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“Zona di Contatto” un neonato che cresce


La zona di contatto materialmente esiste da quando esiste il nudismo, eppure nessuno fino a oggi aveva pensato di definirla come concetto, come un mantra della comunicazione. Ci abbiamo pensato noi di Mondo Nudo e la cosa piace, piace a noi, piace a molti amici nudisti, piace a tantissimi tessili ed ora piace anche ad una struttura, ne aspettiamo tante altre e ci daremo da fare per smuovere le reticenze e dimostrare che vale veramente la pena di aderire a “Zona di Contatto” e abbracciarne la filosofia strutturale e materiale, non è solo un bene per la comunità nudista, è un bene anche per la comunità tessile ed è un vantaggio sia sociale che economico per le strutture, per ogni tipo di struttura: turistica, ricettiva, della ristorazione, dello svago, sportiva, culturale, eccetera, ogni tipo di struttura!

Per ora presentiamo il nuovo arrivato tra noi, festeggiamo l’amica che ci ha manifestato il suo compiacimento e brindiamo insieme ad un futuro sociale più semplice e aperto:

Locanda di Terramare 350

Locanda di Terramare (Rosignano Marittimo – LI), un luogo dove da sempre la nudità e lo stare vestiti non sono un obbligo ma una libera facoltà, ovunque e comunque! Una… “Zona di Contatto” in piena regola.

Grazieeeeee

e ora… avanti gli altri!

Seguiteci nelle pagine di “Zona di Contatto”, alias ZdC:

Cosa è “Zona di Contatto”

Adesioni a “Zona di Contatto”

Eventi “Zona di Contatto”

Racconti, relazioni, ricordi fotografici “Zona di Contatto”

Nudista a… metà


“Siamo un resort nudista e le saremmo grati se volesse inserire il nostro banner nel suo blog.”

Va bene, sorvolando sul fatto che sarebbe stato quantomeno opportuno proporre uno scambio banner, nulla da eccepire, chiedere è lecito e rispondere è cortesia, prima di rispondere, però, è pur sempre opportuno fare alcune verifiche e prendere le dovute informazioni, se non altro per dare una risposta circostanziata e opportuna.

Così vado a leggermi per bene il loro sito. In home page sembra tutto meraviglioso, e anche nelle altre pagine si parla continuamente di naturismo (invero già qui un poco la mosca mi piglia al naso). Leggendo e rileggendo alla fine ti trovo quello che stavo cercando, ci è voluta quasi mezz’ora ma l’ho trovato, ho trovato quello che, viste le premesse, speravo di non trovare: “nelle zone coperte è obbligatorio vestirsi”.

Ma che cavolo, che struttura nudista sei allora? Nudista a metà? Che senso ha? Se proponi il nudismo lo devi permettere ovunque, altrimenti non ci siamo.

“Ringraziandola per il suo contatto, le segnalo che non mi è possibile dare seguito alla sua richiesta: noi di Mondo Nudo lavoriamo per il nudismo, quello vero, quello libero, quello totalizzante, non facciamo pubblicità, per giunta gratuita, a chi, opponendo limiti alla nudità, trasmette un’idea sporca o quanto meno poco opportuna del nudismo. Ricontattateci quando avrete modificato il vostro regolamento!”

 

Orgogliosamente Nudi 2014: relazione del soggiorno al Rifugio Prandini


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Foto di Emanuele Cinelli

Pendulo, cotonoso, bianco, il piccolo batuffolo si confonde con gli altri mille suoi simili formando una sfilacciosa, informe, discontinua massa bianca che si staglia nel verde intenso dell’acquitrinoso prato da torbiera. Grigie e dure placche rocciose dolcemente o imperiosamente dal prato s’innalzano perdendosi nell’azzurro intenso del cielo terso. Lontano, sopra balconate rocciose solcate da bianche lingue di candita neve, svetta solitaria una nera rocciosa cuspide triangolare.

Sulla sinistra brillano con il loro verde intenso ripidi pendii erbosi, contornati alla loro base da contorti cespugli d’ontano tra i quali qua è la s’intravvedono isolati e timidi larici. Anche qui rupi rocciose s’incuneano tra la vegetazione, alcune grigie e compatte, altre rosse e franose cadono nel profondo e cupo valloncello scavato dal millenario scorrere del torrente.

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Foto di Emanuele Cinelli

Al di qua, ancora verdi prati cosparsi dalle mille gocce di gialli fiori. Rossi rododendri aumentano il contrasto di colori e ad essi s’aggiunge il marrone intenso di tronchi mirabilmente tagliati e, altrettanto mirabilmente, assemblati fra loro a formare quattro pareti che s’ergono da muri di grigia pietra. Marrone pure il tetto di lamiera sul quale sventolano una bandiera italiana, i cui colori ripercorrono quelli naturali visti tutt’attorno, e una rossa manica a vento. Piccoli quadri intagli interrompono la continuità del muro sul lato torrente: finestre deliziosamente contornate da tendine a quadrettini rossi e bianchi, un insieme armonico che crea un senso di dolce accoglienza e familiarità.

