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Di corsa su e giù per il monte

Foto di Carla Cinelli
Corro su
poi corro giù
tac toc
pac poc
rai pai
tai zuai
clas tuas
fras sbras
clus trus

Foto di Carla Cinelli
stus fus
string strong
strang pilang
stroc patoc
ratoc stiloc
Corro su
poi corro giù
corro su
di nuovo corro giù
frisssccc
Arrivato!
Emanuele Cinelli – 16 giugno 2017
#TappaUnica3V, un viaggio nel tempo
Martedì 8 marzo
Voci di spensierati ragazzi si aggirano nel bosco, l’azzurro grigiastro delle camicie di tela, il blu variegato e stinto dei jeans, al collo fazzolettoni marroni con righe gialle chiusi sul davanti da un anello di cuoio intrecciato. Corse e rincorse, riunioni cantanti, il cerchio del pranzo, ancora corse, ancora giochi, ancora voci e risa. Il colore delle mille note che salgono al cielo, il sapore della gioia che inonda il bosco, la sensazione d’una socialità semplice eppur perfetta.
Un salto nel tempo, una grande casa nascosta nel fitto di uno scuro bosco, una ripida grigia acciottolata salita, un pesante nero cancello di ferro, decine di persone sedute ai tavoli del licenzino, parole, parole, ancora parole. Un ragazzino s’aggira tra i tavoli, in mano la piccola chiara bottiglietta della preziosa gazzosa, piccoli sorsi per apprezzarne il più a lungo possibile il dolce sapore, i nonni sorridono osservando il loro nipote, tenui sussurri per gratificarne l’educato comportamento.
Cambia la scena, il bosco si fa più chiaro, il tronco robusto di tanti castagni, di sopra, fra le mille tonalità del marrone, l’azzurro d’un cielo ora visibile, poi il verde dell’erica che costella i fianchi d’una piana sterrata stradina, una bionda bimba avanza barcollando sulle deboli gambine, una sorridente ragazza la tiene per mano mentre dietro due robusti occhiali il fratello le osserva correndo qualche passo avanti a loro. Una lucente signora li controlla da debita distanza, una nera macchina fotografica con pozzetto e doppia ottica nasconde il grosso viso di un corpulento signore, sul viso un grande sorriso, grandi mani che sanno essere dolci carezza. Una piccola pozza stagnate, un grande portone di legno adduce ad un portico di grosse multicolorate lastre di porfido, grosse squadrate colonne sostengono un tetto di legno, sulla sinistra un largo e verde terrazzo erboso al cui margine un basso muretto funge da parapetto, sulla destra una serie di piccole porte danno su scure stanze fumose, un caminetto, un tavolo, alcune signore che preparano panini, una cambusa ricolma di bibite di vario genere, fiaschi di vino, brocche dell’acqua raccolta dal pozzo. All’esterno, sul fondo del porticato, una serie di tavoli, attorno ad essi persone sedute. Ciq, cei, tri, quater, mura! Ad un tavolo quattro persone, in piedi, un piede sulla sedia, le mani ai bordi del tavolo, veloci, molto veloci, ad incrocio le mani si alzano per abbassarsi immediatamente sul legno e le dita compongono dei numeri che vengono nel contempo urlati dalle voci: la mora, un gioco molto in voga, simpatico e coinvolgente.
Il cammino di oggi mi porta in luoghi che conosco fin dalla mia più tenera età e la mia mente veleggia tra i mille ricordi: i giochi di scout al Goletto, le giornate coi nonni al bar dell’Alpino condotto da alcuni parenti, le passeggiate di famiglia alla cascina della Margherita dove altri parenti servivano i convenuti, lo zio che gioca alla Mora insieme ai cugini suoi e di mio padre, la raccolta dei prelibati Marroni o la ricerca di altrettanto gustosi funghi, la felicità di splendide giornate, la spensieratezza di un fanciullo.
