prova dei fatti questo zaino è risultato solo in minima parte degno della fama del marchio e dei suoi testimonial”. Passiamo ai dettagli.

La base molto più larga, sia sul piano orizzontale che su quello longitudinale, della sommità dà allo zaino un’antica e obsoleta forma a pera che, per giunta, diventa rotondeggiante quando viene riempito anche solo parzialmente. A parte l’aspetto estetico, tutto sommato irrilevante, tale conformazione comporta un abbassamento (più materiale, indi più peso, alla base che sopra) e un arretramento (maggiore distanza dalla schiena) del baricentro, questo, per precise regole fisiche, genera un momento torcente e comporta un problematico portamento: lo zaino tira all’indietro e preme sui lombi provocando, alla lunga, dolore in questa sede. Si potrebbe obiettare che in uno zaino da trail non ci si mette tanto materiale e, soprattutto, non ci si mette materiale pesante, ma questo è uno zaino da venti litri e quindi anche solo il vestiario che ci si può infilare finisce con l’avere un peso già rilevante ai fini del discorso fatto, aggiungiamoci la tasca dell’acqua, un poco di cibo e magari una borraccia di riserva o un termos e la frittata è fatta.

Leggero (630 grammi) rispetto ai classici zaini da venti litri, ma comunque piuttosto pesante per la categoria a cui appartiene (trail), è fatto con un tessuto molto sottile e dall’apparenza alquanto debole, al lato pratico si è invece dimostrato piuttosto resistente, salvo per le diverse parti in maglina: vi restano facilmente impigliati rami e spine che strappano il tessuto, fortunatamente sono elementi che si sovrappongono al tessuto principale quindi i danni sono fino ad un certo punto ignorabili e poi facilmente riparabili con ago e filo. Discreta la traspirabilità del tessuto principale: riponendoci materiale umido (quale una maglia sudata) questo non riesce ad asciugare e va a infradiciare tutto il resto. Anche se ho avuto modo di testarla una sola volta, l’impermeabilità posso definirla quantomeno buona (ha retto tre ore di pioggia torrenziale) ma, mancando una patta di copertura, in parte annullata dalle cerniere non stagne: si rimedia parzialmente tenendo ambedue i cursori della cerniera sullo stesso lato dello zaino e, per le situazioni più critiche, adottando un coprizaino da pioggia (che faticherà a stare al suo posto visto che, per la conformazione tipica degli zaini da trail, manca il classico gradino creato dalla patta che sale oltre gli spallacci). Le pochissime fibbie presenti sono di materiale robusto e adeguatamente proporzionate per un comodo utilizzo anche coi guanti o le mani irrigidite dal freddo. Le cerniere sono poco scorrevoli, più curati i tiretti: al posto di quelli, classicamente fragili, metallici sono stati usati dei tiretti composti da una più resistente asola di cordino annegata in pratiche e anatomiche prese in plastica zigrinata che offre un’ottima presa. Il fondo dello zaino è rinforzato con materiale più robusto cucito solo sul contorno in modo da creare una grande e praticissima tasca inferiore. Dato il dorso molto più lungo del fronte e l’eventuale irregolarità del fondo provocata dalla presenza di materiale nella tasca inferiore, quando appoggiato a terra lo zaino, anche se bel pieno, non mantiene la posizione verticale: per riempirlo agevolmente o, una volta in ambiente, per non vederlo scivolare giù da qualche scarpata, va assolutamente sdraiato, meglio se sul dorso (che in caso di terreno bagnato o infangato si infradicerà).