Foto di Emanuele Cinelli

Foto di Emanuele Cinelli

Sul lato montagna una porta, varcata la quale ci si trova in una prima ampia stanza arredata con tre armadi, tre panche e un bel tavolo di legno massiccio. Da questa un’altra porta adduce alla seconda stanza: la cucina. Per riscaldare l’ambiente una stufa a legna, di quelle stufe in ghisa che evocano antichi ricordi, un fornello a gas per cucinare, il lavello, tre capienti armadi, un lungo tavolo di legno massiccio contornato da due panche e due sgabelli sempre in legno. Ancora una porta e dietro a questa la terza stanza dove trovano collocazione cinque letti a castello per un totale di dieci posti a dormire: rigide e intatte le reti, buoni i materassi, ottime le tante coperte ripiegate e raccolte in un armadio. Altri venti posti letto sono collocati in un edificio separato, ma limitrofo al primo, ristrutturato in data più recente rispetto a quello principale. Il piano terreno dell’edifico principale è utilizzato ancora dal pastore, ma potrebbe, in futuro, diventare un comodo e importante ricovero d’emergenza, con cucina e quattro posti letto.

Un piccolo servizio igienico è situato vicino all’ingresso dell’edificio principale. Di fronte, all’aperto, contornato dal verde dei prati, dal giallo dei fiori e dal marrone delle panche, un tavolo in granito con scolpito un grande cappello d’alpino a ricordare, insieme all’altro cappello, stavolta scultoreo, posto sulla rupe che sovrasta questa zona, chi ha voluto questo rifugio e lo gestisce con cura e amore: gli Alpini di Braone!

Foto di Emanuele Cinelli

Foto di Emanuele Cinelli

Siamo alla Malga Foppe di Sopra, ora Rifugio Prandini (non custodito, bisogna chiedere le chiavi), collocata nella media Valle di Braone, in posizione strategica e panoramica: a ovest il lariceto che, frammisto alle rupi, cade sulla verdissima e bellissima piana della Malga Foppe di Sotto; a est le già decantate dolci placche rocciose, frammiste a dossi erbosi e a un mare di incantevoli cuscini verdi e rossi di Rododendro, che conducono alla piana delle Foppe di Braone e, con essa, alla parte alta della Valle di Braone, sopra la quale svettano la Cima Galliner e la Cima Terre Fredde; alla sinistra orografica una fascia di ontani e poi ancora placconate rocciose cosparse di rododendri che nascono da un fondo di torbiera alpina e salgono alla base di una cima senza nome per poi condurre alla base della Cima di Stabio, all’omonima Porta e al limitrofo Corno Frerone; alla destra orografica le verdi Somale di Braone sulle quali si notano le tracce di diverse mulattiere della Grande Guerra.

In questo incantevole luogo arriviamo, noi di “Orgogliosamente Nudi” 2014, nel tardo pomeriggio di sabato 5 luglio con l’intenzione di restarci, almeno alcuni di noi, fino al successivo sabato 12 luglio. L’idea originaria era quella di salire dal rifugio Tassara in Bazena attraverso il Passo del Frerone, ma la tanta neve ancora presente in quota ci ha suggerito prudenzialmente di cambiare percorso e salire, come lo scorso anno, dall’abitato di Braone. La variazione ci comporta due ore in più di cammino e, soprattutto, mille metri di dislivello aggiuntivi, cosa che, visti i corposi e pesanti zaini, non si presenta certamente facile. Fortunatamente il custode del rifugio, il gentilissimo e sincero Piero, si mette a disposizione per portarci gli zaini fino all’inizio della mulattiera vera e propria.

Foto di Emanuele Cinelli

Foto di Emanuele Cinelli

Leggeri percorriamo il tratto di strada e in un’ora e mezza siamo alle Case di Scalassone, il punto d’incontro con Piero e Francesca, una di noi che è salita in macchina insieme agli zaini. Ci carichiamo dei pesanti fardelli e, salutato Piero, ci incamminiamo verso la nostra lontana meta.

La mulattiera inizia dolcemente e sale, nel fitto bosco, con frequenti tornanti. Dopo un’ora, aggravato da uno zaino che ammonta a venti chili, inizio ad accusare la fatica e necessito di frequenti brevi soste per alleviare i muscoli delle gambe contratti dai primi sintomi di acidosi. Dopo due ore, comunque, in perfetta tabella di marcia perveniamo alla piana di Malga Foppe di Sotto e qui ci fermiamo per mangiare qualcosa e riposare spalle e gambe.