Poi m’addentro in luoghi meno noti e il pensiero necessariamente si rivolge all’individuazione del giusto percorso fra le tante diramazioni del sentiero. Agli occhi non sfuggono comunque i mille piccoli segni del bosco e della natura, le sfumature di marrone e di giallo delle secche foglie che scricchiolano sotto i piedi inondano il corpo di piacevoli fremiti, il contrastante vivido colore dei fiori il cui tenue profumo s’insinua nelle nari trasformandosi in lievissime scariche elettriche che inebriano il cervello, l’azzurro grigiastro di un cielo nuvoloso che a sprazzi appare tra le fronde degli alberi. Il grigio asfalto della strada di Muratello, di nuovo il chiaro marrone dei sentieri e delle strade sterrate, alcune cascine compaiono a ripetizione rompendo la splendida monotonia dei colori e dei sapori di un inverno autunnale, castagni, tanti castagni, bellissimi castagni. Un verdissimo prato circonda l’ennesima cascina, la scura acqua della Pozza del Sarisì, il conosciuto bianco azzurro del sentiero 3V, la ripida e scabrosa discesa che porta al roccolo del Monte Salena. La cascina di San Vito, ricordi d’una conviviale riunione, colori di camicie in lana, pantaloni alla zuava, calzettoni rossi e pesanti scarponi in cuoio, voci e parole, risa e canti, suoni e vibrazioni, il calore dell’amicizia.
Riparto, ancora sentieri sconosciuti impegnano gli occhi e la testa nella ricerca del giusto tracciato senza per questo distoglierli dall’osservare le gialle primule che inondano in terreno, dei bianchi dente di cane, delle violette nelle due varianti più tipiche, quella viola e quella bianca, il grigio delle rupi che sovrastano la mia testa. Un placido cavallo mi osserva passare, la sorda esplosione di mine da cava, una sorgente, le case di Botticino e di Rezzato si disperdono a vista d’occhio alla base del monte. Santa Lucia, ripida risalita al crinale del Monte Poffa, lo sguardo divaga verso le nevi del Monte Baldo, un mare di grigiastre nuvole nasconde il Lago di Garda. Due foto e poi via, il lungo traverso con vista ai laghetti di San Polo, il verde largo costone del Trinale, una discesa a picco sulle case di Sant’Eufemia, il sordo tremolante calore di muscoli che iniziano a chiedere un poco di riposo. Sentiero numero 12, di nuovo a mezza costa, tornano ricordi d’infanzia, le storie di mio padre che da ragazzo qui veniva a cercare i funghi, le rade visite ai parenti del Buren, la casa dove mio padre viveva ai tempi della guerra, una casa che ho potuto vedere una sola volta restandone talmente colpito d’averla spesso negli occhi, nella mente e nell’animo, ormai diroccata e dispersa nel bosco, mi riprometto di venire a cercarla, promessa, promessa.
Rieccomi all’Alpino, ancora sentiero 3V, ancora il bianco delle nevi e l’azzurro dei cieli riuniti insieme a fare i colori di Brescia, a creare quei segni atti a indicarmi la strada. Medaglioni, la ripida strada acciottolata di via San Gaetanino. Rumori di auto, rientro alla città, asfalto e cemento, cemento e asfalto, semafori, motorini, bicilette, auto, suoni di clacson, sfrigolio di freni, colori d’una civiltà invero civilmente persa, sapori amari, sensazioni fredde e stridenti, contrasto forte coi boschi fra i quali ho vagabondato per quasi cinque ore, con la natura che mi ha a lungo inebriato, peccato non averla potuta assorbire nella nuda pelle, appuntamento però solo rimandato, siamo alla metà di marzo, presto le temperature saliranno e potremo lanciare alle ortiche i nostri vestiti, ridare alla pelle il suo naturale respiro, sentire il solletico dell’aria che scivola nei pori, assaporare il calore dei raggi solari, osservare il nostro vero colore. A presto, a presto, o splendida natura, natura del monte, natura vegetale, natura animale, natura dell’uomo, normale natura del nostro corpo.
La macchina, ritorno a casa, la doccia, frugale pasto, la mente al giorno, il pensiero alla prossima escursione, la pelle fremente nella certezza di un imminente regalo di libertà. A presto!
P.S.