Molto ampio e capiente il comparto principale, che poi è anche l’unico visto che per il resto possiamo solo parlare di tasche, mi sembra superi abbondantemente i venti litri dichiarati (oppure è il mio nuovo zaino da trail che non li raggiunge, ma direi più probabile la prima opzione); un comparto così voluminoso andava quantomeno diviso in due parti, sia per mantenere separato il materiale rendendone più facile la collocazione e il prelevamento, sia per premettere una migliore distribuzione del peso. Quasi completamente avvolto sui tre lati da una cerniera risulta facilmente accessibile in ogni suo punto, a cerniera completamente aperta, però, il contenuto tende ad uscire molto facilmente. All’interno di tale comparto, sul suo lato posteriore (ovvero quello a contatto con la schiena), è collocata la tasca per la sacca idrica; fatta in rete a larghi fori, è una tasca molto ampia in tutte e tre le direzioni con un conseguente limitatissimo contenimento della sacca che, essendo fissata solo al centro mediante l’apposto velcro (leggermente troppo lungo), tende ad oscillare; è comunque possibile sfruttare la tasca per collocarvi, e tenerlo separato dal resto , materiale morbido riempiendo gli spazi vuoti e stabilizzando la sacca. Il tessuto che separa la tasca dalla schiena, leggermente argentato, dovrebbe isolare la sacca dal calore, in realtà questo non avviene. Giustamente due sono le uscite per il tubetto della sacca idrica: destra e sinistra. Il sistema di variazione volumetrica è composto da un cordino che, scorrendo in passanti in tessuto, segue il bordo dei fianchi mantenendo inalterata la forma a pera e la tendenza del materiale a posizionarsi in basso. I passanti inferiori, sottoposti ad una maggiore tensione rispetto agli altri, vengono facilmente tagliati dal cordino; il punto di tiraggio è posto in basso al centro dello zaino risultando accessibile solo togliendo lo zaino dalle spalle; l’eccedenza del cordino può essere infilata nella parte centrale della grande tasca a maglia che avvolge la base dello zaino: l’apertura di accesso è limitatissima (ci passa un solo dito) e rende l’operazione non comodissima, inoltre questa zona non è separata dal resto della tasca per cui il cordino finisce col scivolare lateralmente andando a incastrarsi nel materiale che viene inserito complicandone la successiva estrazione.

Come già detto una parte in maglina elastica avvolge su tre lati la parte inferiore dello zaino e crea un ampio e comodo spazio accessibile da ben quattro aperture per lato (indi otto in totale): una orizzontale nella parte superiore laterale, è bella grande e, a patto di avere le braccia molto flessibili, fruibile anche senza togliere lo zaino; un’altra verticale nella parte laterale rivolta verso la schiena, leggermente più piccola e stretta (per evitare la fuoriuscita del materiale) della precedente ma più facilmente utilizzabile a zaino indossato; altre due, molto piccole, nella parte frontale dello zaino (una è quella già indicata parlando del sistema di variazione volumetrica). Tali aperture sono chiuse solo da un elastico di trattenimento, cosa comoda ma che lascia qualche perplessità sulla capacità di trattenere qualsiasi tipo di materiale. L’idea di questa grande tasca esterna attorno allo zaino in linea teorica è bellissima visto che permette di tenere a portata di mano molto materiale, peccato che, alla prova dei fatti, vada a esaltare la forma a pera incidendo negativamente sui già detti problemi di carico e portamento. Il cordino del sistema di variazione volumetrico passa all’interno di questa grande tasca senza nessuna separazione e, pertanto, finisce con l’ostacolare l’inserimento del materiale. Un’altra altrettanto comoda tasca in maglina elastica è cucita sul fronte dello zaino, l’accesso molto ampio e morbido lascia fuoriuscire il materiale rigido quando ci si leva lo zaino da spalle e lo si deposita a terra. In coincidenza di questa tasca ne è presente un’altra interna allo zaino e, quindi, fruibile a fatica quando il comparto principale è bello pieno; è molto profonda e larga, ma ha un accesso limitato (ci passano tre o quattro dita ma non la mano intera) che rende difficile recuperare eventuale piccolo materiale, ad esempio la patente, che vi sia stato deposto; al suo interno è presente un gancio in plastica per fissare le chiavi, peccato che un eventuale smartphone (che, nonostante la cerniera non stagna, trova qui la sua collocazione ideale) finisca per interferire con le chiavi, questo gancio andrebbe collocato all’interno dello zaino, tanto le chiavi serviranno solo al termine dell’uscita. Un’altra tasca, in larga maglina elastica, è ricavata all’interno dello zaino sull’ampia patta di accesso e viene così a coincidere in posizione con le precedenti due incrementando ulteriormente il conflitto tra i materiali: se ne riempite per bene una, sarà difficile usufruire delle altre. Chiusa solo da un elastico, per giunta piuttosto morbido, quest’ultima tasca perde facilmente il suo contenuto quando si apre il comparto principale e si rivolta la patta: sarebbe stato opportuno mettere almeno un pezzetto di velcro al centro, meglio due laterali, meglio ancora una cerniera.