Ripartiti, velocemente si percorre la piana per poi affrontare l’ultima balza, meno erta della prima e più corta, eppure più faticosa, vuoi per il sentiero che l’affronta a tratti più direttamente, vuoi per l’irregolarità del fondo su cui si cammina: entro in crisi profonda e medito di lasciare qui metà del carico per ritornare a prenderlo più tardi, dopo essermi ben riposato. Scatta così quel meccanismo di solidarietà che ben conoscono tutti coloro che praticano seriamente l’alpinismo: Francesca avendo lo zaino più leggero di tutti mi offre a più riprese lo scambio di zaini, finché mi decido ad accettarlo. Il cammino può procedere più spedito e in breve perveniamo al rifugio, dove, ancor prima di sistemarci, recuperiamo le forze con pane e salame e una bella birra fresca.

Apriamo il rifugio, depositiamo i viveri sistemando quelli non deperibili in cucina e quelli deperibili nella prima stanza dove l’assenza di riscaldamento ovvierà all’assenza di un frigorifero, prendiamo possesso delle brande e ci prepariamo per la cena: chi apparecchia il tavolo, chi si occupa di cucinare, chi si riserva di sparecchiare e lavare i piatti dopo mangiato, una equa e spontanea suddivisone dei ruoli dove tutti fanno qualcosa e nessuno resta inerme ad osservare gli altri che lavorano anche per lui.

Foto di Emanuele Cinelli

Foto di Emanuele Cinelli

Dopo cena, mentre il fuoco scoppietta nella stufa e riscalda il locale, le solite chiacchiere da rifugio, nel nostro caso condite da qualche argomento in più: il nudismo e il piacere di vivere nudi, di assaporare la montagna senza barriere, avvicinandosi ad essa in tutta naturalità, per percepirne il suo minimo alito vitale, il suo più sottile respiro, la sua anima ribelle, per assorbirne con ogni millimetro della nostra pelle le sue tante essenze profumate e corroboranti. Presto, però, la stanchezza prende il sopravvento ed entro le ventidue siamo tutti stesi in branda e scendiamo più o meno velocemente nel mondo di Morfeo.

Domenica mattina, ore 6, sono già in piedi, gli altri ancora dormono alla grande, dopo una lunga attesa, visto che ancora nessuno si alza, decido di farmi un giro attorno, visitando la torbiera antistante il rifugio e il dosso che lo sovrasta. Rientrato al rifugio scopro che qualcuno, alzatosi per andare in bagno (poi si scoprirà essere Stefano), m’ha chiuso fuori, che fare? La temperatura non è rigida ma fa comunque abbastanza fresco e anche se vestito dopo un poco sento il bisogno di riscaldarmi: il versante di fronte già sta prendendo il sole, bisogna solo salire all’incirca duecento metri di dislivello, così riparto e mi porto velocemente verso il sole e il caldo.

Ridiscendo dopo circa un’ora, finalmente qualcuno si è alzato e posso rientrare nel rifugio a prepararmi la colazione insieme a Marco, marito di Francesca. Nel frattempo uno ad uno si alzano anche tutti gli altri: prima l’altro Marco (che scenderà immediatamente a valle: il suo soggiorno poteva durare solo questi due giorni), poi Stefano e infine Francesca. Per le nove e mezza siamo pronti a partire per effettuare la prima delle escursioni previste: si punta al Forcellino di Mare e poi vedremo cosa fare.

Foto di Emanuele Cinelli

Foto di Emanuele Cinelli

A causa della temperatura non confortevole per via di densi nuvoloni che si sono alzati a coprire il sole, il primo tratto di salita lo facciamo da vestiti. Breve sosta al Rifugio Gheza dove scambiamo due parole con i volontari del CAI di Darfo, saliti a preparare il rifugio per la festa che si terrà nel prossimo fine settimana, poi ripartiamo alla ricerca del sole che si vede illuminare i prati delle Somale di Braone. Poco dopo possiamo finalmente spogliarci e fruire della libertà data dalla nudità: nel giro di pochi minuti le nostre membra si rilassano assorbendo intimamente il dolce calore del sole, il sudore non più trattenuto dalle vesti si volatizza velocemente nell’aeree concedendo respiro e freschezza alla pelle, il sistema di termoregolazione non più condizionato e ingannato dall’ingabbiamento dei genitali riprende a funzionare al meglio, camminiamo velocemente e senza soste lungo il ripido pendio.

In venti minuti scarsi siamo al forcellino dal quale il nostro sguardo può spaziare a trecentosessanta gradi: prima di tutto notiamo il sottostante occhio azzurro del Laghetto di Mare, piccolo bacino d’acqua a picco sulla Valle Listino, poi la vista si allunga verso i costoni e le cime più lontane che, da profondo conoscitore dell’Adamello, provvedo a identificare e illustrare ai miei compagni.