Che magnifico giro, cerchiamo le cose belle lontano da casa e poi loro sono a due passi da noi. Bresciani, provatelo, al cammino o di corsa, merita. Merita veramente. Al più presto ne farò la relazione, devo prima verificare alcune varianti che, togliendo due ripide intermedie salite, lo renderanno più agevole. Ah, come minimo sono trenta chilometri (un giro similare, il tratto Gottardo-San Vito è in comune, riportato su un sito di MTB riporta trentatré chilometri), il dislivello dipende da dove si parte, salendo in auto al Gottardo o a San Vito è limitatissimo. Io l’ho fatto in cinque ore esatte (con partenza e arrivo a Brescia, quindi con massimo dislivello e qualche chilometro in più), direi che ad un passo normale e concedendosi una bella sosta a metà giro (San Vito) si debbano mettere in conto almeno otto ore, meglio ancora nove.
Il video del Raduno Nazionale 2013 de iNudisti
I ricordi sono immagini che si fissano indelebilmente nella mente per riaffiorarne casualmente facendo allora rivivere le emozioni del passato.
Tra tutti, quelli che più facilmente tornano a farsi vivi sono i ricordi migliori, quelli relativi ai grandi e straordinari eventi.
Un evento superlativo è stato il raduno Nazionale 2013 de iNudisti, un raduno che non solo ha smosso centinaia di persone, ma ha scosso più o meno sensibilmente anche diverse entità tessili, dalla proprietà dell’Oasi di Zello, ai giornalisti, ai fotoreporter.
Il ricordo di un tale successo non si poteva lasciare alla caducità e casualità del ricordi, ma andava rinforzato con qualcosa in grado di lasciare un segno indelebile, qualcosa da potersi tenere sotto mano e osservare ogni tanto, ad esempio un bel video.
Ecco che, grazie all’abilità e alla dedizione di uno dei nostri carissimi amici, è nato e veniamo qui a proporvi “SiNfonia” di Giuseppe Maccioni…
Poesie di gioventù: Baciarsi
Gesto d’amore,
gesto semplice,
gesto gentile,
posare labbra
sulle labbra.
Baciarsi vuol dire amarsi,
baciarsi vuol dire
esprimere i propri sentimenti.
Semplice è baciarsi,
semplice è compiere questo gesto,
semplice e…
per questo romantico.
Baciarsi è amarsi,
amarsi è volersi bene,
volersi bene è baciarsi.
Emanuele Cinelli – 26 marzo 1974
Poesie di gioventù: I love you, you love me.
I love you,
Io amo te,
questa è la prima verità,
questa è la mia gioia,
la mia e la tua felicità.
You love me,
tu ami me,
questa è la seconda verità,
questa è la tua gioia,
La mia e la tua felicità.
I love you, you love me,
il nostro felice amore,
il nostro gioioso vivere insieme,
questo è quello che abbiamo,
questo è quello che vogliamo
continuare ad avere.
Amore, io dico a te;
amore, tu dici a me,
ci comunichiamo quello che sentiamo,
insieme felici momenti passiamo.
I love you,
you love me.
Emanuele Cinelli, 26 marzo 1974
Poesie di gioventù: Soli fra tanta gente
Soli noi siamo,
eppure intorno a noi ci sono persone,
molte persone.
Parliamo, ci amiamo,
come se nessuno ci potesse vedere,
eppure vederci gli altri possono.
Il nostro amore estranei al mondo ci rende,
ci porta negli infiniti spazi del tempo,
ci porta lontano dal luogo in cui siamo.
Nei prati verdi della montagna ci troviamo,
sdraiati sull’erba ci guardiamo,
un coro di fringuelli canta per noi,
il rumore d’una cascata arriva da poco lontano.
Siamo felici, immensamente felici,
siamo insieme, insieme ci amiamo.
Fra tanta gente noi siamo,
eppure soli ci sentiamo.
Soli fra tanta gente.
Emanuele Cinelli, 26 marzo 1974
Poesie di gioventù: Sentimento
Profondo nel cuore,
profondo nell’anima,
io sento qualcosa
ma non riesco a scrivere cosa.
Sento un forte peso,
sento un’invincibile tristezza,
sento che voglio vederti,
sento che non riesco
a sopportare la tua lunga mancanza.
Sento di amarti,
sento di adorarti,
sento che tu sei
il mio più grande sostegno,
il mio più grande pensiero,
la mia più grande passione.
