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Homo faber


50 lire

Vulcano che lavora nella propria officina. Allegoria della creatività e del lavoro dell’uomo

Nudo e basta

La moneta da 50 lire, in circolazione dal 1954 sino all’introduzione dell’euro (2002) ha avuto un lungo corso. E solo ora – almeno per me – ha acquistato un nuovo valore. Dal lato “croce” un uomo muscoloso batte energicamente su un incudine. È nudo, ma visto di spalle; nulla che possa destare cattivi pensieri o maliziosi pruriti.

Ora le figure sulle monete si son fatte più simboliche, stilizzate, i loghi sempre più astratti, le forme suggestive, design d’avanguardia, abbandonando oggetti quotidiani o naturali (l’ape, l’aratro, il delfino, il rametto di quercia, l’ulivo, Minerva, le caravelle…)

Vulcano: il corpo libero libera il pensiero

L’uomo nudo è Vulcano (o Efesto, alla greca), ma è un’allegoria: rappresenta il prototipo dell’ingegno umano che con le tecniche e il lavoro costante riesce a fabbricarsi strumenti ed espedienti che gli rendan la vita più comoda. Eccelle nell’arte di fabbricar armi (come quelle di Achille dove sul bronzo sbalzato racconta tutto l’universo).

Biscotti Plasmon

Per la prima volta ho fatto caso che Vulcano è nudo (l’uomo Plasmon porta almeno una pelle sui fianchi. Per la prima volta ho collegato nudità e lavoro-cratività-inventiva. Altrettanto nudo è “l’uomo vitruviano” di Leonardo (lo troviamo sulla moneta da 1 euro):

Uomo vitruviano

Moneta da 1 euro con l’immagine dell'”Uomo vitruviano” di Leonardo

qui l’uomo è centro e misura di tutte la cose (Protagora). Una bella frase ad effetto. Ma come ci si è arrivati? Penso che una tale libertà di pensiero, che giunge a sintesi iconiche così immediate nel loro significato e perfette nella forma, non possa nascere che da un’attenta considerazione e osservazione del corpo nella sua vitalità, libertà e fisicità, da cui discende una conseguente attenta considerazione di sé – e del Sé. Nella odierna cultura una tale visione ci è ancora difficile, se non esplicitamente impedita (fatta eccezione per qualche sprazzo illuminante che fa intravedere una via d’uscita): sembra che manchi sempre un ultimo passo, ancora un ultimo velo prima di arrivare alla verità ultima, al vero vero. E possiamo ben chiederci se per caso non abbiamo paura/pudore di quest’ultimo vero, paura ad esempio di peccare di presunzione, di superbia, ancora come Adamo. O che qualcuno ci abbia messo in testa che non ne siamo degni o capaci.

Uomini (e donne) eroici

Esiste sempre uno scambio identitario fra sé e quel che si fa, quel che si scopre, si crea o si inventa. Cerchiamo di costruire un mondo sempre più simile a noi, per specchiarci nei nostri successi, nelle “magnifiche sorti e progressive”.
L’immagine di Vulcano ci suggerisce anche e immediatamente che ce la possiamo fare, che possiamo essere artefici del nostro destino, forgiatori della nostra fortuna (homo faber ipsius fortunae). È un tipo di consapevolezza che chiamerei “eroica”, nel senso che non ha bisogno di veli per nascondere una qualche vergogna, di falsa modestia per sminuirsi, di pudori per celarsi, di timori reverenziali verso nessuno: con occhi “eroici” possiamo guardare apertamente chi siamo e chi vogliamo diventare, sostenere la nuda verità di quel che noi siamo e facciamo, col coraggio che ci viene dalla nostra semplice e nuda dignità di sentirci null’altro che uomini. E come uomini vogliamo pensarci.