Foto di Emanuele Cinelli

Foto di Emanuele Cinelli

Finito di osservare la meraviglia del luogo e del paesaggio ci rimettiamo in camino per salire il primo dosso delle Somale di Braone. Da qui, per cresta, si continua con mirabile visione a picco sulla Val Paghera e le Case di Paghera: molte le essenze floreali che incontriamo, poi una postazione di guerra collocata proprio sul filo di cresta e la relativa trincea di avvicinamento scavata sul versante meridionale della montagna. Procedendo sempre per cresta miriamo alla Cima del Vallone, ma il percorso si fa impervio e la traccia di sentiero svanisce completamente in mezzo a cespugli e rocce, per cui decido di abbassarmi ad una traccia più evidente e per questa ritornare al Forcellino di Mare.

Pervenuti al detto forcellino, visto che la metà giornata ancora non è giunta, su sollecitazione di Francesca decidiamo di salire un poco verso la cima Galliner. Seguendo la vecchia e qui molto visibile mulattiera di guerra saliamo per circa mezz’ora e poi ci fermiamo a mangiare. Marco ne approfitta per controllare le previsioni del tempo: domani sarà ancora bello, ma martedì pioggia tutto il giorno, qualcuno comincia a premeditare un’interruzione anticipata del suo soggiorno.

Foto di Emanuele Cinelli

Foto di Emanuele Cinelli

In discesa ancora una, stavolta più lunga, sosta al Rifugio Gheza dove quelli del CAI di Darfo ci raccontano la storia di questo rifugio, poi giù al nostro campo base, dove pensiamo sia ad attenderci Antoine, l’amico che deve arrivare oggi, venuto fin quassù dall’Olanda. Invece non è ancora arrivato, rifacciamo i conti e in effetti è presto: arriverà non prima delle cinque. Alle cinque di Antoine non c’è segno, mi abbarbico su di una rupe teso a scrutare la valle nella speranza di vederne la figura che risale il sentiero. Quando ormai le preoccupazioni iniziano a farsi serie ecco che, dal bosco sottostante, sbuca una nuda figura: “Antoine! Antoine!” sollevato mi lancio giù per il sentiero correndogli incontro per aiutarlo a portare lo zaino negli ultimi terribili metri di cammino. Ora ci siamo tutti, facciamo le debite presentazioni visto che Antoine lo conoscevo solo io, poi prepariamo la cena che sarà accompagnata e seguita da tante chiacchiere per informarci sul nudismo in Olanda e confrontarne la situazione con quello italiano. Alle ventitré tutti a nanna.

La mattina di lunedì si presenta solare, sebbene le solite nubi girino attorno alle creste che ci sovrastano coprendo fastidiosamente il sole. Francesca, intimidita dalle previsione del martedì e non volendo scendere a valle sotto la pioggia, convince il marito a scendere in giornata, Stefano, che è in auto con loro, non può fare altro che adeguarsi: preparano i loro zaini mentre io sviluppo i piani per la giornata. Come fare per allungare la condivisione della stessa anche con i tre amici che hanno deciso di scendere? Come far fare loro ancora una piacevole escursione in zona? Presto fatto: percorreremo tutti assieme la vecchia mulattiera di guerra lungo le pendici delle Somale di Braone e della Cime del Vallone!

Partenza! Velocemente risaliamo al rifugio Gheza, stavolta spogliandoci quasi subito visto la giornata maggiormente assolata. Il rifugio oggi è vuoto e possiamo tranquillamente passare senza coprirci. Saliamo ancora un poco fino alla freccia che indica l’inizio della mulattiera: sarà l’unica indicazione di questo percorso. La prima parte è ben visibile e tranquilla, ma ben presto le cose mutano: la traccia si fa più stretta, l’esposizione aumenta vertiginosamente e l’erba invade gran parte del sentiero. Entriamo in un canalone scavato dall’acqua, qui il passaggio, anche se breve, si fa particolarmente delicato per la presenza di una frana. Poco oltre, con mio sollievo (io non ho problemi e apparentemente non ne hanno nemmeno i miei compagni, ma, da ideatore e conduttore dell’evento, nonché da ex Istruttore Nazionale di Alpinismo, sento pur sempre il peso della responsabilità), l’esposizione si ridimensiona. Dopo un lungo traverso nei prati, ci avviciniamo a delle rupi rocciose ed è evidente che la mulattiera non può passare attraverso queste, guardando verso il basso individuo i debolissimi segni della mulattiera che qui scende con alcuni stretti tornanti. Segue un nuovo diagonale, poi ancora tornanti a scendere portano in una radura con le classiche alte erbe di malga, apparentemente sembra non esserci modo di passare oltre ma senza esitazione mi lancio attraverso le alte erbe: ho percepito, al di là delle stesse, uno spianamento del terreno, non può essere altro che il residuo dei lavori militari. Infatti la mulattiera si evidenzia poco sotto.