Sentimento,
oggetto astratto,
oggetto invisibile,
oggetto indescrivibile.
Emanuele Cinelli – 6 marzo 1974
Poesie di gioventù: Lontananza
Io a Ponte di Legno,
tu a Brescia.
Questo per sei giorni,
sei giorni e otto notti.
Troppo tempo,
troppo lontani.
Lontananza,
perché sei entrata nella nostra vita?
perché esisti?
Se non esistesse la distanza,
se tutto fosse vicino,
che bello sarebbe il mondo:
io, ora, vicino a te sarei
e tu, ora, vicino a me saresti;
noi due saremmo vicini
e insieme saremmo.
Ma la distanza esiste,
esistono le cose lontane,
esiste il dolore di non poter stare insieme.
Emanuele Cinelli – 6 marzo 1974
Poesie di gioventù: Dopo tre giorni
È mercoledì,
con questo tre giorni son passati,
tre giorni senza vederti,
ti ho solo sentita per voce,
ti ho solo osservata in fotografia,
ti ho solo pensato nel cuore.
Mai ho potuto stringerti fra le mie braccia,
mai ho potuto posare le mie sulle tue labbra,
mai ho potuto cogliere la fulgida luce dei tuoi occhi.
Conto i gironi, le ore, i minuti,
perfino i secondi,
sono ansioso di rivederti.
Amore ti aspetto!
Emanuele Cinelli – 6 marzo 1974
Poesie di gioventù: San Valentino
Maria,
in questo particolare giorno,
in questo felice momento,
io dico “Ti amo”!
Tre volte lo dico,
tre volte
le mie labbra questa parola
pronuncian,
tre volte.
Tre perché tre è il numero eletto,
tre perché tre è il nostro fattore comune.
Mentre scrivo guardo la tua foto,
la guardo e m’ispira,
mi suggerisce parole d’amore,
mi mormora pensieri di lode.
Tu vedermi non puoi,
i miei occhi piangon di gioia,
son lacrime dolci,
lacrime felici.
Scrivo una promessa d’amore,
d’amore eterno,
come eterna è la terra,
come eterno è il sole,
come eterno è l’amore.
Io t’amo,
t’amo immensamente,
il cuore quando lontana tu sei mi piange,
ma ride quando a me tu sei vicina.
La Fiducia protegge il nostro amore,
amore nuovo,
amore sentito,
un amore iniziato con l’anno,
un amore per questo fortunato.
Piango, gioisco,
son triste, son felice,
tutto insieme.
Milioni di passioni ardon nel mio cuore,
tutte insieme,
tutte con un unico sfondo,
tutte con un unico legame,
tutte per te,
Maria!
T’amo, t’amo, t’amo!
Emanuele Cinelli – 15 febbraio 1974
Poesie di gioventù: Notte stellata
Scende la notte,
il buio tutto avvolge,
nel mentre milla piccoli lumicini
nel ciel s’accendono,
sono le stelle
che come piccoli diamanti
circondan la luna
regina del cielo.
Inutile contarle,
sono troppe.
Le ammiro
e l’animo ribollir mi sento.
Mi vien da pensare
al rapporto uomo-natura,
rapporto funesto,
segno di morte.
Mi chiedo cosa abbiam fatto
per meritare questo dono,
questo dono meraviglioso
che è la natura.
Perfino mi volto,
mi volto vergognoso,
non oso guardare il cielo.
Mi vergogno del nostro mondo civile,
civile solo per dire,
incivile per fatto.
Noi la natura abbiamo distrutto,
noi l’inquinamento abbiamo portato,
e con esso la morte,
la devastazione.
Le piante muoiono,
muoiono sotto il peso
dei fumi nell’aria dispersi;
gli animali muoiono,
muoiono perché nutrirsi non possono;
le acque muoiono,
muoiono diventando grandi serbatoi
di chimici prodotti.
Tutto muore,
solo noi viviamo,
ma non vivremo a lungo,
se non rimediamo
pure noi moriremo.
Perché vogliamo distruggere la vita?
Perché non vogliamo amare e rispettare la natura?
Perché nessuno pensa a quello che fa?
Perché, perché?