Non esiste un vero e proprio schienalino, il dorso dello zaino è semplicemente imbottito sui due lati con due cuscinetti, divisi ognuno in tre parti da due cuciture trasversali, di discreto spessore e  ricoperti con un tessuto a maglina fine assai morbido e confortevole ma troppo caldo, cosa che torna utile con basse temperature o, a schiena sudata, nel reindossare lo zaino dopo una sosta, ma che risulta poco confortevole in tutte le altre situazioni: strano per uno zaino che è stato studiato per il deserto! Il sistema è quello sostanzialmente adottato da tutti gli zaini da trail ed è necessario alla vestibilità e alla leggerezza, ovviamente eventuale materiale duro lo si sente nella schiena se non si ha l’accortezza di frapporvi del vestiario (ma poi quando ti serve…): certo in un trail di materiale duro ne serve ben poco, giusto la frontale e il kit di pronto soccorso, ambedue collocabili altrove, ma se usate questo zaino per delle escursioni (personalmente trovo gli zaini da trail molto comodi per le escursioni di un giorno solo, specie se fatte a passo sostenuto e magari con qualche tratto di corsa) le cose potrebbero cambiare. Per la ventilazione della schiena c’è il solo canale centrale creato dalla separazione tra le due parti imbottite: pochino, il sudore non evapora. L’assenza di una struttura rigida impone molta attenzione nel collocare il materiale onde evitare il fastidiosissimo rigonfiamento a pallone verso la schiena: sostanzialmente sarebbe da evitarsi il classico riempimento alla buona, con appallottamento del vestiario, che si finisce col fare in fase di cammino, specie se si ha fretta.