Foto di Emanuele Cinelli

Foto di Emanuele Cinelli

Il tracciato continua in lievissima discesa, a tratti è pressoché totalmente nascosto dalla vegetazione, anche se inequivocabili lastre di granito ne segnano il lato a valle, a tratti è più evidente. Dopo un lungo traverso siamo vicinissimi alla Cima del Vallone e sulle sue pendici, netto, il segno di una larga mulattiera. Ci separa una tutto sommato tranquilla cengia terrosa che taglia un ripidissimo canalone erboso. Tranquilla? Eh no, all’improvviso un pastore che ci osserva dall’altro lato della cengia si mette a urlare: “Sassooooo, sbrigatevi, non fermatevi!” Io, già arrivato da lui, mi giro e vedo immediatamente che in alto nel canalone ci sono numerose pecore al pascolo le quali, incuranti di chi sta sotto, non si fanno la premura di non far cadere sassi: già poco prima, ci riferisce il pastore, una pecora è stata uccisa, colpita in testa da uno di questi massi. “Va beh, è andata, il sasso è scivolato a valle lentamente passando per un canalino secondario senza colpire nessuno di noi, però” penso “poteva anche avvisarci prima che passassimo sotto il canalone, quando eravamo ancora in punto sicuro, invece di aspettare che ci fossimo in mezzo e in pericolo!”

Ancora due chiacchiere con il pastore e poi riprendiamo la discesa ora più tranquilla e semplice. In breve siamo sulla mulattiera principale, risaliamo alla piana della Malga Foppe di Sotto dove pranziamo tutti insieme, poi la sofferta separazione: Marco, Francesca e Stefano scendono a valle, io e Antoine risaliamo al Prandini con l’intenzione di rimanerci fino a sabato.

La sera inizia a piovere e continua ininterrottamente per ventiquattr’ore costringendoci a restarcene nel rifugio per tutta la giornata di martedì. Antoine la passa prevalentemente a letto o studiando per un libro che sta scrivendo, io in parte mi occupo della stufa, in parte del taglio della legna, in parte delle pulizie, in parte di scrivere le bozze per le relazioni del soggiorno e dei percorsi fatti.

Foto di Emanuele Cinelli

Foto di Emanuele Cinelli

Nella notte il cielo si rasserena e mercoledì mattina la giornata si presenta calda e soleggiata. In attesa del risveglio di Antoine, che se la dorme alla grande fino alle nove, riparto a perlustrare il territorio antistante il rifugio e che adduce alla Porta di Stabio: ci si può sicuramente tracciare un percorso alternativo (poi la cosa mi viene confermata da Piero che già più volte ha seguito questa via di salita) e creare un interessante anello, ma, non conoscendo bene Antoine, per maggiore sicurezza decido di salire per il sentiero segnato.

Alle nove e mezza ci mettiamo in cammino e velocemente risaliamo la parte mediana della Val di Braone pervenendo al bivio per la Porta di Stabio. Qui il sentiero sale direttamente per l’erto pendio, la segnaletica a volte è ben visibile, altre volte stinta e difficile da individuare, ma il percorso è evidente e senza esitazioni porto il compagno alla meta, seguendo, verso la fine, un percorso che ci permette di evitare quasi tutta la neve. Magica la sensazione di solitudine che si prova: intorno a noi chilometri di montagna senza altre presenze, nemmeno quelle dei camosci che, viste le tante loro cacche qui presenti, speravo di vedere. Assordante l’immenso silenzio che pervade questi luoghi. Stupendo il panorama: a nord la vista spazia sui monti dell’Aprica e su quelli del settore meridionale dell’Adamello; a sud si vedono nettamente i radar del Dasdana e la lunga cresta che da questi porta a Monte Campione, dietro il quale evidente l’inconfondibile sagoma del Guglielmo, più a destra i monti della bergamasca, poi il più vicino Monte Altissimo di Borno e dietro altri monti non ben definibili, in lontananza la sagoma bluastra delle Alpi Liguri e degli appennini bolognesi; sotto di noi l’iride blu di uno splendido laghetto alpino e, a seguire, tutta la Val di Stabio, dolce e verde, molto invitante.

Foto di Emanuele Cinelli

Foto di Emanuele Cinelli

Vorrei scendere al laghetto sottostante ma il percorso complicato (ripido terreno franoso con un bel tratto di catene di sicurezza) e le nuvole nere che sempre più minacciose arrivano dal Cornone del Blumone, noto catalizzatore di maltempo, mi convincono a rinunciare e a sollecitare il ritorno a valle. Giusto il tempo di oltrepassare la conca innevata sottostante il valico che inizia a grandinare! Prima sono piccoli chicchi simili a palline di polistirolo, poi pian piano la dimensione degli stessi cresce diventando dolorosa per mani e testa, infine cresce anche l’intensità della grandine e nel giro di pochi minuti il paesaggio da verde diventa bianco. Fortunatamente, nonostante alcuni tuoni, non c’è né vento né pioggia e la temperatura rimane confortevole: il nostro cammino procede tranquillo e regolare, senza problemi rientriamo al rifugio dove abbiamo la base.