Emanuele Cinelli – 31 gennaio 1974
Poesie di gioventù: O mia tenda
Piccola tenda,
piccola dimora,
tante volte il tuo riparo mi hai offerto,
tante volte le notti sotto il tuo telo ho passato.
Piccola ma grande,
piccola sei ma utile mi sei stata,
senza di te mi sarei raffreddato,
senza di te le notti alle stelle avrei passato.
Sotto le intemperie,
sotto le stelle,
tu sempre mi hai protetto.
Chiuso nel tuo interno dormivo,
dormivo beato e ben riparato.
So che, come in passato,
anche in futuro mi servirai,
per questo ti ringrazio,
per questo di te son contento.
Grazie o mia tenda,
grazie o mia piccola compagna,
compagna di tante avventure,
avventure felici e serene.
Grazie.
Emanuele Cinelli – 31 gennaio 1974
Poesie di gioventù: Allegra compagnia
Allegra compagnia
amici sportivi.
Noi tutti della montagna amanti siamo,
della montagna inviolata,
della montagna solitaria.
Sia d’estate,
sia d’inverno,
le sue pendici affrontiamo.
Sciando o arrampicando,
sotto il sole o nella bufera,
noi sempre ridiamo,
allegra compagnia noi siamo.
Emanuele Cinelli – 20 gennaio 1974
Poesie di gioventù: Scalata
Tac, tac, tac,
il chiodo è piantato,
fisso il moschettone,
infilo la corda,
poi salgo ancora.
Le mani cercano appigli,
i piedi cercano appoggi.
Arrampico lungo la ripida parete,
confido in me stesso,
nella mia forza,
nella mia resistenza,
nel mio coraggio.
Unica debole sicurezza un chiodo,
sperando che non ceda se cado,
ma se cede il volo si fa inebriante,
volo sperando nei compagni,
sperando che reggano al colpo.
Conviene non pensarci,
continuare a salire,
piantando un chiodo dietro l’altro,
fissando i moschettoni.
Sempre gli stessi gesti,
sempre gli stessi pensieri.
Arrivo su una cengia,
mi fermo,
aspetto i compagni,
poi riparto.
Il tratto più difficile
sopra la mia testa è situato,
dure e lisce placche granitiche,
non un appiglio,
non un appoggio,
i chiodi si piegano su di esse.
Si sale lungo le strette fessure tra placca e placca,
infilando un cuneo di legno,
su questo si fissa un chiodo,
so che se cado i chiodi non reggerebbero.
La salita è estenuante,
fisicamente e psichicamente affaticante,
comunque continuo.
Il tratto è superato,
la vetta è vicina.
Nell’ultimo sforzo,
con rinnovato slancio,
l’ultimo di parete tratto
d’un sol colpo ho superato.
Raggiunta è la vetta,
vittoria,
insieme esultiamo.
Tre punti neri sulla vetta bianca,
da valle ci guardan i nostri amici,
tutta la scalata han seguito
e con noi felici esultan.
Vittoria, vittoria,
una foto ricordo,
una bottiglia stappata.
Poi per la normale via si scende,
felici noi siamo,
contenti scendiamo.
Emanuele Cinelli – 18 gennaio 1974
Poesie di gioventù: Amore!
Amore!
Cosa vuol dire questa parola?
Difficile dirlo,
ma quando vien lo senti:
un peso sul cuore,
un fuoco nell’animo,
un pensiero nel cervello,
campane che suonan a festa,
immensa felicità,
voglia di stare insieme.
Amore!
Una parola di fiore,
una parola che è un futuro.
Amore!
Un bacio di fuoco,
un triste saluto,
una foto in tasca.
Amore! Amore! Amore!
Sentimento di passione,
sentimento di gioia.
Amore!
Emanuele Cinelli – 16 gennaio 1974
Poesie: Ed era
Ieri c’era, oggi non c’è più.
Ieri splendeva, oggi non splende più.
Ieri ombreggiava, oggi non ombreggia più.
Ieri era, oggi non è più.
Grande, lussureggiante magnolia
che lo sguardo un poco limitava,
ma nell’infinito il pensiero vagar lasciava.
L’hanno tagliata,
ora lo sguardo all’infinito volge,
ma il pensiero finito rimane.