Gli spallacci vestono molto bene e sono composti da un tessuto a maglia larga la cui elasticità viene limitata da due bordini in tessuto molto meno elastico, in tal modo si facilita l’indossamento senza inficiare la corretta sospensione dello zaino. Leggera l’imbottitura, adeguata al carico che si presume si possa dover mettere in uno zaino di questo tipo, un poco al limite per un utilizzo più escursionistico. Purtroppo il loro sistema di regolazione è molto meno adeguato: è difficile da registrare, appare dimensionato per toraci piuttosto voluminosi (il mio non è grossissimo ma nemmeno sottile eppure ho dovuto stringere al massimo) ed è cucito solo sul lato interno dello spallaccio per cui ad un certo punto il passante, più grande della fessura in cui passa la fettuccia del sistema di regolazione, si impunta nello spallaccio provocandone un fastidioso arricciamento. Il taglio degli spallacci lascia scivolare lo zaino verso il basso invece di tenerlo alto sulle spalle, peggiorandone il già critico portamento. Sulla parte alta degli spallacci sono applicate due taschine con chiusura a cerniera, sono comode per tenere a portata di mano barrette e gel ma rumorose (se non completamente riempite il materiale al loro interno rimbalza durante la corsa facendo frusciare il tessuto) e posizionate troppo in alto (praticamente sopra la spalla): con la complicità delle cerniere poco scorrevoli risulta difficile aprirle e chiuderle; essendo l’accesso posto sull’esterno, per accedervi senza togliere lo zaino bisogna piegare molto il braccio potendo così operare con le sole dita, e nemmeno tutte, il che rende complicato prelevare il materiale senza far cadere fuori il tutto. Sul lato frontale di queste taschine è applicata una fascia di tessuto in maglina dove poter infilare un’altra barretta tenendola a portata di mano, peccato che il posizionamento della tasca di supporto sottostante (come detto sopra la spalla) renda difficile inserire ed estrarre la detta barretta. Nel lato inferiore degli spallacci sono applicati i due ottimi portaborracia, uno per spallaccio: compatibili sia con le borracce da corsa tradizionali (rigide) che con quelle flosce; piuttosto capienti (ci si infilano anche borracce rigide da seicento centilitri); dotati di un pratico cordino elastico di chiusura, più lungo del necessario, l’asola eccedente torna utile per impedire alle borracce di scivolare fuori, ha un cursore che permette di chiuderli completamente rendendoli utilizzabili, in assenza di borraccia, come portamateriale (in una singola tasca potete metterci comodamente una canotta e, cosa utile a chi cammina o corre nudo, un sottile pantaloncino da corsa oppure ci si può addirittura collocare una maglia a maniche lunghe del secondo strato); le borracce rigide da seicento centilitri rimangono molto stabili e anche correndo non ho rilevato rilevanti problemi di sfregamento sui capezzoli, anche se si percepisce una certa pressione; sui due lati hanno un piccolo taschino di maglia a rete, abbastanza alto e capiente da potervi infilare, senza tema di perderlo (quantomeno in presenza di borraccia e camminando), persino uno smartphone con schermo da cinque pollici (cosa comoda per tenere a portata di mano la fotocamera o l’app GPS). All’interno dei portaborraccia una sottile membrana di morbido tessuto genera un altro taschino, qui, anche se la presenza della borraccia ne rende difficoltoso l’accesso, vi si possono infilare delle buste di gel o altri materiali sottili: non avendo una chiusura, in assenza delle borracce questo materiale può però fuoriuscire facilmente sotto l’effetto dei rimbalzi della corsa o dei salti. Due i cinturini elastici pettorali, uno nella parte alta degli spallacci e uno, con fischietto integrato nella fibbia, nella parte bassa in corrispondenza dei portaborraccia. Il primo ha un lato troppo corto che lo rende difficile da allacciare, inoltre con una regolazione ottimale la fibbia preme sul torace e alla lunga genera dolore; il secondo è fatto con un elastico che tende a perdere elasticità, inoltre il suo posizionamento (pensato per stabilizzare le borracce), tende a far ruotare verso l’interno i portaborraccia rendendo di fatto poco fruibile il taschino a rete interno (rimane schiacciato contro il torace). Manca un aggancio a clip per il terminale del tubetto della sacca idrica e un sistema di fissaggio dell’orologio (c’è chi preferisce non tenerlo al polso, specie con il caldo e specie camminando o correndo nudo). Dato il posizionamento basso sulla schiena dello zaino, il sistema di avanzamento del carico è sostanzialmente inutile, serve più che altro a mantenere più stretta la parte alta dello zaino ed evitarne sballonzamenti durante la corsa, oltre che a impedire, nell’aprire il comparto principale, l’involontario ribaltamento della patta anteriore e la fuoriuscita incontrollata del materiale.

In uno zaino vestente e corto la cintura in vita risulta inutile, dato il suo cascante posizionamento sulla schiena, risulterebbe in questo caso invece assai utile per stabilizzare uno zaino che, nella corsa e nei salti, tende a rimbalzare parecchio: l’intero zaino in senso verticale e la sua parte basale in quello orizzontale. Due ali laterali dipartono dal corpo dello zaino e vanno a collegarsi alla base degli spallacci; sopra di esse sono collocate due tasche, una, suddivisa in due parti con il tipico problema di conflitto tra i due contenuti, contiene l’attacco per un lettore MP3 (o smartphone ma dev’essere piccolino) il cui cavo passa all’interno del comparto principale per uscire sullo spallaccio destro dove il terminale permette il collegamento del jack degli auricolari. Queste due tasche sono discretamente capienti, peccato risultino talmente arretrate da richiedere capacità da contorsionista per potervi comodamente accedere senza togliere lo zaino, il tutto complicato dalle cerniere poco scorrevoli.