La sera, sfruttando un momento di calma tra le piogge che hanno ripreso con intensità, riesco a collegarmi telefonicamente con mia moglie e vengo a sapere che le previsioni per i giorni successivi non sono buone (mattina bella ma pomeriggio temporali) e che lei non sta tanto bene: suggerisco ad Antoine di ridiscendere a valle venerdì, lui rilancia proponendo di scendere ancora giovedì stesso e questo decidiamo di fare. In attesa della cena preparo lo zaino ed effettuo le pulizie del rifugio, la mattina successiva, visto il bel tempo, di buon ora sveglio il mio compagno, rapida colazione, ultime pulizia e poi giù senza sosta fino a Braone: Antoine fatica alquanto a camminare sul terreno sconnesso e la sua discesa è piuttosto lenta, ci mettiamo ben quattro ore e mezza per arrivare alla macchina.

Foto di Emanuele Cinelli

Foto di Emanuele Cinelli

Ultimi sguardi verso l’alto, un saluto malinconico a questa valle meravigliosa, una valle che mi ha stregato già nel lontano 1988 quando l’ho risalita in pieno inverno, una valle che mi rivedrà sicuramente: anche se questo potrebbe per me comportare il perdere un luogo selvaggio e solitario dove poter vivere esperienze di montagna piene e appassionanti, ho deciso di scrivere non solo le relazioni dettagliate sui percorsi effettuati e sugli altri possibili, non solo di redigere articoli da inviare alle principali riviste di montagna, ma anche di realizzare un opuscolo su di essa dato che merita d’essere meglio conosciuta e frequentata, lo merita davvero.

La riconsegna delle chiavi, il pagamento di quanto dovuto per il soggiorno e i saluti a Piero concludono questo magico, per quanto sofferto, soggiorno. A Piero formulo la mia disponibilità a collaborare per la rimessa in funzione della mulattiera di guerra percorsa tre giorni prima, ma anche per altri lavori che possano essere necessari, quali il ripristino della segnalazione sul percorso della Porta di Stabio o la manutenzione del rifugio Prandini: se vuoi partecipare agli eventuali lavori segnalami nominativo, indirizzo e-mail e numero di telefono (modulo di contatto), grazie.

Per concludere devo e voglio ringraziare innanzitutto Piero, il custode del rifugio, per la sua estrema gentilezza e l’enorme diponibilità, poi gli Alpini di Braone per la costruzione e l’ottima gestione del rifugio Prandini, indi il Sindaco, gli Assessori e gli abitanti di Braone per la cura che hanno nei confronti del loro prezioso tesoro, infine i miei compagni di soggiorno: Antoine l’olandese, Francesca dall’Alto Adige, Marco pure dall’Alto Adige, l’altro Marco da Milano, Stefano da Chioggia. Grazie, grazie mille a tutti!

Bagheera: un villaggio nudista (quasi) full immersion


Dopo un piacevolissimo e nudissimo soggiorno di quindici giorni effettuato nella prima metà di luglio della scorsa estate, senza la pretesa d’essere esaustivo e nella considerazione che quanto riportato vada essenzialmente riferito allo stato di fatto del periodo di soggiorno, eccovi la mia recensione di questo grazioso villaggio.

Un gruppo di appartamenti.

Situato al centro della costa orientale della Corsica, il Bagheera è un villaggio nudista di modesta dimensione suddiviso in due distinte zone: quella delle case, in diverse tipologie e dimensioni, e quella del campeggio, che accoglie tende, roulotte e camper. La maggior parte delle casette sono in muratura e costruite a gruppi di quattro appartamentini, tra loro a sbalzo. Poi ci sono delle graziose casette in legno, situate nella zona ovest del villaggio. Tra un gruppo di case e l’altro è lasciato ampio spazio, cosa che non si può invece dire per l’area

La zona tende.

campeggio, dove le piazzole sono appressate le une alle altre. In merito alle piazzole si può anche rilevare la loro poca uniformità sia in merito alle dimensioni che alla forma, questa non sempre adeguata alla sistemazione delle tende familiari e, visto che alla prenotazione non vi vengono richieste le dimensioni della tenda, la piazzola assegnata potrebbe creare qualche problemino. All’interno delle piazzole, inoltre, sono spesso presenti sassi, radici e ceppi sporgenti che vanno a incrementare i suddetti problemi di collocazione della tenda. Da notare anche la presenza di alte erbe, ma, invero, questo non crea un grosso fastidio e rende l’ambiente più selvatico, quindi più vicino allo spirito naturista. Le colonnine per l’attacco elettrico non sono numerosissime, ma comunque sufficienti, anche se in alcuni casi è necessario disporre di un cavo ben più lungo dei soliti 10/15 metri dei tradizionali avvolgicavo. Scarse, invece, le colonnine dell’acqua. Non tutte le piazzole dispongono di spazio per l’auto, ma è comunque sempre possibile parcheggiarla nelle immediate vicinanze. Pochissime le aree a cui non si può accedere nudi: la reception vera e propria e il ristorante principale, qualche dubbio sul ristorante della spiaggia, non essendoci entrato non ho avuto modo di appurare. Certo che, per un villaggio nudista, sarebbe più consono non avere zone interdette al nudo.