Il somarello


     Fame, sete, sonno, stanchezza ci fan sbadigliare. Il corpo reclama una sosta, ha fatto il proprio dovere, adesso vuole una distrazione, un po’ di riposo, che ci prendiamo cura di lui. Come un mite asinello ci porta nel nostro viaggio lungo la vita, lo trattiamo come ci pare, come ci viene, un po’ bene, un po’ male; pretendiamo ci serva sottomesso quasi fosse uno schiavo, siamo noi i padroni.

    È solo un’immagine, una metafora, un’idea che abbiamo del corpo. Lui c’è, è presente, anche se non ne avessimo idea (e forse sarebbe meglio davvero). Come lo trattiamo dipende infatti dal concetto che ne abbiamo, che mediamente condividiamo con la cultura in cui viviamo. La cura che ne prendiamo, i vestiti che indossiamo a “difenderlo”, le modalità d’“uso” dipendono più da come l’abbiamo inquadrato che da quel che continuamente ci dice. Mi pare che nell’espressione «benessere psico-fisico» l’attenzione sia posta più sul versante psichico che su quello fisico: lo stress ci tallona e non basta il riposo per farlo passare.

    I vestiti nascondono il nostro corpo perfino a noi stessi. Quand’ero bambino, coi primi caldi si usciva a giocare in canottiera: ci sorprendeva sentire la pelle del braccio così liscia sotto le ascelle contro il torace e altrettanto quando entravamo a piccoli passi nel torrente sentivamo l’acqua – sempre un po’ fredda – bagnarci le gambe, il costume, il ventre, su su fino al collo. I vestiti, col pretesto di proteggere e prevenire, hanno un po’ anche viziato e impigrito il nostro corpo, ma poi cantiamo Singin’ in the rain come il massimo della libertà e della felicità.

    Da quando dormo nudo, dormo meglio, non ho più così freddo, né più così caldo. Appena fa chiaro apro la porta che dà sul balcone, incrocio le mani dietro la testa, respiro, l’aria fresca umida di rugiada mi accarezza e mi sveglia (i vicini dormono ancora, o aprono le imposte più tardi). Sulla soglia di casa mi bevo il mio caffè e non ho più raffreddori. Faccio escursioni e sudo persino un po’ meglio, uniformemente. Evaporando il sudore, mi rinfresco e ricarico.

    Da quando sono nudista (non che ambisca ad un’etichetta da appiccicarmi alla fronte: è per capirsi) mi sento diverso: più consapevole, più presente, più consistente, più definito, più compatto… più attento, più sensibile. Quasi ogni giorno una piccola sorpresa. I piccoli piaceri sono amplificati: e così i sapori e persino gli odori, per non parlar degli umori… Già, perché non parlarne? È scoprir l’acqua calda dire che l’umore la “luna” che abbiamo dipende da come ci sentiamo fisicamente. Lo sappiamo. E lo diamo per scontato. Al punto da dimenticarcene. Umori sono pure i mille ignoti secreti linfatici che ci scorrono in corpo e nemmen ci badiamo. Siamo tristi o allegri, entusiasti o abbattuti non solo per quel che abbiam nella mente, ma anche per la segreta alchimia di mille travasi e forse vapori che avvolgono i nervi e risalgono sino al cervello… per quel che succede dentro le ossa: da lì ci rinnoviamo un poco ogni giorno.

    Mi piacerebbe parlare anche del batticuore, dei fremiti, del mozzafiato, di quando ci mordiamo l’interno del labbro, dell’all’erta che ci tiene ancorati al presente, alla vita, ad un volto, al corpo della persona che amiamo. Troppo ovvio, nevvero? O troppo alta materia da doverla lasciar sempre ai poeti.

    Dobbiamo dir grazie al nostro ciuchino, che ci fa sentire chi siamo, nella pelle in cui siamo, concreti, vivi ed attenti. E trattarlo un po’ meglio, come Natura comanda. È fatto di carne: ha già il suo programma, fa di tutto per farci felici e contenti, farci godere del ben della vita. Gli piace il sole, il vento, gite e nuotate, far l’amore e mangiare quel tanto che basta… e dar di matto quando nulla gli manca (o un qualcosa importante).