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Tradimenti e ipocrisie


Il Male e la mela

La riflessione sulla nudità edenica non mi ha lasciato un momento. Riconsiderando il testo partendo dalle conseguenze (la punizione divina: 1) cacciata dal Paradiso Terrestre, 2) lavoro per vivere 3) dolori del parto – cose umane, responsabilmente, orgogliosamente, consapevolmente umane) e analizzando il significato delle parole ebraiche utilizzate, sono giunto a ipotizzare che Bene e Male non vanno intesi in senso morale, ma in senso fisico, in termini di piacere/benessere e dolore/fatica. Il termine usato per Male (ra) ricorre altre volte nella Bibbia e giunge persino a significare “malattia della pelle”, “ulcere” (cfr. Deuteronomio 28, 35: «Il Signore ti colpirà alle ginocchia e alle cosce con un’ulcera maligna, dalla quale non potrai guarire. Ti colpirà dalla pianta dei piedi alla sommità del capo» e Giobbe 2, 7: «Satana si ritirò dalla presenza del Signore e colpì Giobbe con una piaga maligna, dalla pianta dei piedi alla cima del capo»)

(Noto di passaggio che, per confondere ancor più le idee, la traduzione e tradizione latina giocano sull’assonanza fra mălum “male” e mālum “mela” mentre il testo ha solitamente lignum e una volta fructus).

La conoscenza

Su istigazione del “serpente” (immagine allegorico-mitologica per lo stimolo innato verso la conoscenza del mondo) i Progenitori scoprono e sperimentano l’unione sessuale (si “conoscono” in senso biblico), spinti da una naturale attrattiva o sull’esempio degli accoppiamenti animali e scoprono da soli il piacere e la riproduzione. L’immensa soddisfazione li riempie di “superbia”. Hanno la riprova che il serpente ha detto il vero, mentre Dio no; e la sua minaccia («Non dovete mangiarne e non lo dovete toccare, altrimenti morirete») non era vera. Per questo motivo, astutamente, nascondono le parti “colpevoli” di fronte a Dio; come si nasconde la mano dietro la schiena dopo aver tirato il sasso, come si punisce lo spigolo del tavolo contro il quale un bambino ha battuto la testa, o la mano che ha rubato.

Gabbadeo

Ma è una mossa ingenuamente scoperta: in realtà la nuova “conoscenza” è una malcelata sconfessione di Dio. La foglia di fico è una messinscena, una scusa, un tentativo di mascherare il tradimento avvenuto. Con Ovidio potremmo dire: Video meliora proboque, deteriora sequor (“vedo il meglio e l’approvo, ma seguo il peggio”). «Queste parole indicano la debolezza dell’essere umano, il quale, pur conoscendo ciò che è giusto, non riesce a seguirlo» [Wikipedia]. Chiaramente il “peccato” è un atto di ribellione e la foglia di fico il tentativo maldestro di nasconderlo.

Mi pare perciò di poter concludere che il pudore, la vergogna nel mostrarsi nudi sia sostanzialmente un tentativo ipocrita di manifestare una fedeltà a Dio, dopo averlo tradito nei fatti, e col determinato proposito di continuare a tradirlo – costi pure soffrire dolore e durare fatica.

Ulisse che nasconde il pianto

Ulisse che nasconde il pianto

L’etichetta

L’antropologia ci suggerisce che nascondere le parti impudiche non avrebbe un significato diverso che coprirsi il volto con le mani per nascondere un dolore (come Ulisse alla reggia di Alcinoo sentendo cantare le imprese di Troia: «L’eroe, la testa ascosa, piangea celato a tutti») o portarsi la mano alla bocca per attenuare un accesso di riso, una risata spontanea, impellente, irresistibile ma anche inadatta, smodata, eccessiva. È poco più che una semplice e banale indecenza, che non ha nulla di offensivo, sia nella pratica che nelle intenzioni.

Risata attenuata

Risata attenuata

Umanamente

Sarà anche un poco volgare per i benpensanti, per le persone a modino, per i melliflui moralisti, ma come Adamo ed Eva, scelgo da me come meglio mi piace vivere (anche se è il “peggio”): preferisco umanamente vivere nel piacere, nella soddisfazione (da satis facere, “accontentarsi del sufficiente, facendosi bastare il necessario”), nella fatica e nel dolore, piuttosto che votato cristianamente alla perfetta santità, alla compunta castità, continuando a fare egualmente tutto quello che fanno i pagani ma come di sotterfugio, da furbino che poi implora il perdono, non pentendosi mai veramente.

Non credo che Dio (se c’è ed è come dicono i teologi) goda sadicamente nel vedere le nostre rinunce e il nostro soffrire. Perché si deve meravigliar così tanto se Egli stesso ci ha fatto uomini così come siamo: responsabili, orgogliosi, consapevoli?