La reception del villaggio.

Il servizio di ricezione è ottimo, il migliore che abbia mai trovato fino ad oggi: vieni accolto con estrema cordialità, in pochi minuti vengono svolte le pratiche burocratiche e ti vengono date molte informazioni utili al soggiorno, tra cui una comoda piantina del villaggio. Peccato che sulla piantina non siano riportate le aree interdette al nudo, che non siano indicati i limiti della spiaggia nudista e che le indicazioni relative all’individuazione delle piazzole non abbiano corrispondenza con quanto esiste sul terreno: gli appositi indicatori numerati sono pressoché spariti tutti e le stradine non sono numerate. E’ ben vero che rimediano apponendo visibili cartelli con il nome del campeggiatore in prossimità della piazzola, ma questo risolve solo in parte il problema, visto che per vederli bisogna prima arrivare alla piazzola. Altra piccola annotazione: il personale, tutto, è completamente e costantemente vestito, in un villaggio nudista ce lo si aspetterebbe nudo (come in effetti capita in diversi altri villaggi francesi). A proposito del vestirsi, pur non volendo in nessun modo sottintendere la necessità di obblighi di alcun genere, c’è da segnalare un uso eccessivo del vestiario anche da parte degli utenti, in particolare francesi (si vestono ad ogni pasto e alla sera), e ancor più degli adolescenti di nazionalità francese che fanno anche la doccia tenendosi addosso il costume. Si comprendono i problemi tipici dell’adolescenza, ma l’atteggiamento risulta comunque in contraddizione con la scelta di un campeggio  nudista e poi c’è da osservare che, al contrario, i loro coetanei di altra nazionalità sono sempre tranquillamente nudi. Tornando agli adulti, come già detto alla sera si vestono in molti, tutti quelli che si allontanano dalla tenda per andare al ristorante o anche semplicemente sulla spiaggia, e se tu te ne vai a fare una passeggiata sulla spiaggia restandotene nudo, sebbene nessuno ti faccia aperte osservazioni, non è infrequente sentirsi osservati e percepire un certo fastidioso dissenso.

La fitta foresta attorno al villaggio.

L’intera area del villaggio è immersa in un ombroso bosco di eucalipti, che rilasciano costantemente la loro balsamica fragranza rendendo il soggiorno oltre che rilassante anche salutare. Attorno alla strada d’accesso la foresta, come la chiamano qui, si arricchisce di un fitto sottobosco che la rende impenetrabile, solo radi sentierini si spingono al suo interno consentendo piacevoli, seppur brevi, passeggiate. A est del bosco, poco oltre il piazzale della reception, una stradina sterrata si dirige a sud attorniata da basse piante e cespugli; su di essa sono stati piazzati alcuni attrezzi ginnici, tra cui un insolito ma divertente slalom, a formare un comodo, seppur breve, percorso vita.

La spiaggia nord

Una lieve fascia boschiva separa il villaggio dalla spiaggia, alla quale si perviene in pochissimi passi attraverso alcuni sentierini, uno scivolo in cemento o due apposite scalinate. La spiaggia, non curatissima e spesso ricoperta da fastidiosi pezzettini di legno, è formata da sabbia non finissima e si estende per l’intera lunghezza del campeggio, interrotta per pochi metri solo in prossimità del ristorante principale, definendo così idealmente la spiaggia sud e la spiaggia nord. A nord, dal bosco al frangente ci sono mediamente una ventina di metri, a sud una cinquantina; su ambedue i lati la spiaggia prosegue ben oltre i limiti del villaggio: a sud possiamo camminare nudi per un chilometro, a nord per ben tre chilometri, ossia un totale di otto chilometri di passeggiata. Invero la spiaggia, su ambedue i lati, continua ben oltre i suddetti confini ma, non essendo più consentito il nudismo, è necessario indossare quantomeno il pareo, come avvisano due opportuni, anche se non molto evidenti, cartelloni.

Incontri subacquei: un'orata.