Doppio portabastoncini, uno classico sul retro dello zaino e uno innovativo sovrapposto al portaborracce che consente di riporre e togliere i bastoncini senza togliere lo zaino; non utilizzando i bastoncini non ho avuto modo di testarli. Quattro robusti anelli di tessuto sono posti sotto la base dello zaino e servono a fissare un eventuale sacco a pelo o materassino (le relative fascette vanno però acquistate a parte). Altri tre anelli sono presenti sulla parte frontale, sopra la tasca in maglina, e sono stati pensati per fissare un pannello solare di tipo portatile. Nella parte superiore degli spallacci sono presenti i due agganci per lo zainetto pettorale della RaidLight che si acquista a parte. Le cinghie di regolazione, decisamente ed eccessivamente lunghe, sono sprovviste di un efficiente sistema di raccolta e fissaggio dei lembi eccedenti che così restano fastidiosamente cascanti. Anellini di tessuto sono posti sulle varie taschine di rete e sui portaborraccia per facilitarne l’apertura. Questi ultimi e i passanti del variatore volumetrico sono fluorescenti facilitando l’individuazione della persona che cammina al buio.

Tirando le somme, dovendosi correttamente rilevare che questo zaino è stato nel 2017 rielaborato in una tipologia più tradizionale (decisamente più alto, apparentemente cilindrico, con spallacci più imbottiti e cintura in vita) e ora (2018) appare rimosso dal catalogo della casa produttrice (al suo posto è apparso un altro modello pressoché identico: il Legend 20), in questo RaidLigh UtraVest 20 si nota un’impressionante cura dei piccoli dettagli purtroppo non supportata da un’analoga attenzione verso i macrofattori, soprattutto verso i due aspetti più importanti ai fini di un corretto e indolore portamento: la forma e il posizionamento sulla schiena. Peccato, sono stato alla fine costretto a comprare un altro zaino di marca diversa (che recensirò quanto prima possibile perché appare veramente valido)!

 

 

La nuda verità!


Nell’arte ecclesiastica il nudo rappresenta la purezza. Nell’arte generica il nudo rappresenta l’eleganza o la semplicità. Nella danza il nudo viene utilizzato per visualizzare l’armonia o la forza. Nel teatro il nudo viene utilizzato per evidenziare la naturalezza o l’assenza di barriere. Nella comunicazione il nudo viene utilizzato per identificare la correttezza o la verità. Insomma, la stragrande maggioranza dei riferimenti al nudo vengono utilizzati in chiave assolutamente positiva.

C’è da meditare!

 

“Me Too” ovvero Società & Cultura


Me Too e gli altri movimenti contro la violenza sessuale sono iniziative lodevoli e assolutamente da sostenere, hanno sicuramente la forza per generare l’indispensabile cambiamento sociale a livello giuridico e legislativo, devo però andare oltre se vogliono ottenere quel cambiamento culturale indispensabile alla rimozione del problema, se vogliono prevenire piuttosto che limitarsi a curare hanno una sola opzione possibile: allearsi alla comunità nudista e aiutarla nel ripristino della normalità del nudo!

#nudièrispetto #nudièsolidarietà #nudièparità quindi…

#nudiènormale #nudièmeglio

Estate… senza costume!


Parafrasando l’errato titolo di una nota trasmissione di RAI2

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Torrente


Desiderio di scivolare nelle tue acque,
di lasciarti ricoprire il mio corpo nudo,
di sentirti giocare con la mia pelle,
di farmi trasportare dalla tua forza e
lasciarmi scivolare leggero tra le tue spumeggianti parole.

Emanuele Cinelli – 9 luglio 2018
(ispirato da un post su Twitter che riportava una poesia di Antonia Pozzi dall’analogo tema)

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