Buco enorme nello spazio del giardino,
buco enorme nell’estasi del mio pensare.
Di lei ormai non resta che il ricordo,
ci abitueremo alla sua assenza,
allor che questo scritto
eterna renda la sua eterea ombra.
Emanuele Cinelli – 9 marzo 2012
Poesie di gioventù: Mattino d’estate
Cammino sulla bianca spiaggia marina,
sotto i piedi ceder la sabbia sento,
l’orizzonte dal sole è infuocato.
E’ l’alba,
la spiaggia è vuota,
l’unico al mondo di esser mi sembra,
non voci, non urla, non rumore,
ma silenzio, silenzio, silenzio.
Mi fermo e guardo lontano,
un volo di gabbiani,
una vela bianca,
una grigia colonna di fumo,
una rossa palla infuocata.
Solo mi sento,
sperduto nell’immensità marina,
il mio pensiero vaga pei mari
e in fondo ad essi scende.
Penso ai colorati fondali corallini,
alle maestose madrepore,
ai pesci che vivon sotto l’onda,
alle estenuanti battute di pesca subacquea.
Penso.
Intanto la spiaggia è invasa,
si apron gli ombrelloni,
non più silenzio,
ma voci, urla, rumori.
Mi fermo e guardo,
un gioco di bimbi,
un colorato ombrellone,
un castello di sabbia,
una rossa schiena bruciata.
Emanuele Cinelli – 16 gennaio 1974
Poesie di gioventù: Solitudine alpina
Solo cammino sugli alti nevai,
solo in mezzo a tanta immensità.
Il sole illumina, coi primi raggi,
le alte cime,
le lontane pareti di ghiaccio rosee risplendono.
Partito dal rifugio di primo mattino,
piccozza alla mano, ramponi ai piedi,
salgo verso la vetta.
Prima sosta, breve colazione,
poi riparto.
Esposto ai raggi del sole,
appeso alla liscia parete ghiacciata,
grondo di sudore,
ansimo dalla fatica,
però… continuo.
Ore 13: seconda sosta,
altro breve ristoro e poi in marcia.
La parete diventa più impegnativa,
dure placche di ghiaccio,
stretti camini.
Finalmente dopo ore di salita,
vedo la vetta vicina,
solo una fine cresta di neve
da essa mi separa.
Prima di affrontare quest’ultimo passaggio mi riposo.
Riparto con nuova spinta e vittorioso pensiero,
affronto la cresta con calma e coraggio,
qualche difficoltà,
“Vittoria”,
la vetta è raggiunta,
la tremenda montagna è sconfitta.
Prima ma non ultima solitaria
questa è stata la mia vittoria.
La sera è vicina,
raggiungo un pianerottolo e pianto la tenda.
Intanto il sole lentamente cala,
sparisce dietro le vette lontane,
sparisce inghiottito dall’orizzonte.
Ceno alla luce rossastra del tramonto,
e, mentre ceno, penso,
penso alla mia impresa,
penso al perché della mia vittoria.
Quando l’ultimo raggio di sole sparisce,
anch’io sparisco nella mia tenda.
Sdraiato nel sacco a pelo,
cullato dal sibilo del vento,
ritorno a pensare.
Ma i miei pensieri vanno lontano,
non più sulla roccia sotto i miei piedi,
non più sui ghiacci da poco affrontati,
ma torna in città,
torna dove ho lasciato amici e parenti,
torna a te.
Ti vedo felice dormire nel letto,
al caldo delle coperte,
protetta da mura di cemento.
Un brivido di freddo mi corre lungo la schiena,
la tormenta fuori si è alzata,
ah, come vorrei esser anch’io al caldo di casa,
ma per nulla al mondo rinuncerei a questa mia vita.
Una vita avventurosa,
una vita pericolosa,
ma una vita meravigliosa,
sempre a contatto con la natura,
sempre immersi nell’immensità.
Prima di assopirmi, ripenso a te,
decido di donarti questa mia impresa,
sul diario scrivo
“ore 21, ho vinto,
sulla vetta sono arrivato,
via Maria ho chiamato”.
Emanuele Cinelli – 15 gennaio 1974
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