Il mare, mancando le scogliere, non presenta scorci di particolare fascino, ma è comunque bello e adatto ai bambini anche più piccoli. L’entrata in acqua, infatti, è tranquilla: sul frangente la sabbia scivola subito, a volte con un taglio netto, sul mezzo metro e anche qualcosa di più, ma allontanandosi verso il largo dopo una trentina di metri il fondo risale e per un centinaio di metri la profondità rimane attorno ai 30 centimetri. Poi velocemente il fondo scivola sui 3/4 metri e qui si assesta. Davanti al Ristorante principale è presente una zona rocciosa facilmente visitabile da chiunque vista la profondità limitatissima (massimo 50 centimetri sul lato interno, poco più di un metro su quello esterno). Dal limite sinistro di tale fascia rocciosa si allunga, obliquamente alla costa, una piccola barriera, sempre rocciosa, che, con profondità lievemente crescente e alcune interruzioni, porta a due scogli emergenti attorno ai quali altri scogli sommersi, appoggiati su un fondale sabbioso con profondità di 3 metri, formano l’ambiente ideale per l’assembramento di pesci di vario genere: mormore, cefali, saraghi, salpe e… qualche piccola orata. Ho anche osservato una bellissima murena, mentre assenti sono risultate le meduse, che negli ultimi anni sembrano aver invaso il Mediterraneo.

La spiaggia sud.

Il sole, dato l’orientamento a est della spiaggia e l’assenza di montagne nell’immediata vicinanza, appare subito alla mattina e ci permane fino al pomeriggio inoltrato. La copertura rispetto al vento di tramontana e al maestrale è totale, mentre è nulla rispetto ai venti provenienti dai quadranti est. Nella zona di spiaggia limitrofa al ristorante principale, su ambedue i lati, ci sono, liberamente fruibili, una cinquantina di ampi ombrelloni di paglia, saldamente montati sopra dei robusti pali in legno; sul resto della spiaggia è necessario essere autonomi, dotandosi di ombrellone, non sempre reperibile presso il market interno. Questo è piccolo ma abbastanza fornito, i gestori sono molto cordiali e simpatici, la qualità dei prodotti è alta, in particolare frutta e verdura sono veramente ottimi (ma del resto è così anche per quelli eventualmente acquistati fuori dal campeggio). La carne è presente solo nella forma confezionata in ambiente modificato, ma risulta comunque tenera e molto saporita, rilascia anche pochissima acqua durante la cottura. I prezzi sono solo di pochi centesimi superiori a quelli del supermercato di Aleria e se si considera che quest’ultimo dista dal campeggio quindici chilometri, alla fine conviene evitare di spezzare l’armonia della nudità e acquistare il necessario al market interno, nel quale si può entrare anche nudi.

Uno degli accessi alla spiaggia.

I servizi al campeggio (lavandini, docce, lavabi per i piatti, bagni, eccetera) sono in numero adeguato alla ricettività del villaggio e ben distribuiti: da ogni zona del campeggio si devono percorrere non più di cento metri per arrivarci. Solo la struttura centrale, però, è di recente costruzione, le altre sono piuttosto vecchiotte. La struttura centrale, in muratura, è abbastanza funzionale, sebbene si notino diversi segni di usura, in particolare le lavatrici, spesso guaste, e i bagni, sovente intasati per mancato funzionamento dello sciacquone. La pulizia è giornaliera ma non frequentissima (solo la mattina) e un poco affrettata. Fortunatamente l’educazione dei campeggiatori limita le conseguenze di tali mancanze. I bidoni dei rifiuti sono piuttosto distanti (sono comunque solo 5 minuti di cammino) e all’esterno del villaggio, sebbene di pochi metri, costringendo a indossare qualcosa (anche se, verso la fine del soggiorno, ho visto che c’era chi ci andava comunque nudo). L’area dei bidoni è gestita malissimo: la differenziazione dei rifiuti è limitata alla sola separazione del vetro, in terra ci si trova di tutto e, specie con il buio, è possibile ferirsi i piedi con vetri rotti o lamiere delle scatolette. Abbastanza curato, invece, l’aspetto zanzare che sono totalmente assenti durante il giorno e solo la sera arrivano a infastidire e pungere, a loro si aggiungono sporadici mosconi e numerosissime piccole mosche (anche se guardandole meglio sembrano più delle farfalline) bianche.

Il simpatico slalom del percorso vita.

Per concludere, il villaggio si presta senza dubbio a uno splendido soggiorno nudista, consentendo, nonostante la presenza di alcune fastidiose abitudini di memoria tessile, di dimenticarsi completamente dei vestiti. Ci sono, comunque, alcuni aspetti che andrebbero certamente ripresi e ritoccati: da una bonifica delle piazzole, alla sistemazione dei servizi logistici; dalla maggior cura della spiaggia, all’eliminazione degli ultimi residui di barriera che limitano un pochetto l’esperienza di un’immersione totale nel  nudismo.

Voto generale: 7,5
Voto sull’aspetto nudista: 9,5 durante il giorno; 4 la sera
Voto sui servizi: 6

Lo scoglio.