Archivi categoria: Attrezzature escursionistiche

Recensioni e prove di materiale per l’escursionismo.

Pantaloncini EVADICT Baggy Trail: correre, o camminare, freschi e leggeri


Pantaloncino estremamente interessante per chi preferisce camminare nudo ma non sempre può farlo e in tal caso vuole avere un capo comodo, leggero e traspirante.

Sentiero 3V "Silvano Cinelli"

Nel contesto della corsa in montagna non c’è discussione: pantaloncini a tutta. In quello del trail c’è meno uniformità, chi usa il pantaloncino corto, chi quello al ginocchio, chi i corsari, chi i leggins e le norme impongono qualcosa di lungo a disposizione (non necessariamente nello zaino, talvolta basta averlo nella borsa dei punti di rifornimento): correndo per tantissime ore, a volte anche più giorni e più notti, è evidente che ci si deve equipaggiare a dovere e pensare al freddo. Nell’ambito escursionistico montano, invece, molti, pur animandosi in merito alla scelta delle migliori maglie traspiranti, ancora si ostinano a restare fedeli al pantalone lungo e storcono la bocca quando vedono qualcuno in pantaloncini: che sia retaggio culturale, paura delle bisce e delle zecche, timore per lo strusciamento contro erbe e rocce o altro in ogni caso farebbero meglio a prendere in considerazione un indumento più pratico e leggero.

Ecco…

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Come si organizza una escursione di gruppo da poter fare nudi


Magari in un sperabilmente prossimo futuro, quando una persona nuda non provocherà più scandalo, sarà tutto più facile e basterà scegliere un percorso qualsiasi, oggi invece le cose non sono così semplici. Ecco come è purtroppo necessario procedere.

Fase 1: conoscenza

Innanzitutto è necessario conoscere per bene la zona in cui si vogliono organizzare le escursioni. Certo gli itinerari disponibili si possono trovare anche su una cartina topografica o usando le apposite app cartografiche, ma conoscere di persona e per bene la zona è l’unico modo per verificare la condizione degli itinerari (le carte, anche quelle on-line, non vengono aggiornate in tempo reale e possono riportare itinerari scomparsi o non riportare altri esistenti) e per comprendere le loro caratteristiche tecniche, la loro frequentazione nelle varie stagioni e nelle diverse giornate della settimana, il loro valore paesaggistico e ambientale e altre cosucce utili.. Questa fase è la più lunga e complessa: richiede come minimo un anno di frequentazione, ma più spesso due o anche tre.

Fase 2: individuazione dei percorsi

Fatta la debita conoscenza della zona possiamo creare un elenco degli itinerari percorribili in nudità: quelli che abbiamo visto essere tipicamente poco frequentati o quelli abbandonati e che, essendo risultati interessanti, abbiamo provveduto a pulire quantomeno in modo sommario.

Fase 3: definizione dei parametri di scelta

Sulla base delle persone che si vogliono coinvolgere, cioè delle loro preparazione atletica e tecnica, vanno definiti il tipo di percorso, la sua lunghezza e il dislivello (inteso come somma di tutti i metri di salita e, a parte, di quelli di discesa); più persone volete coinvolgere più i parametri devono essere di basso livello fisico e tecnico, ma scendere troppo può comportare la perdita di interesse da parte degli escursionisti già di media preparazione: occorre trovare la giusta mediazione, certo se il gruppo è ben definito questo può essere un passaggio più semplice.

Fase 4: calcolo

Per ogni percorso individuato nella fase 2 definire:

  • mediante le carte topografiche o le specifiche app, lunghezza e dislivello;
  • basandosi sulla propria conoscenza, il livello tecnico.

Fase 5: scelta

Confrontare i dati di ogni percorso con i parametri di scelta facendo così pulizia di quegli itinerari che sono inadatti alle nostre esigenze fisiche o tecniche. Se quelli rimasti sono ancora più di quelli necessari ragionare sulle loro caratteristiche di interesse ambientale, storico, naturalistico, paesaggistico, eccetera. Con un più o meno lungo ciclo di valutazione alla fine troviamo i percorsi da mettere in programma.

Ma non è ancora finita!

Fase 6: pulizia

Poco prima dell’effettuazione dell’escursione sarà sempre bene, ma di sicuro necessario per quei percorsi che abbiamo recuperato da vecchi sentieri abbandonati, andare a rivedere l’itinerario portandosi appresso quanto serve per pulirlo da spine e rami secchi sporgenti, come minimo robusti guanti da lavoro e forbice da potatura. Attenzione alle leggi nazionali e alle eventuali regole locali che potrebbero limitare la portata del vostro intervento di sistemazione, alcuni esempi:

  • per usare la motosega è necessario partecipare a un apposito corso e dotarsi di calzature protettive e caschetto;
  • ci sono piante che non si possono raccogliere e pertanto nemmeno tagliare, vedi il pungitopo;
  • certi lavori vanno eseguiti solo da personale autorizzato, vedi la creazioni di ponticelli o la predisposizione di funi di protezione.

Considerazione conclusiva

Come si vede organizzare un’escursione montana da potersi fare in nudità richiede sempre un considerevole investimento di tempo, spesso anche di attrezzature e talvolta persino di denaro. Pensateci ogni qual volta partecipate a un’escursione di gruppo, pensate all’organizzatore e al modo con cui potete dimostrargli il vostro apprezzamento materiale.

Un modo comodo e non dispendioso è quello di approfittare delle forme di sostegno che l’organizzatore ha magari attivato tramite delle affiliazioni a negozi di vario genere: l’organizzatore ottene piccole percentuali dagli acquisiti fatti attraverso gli specifici collegamenti pubblicati su siti, blog, sistemi di messaggistica, reti sociali. Io ho attivato, con il mio blog sul sentiero 3V, l’affiliazione a Decathlon



A seguire attiverò altre affiliazioni per coprire una maggiore tipologia di prodotti, tenete d’occhio le pagine e-shop dei mie tre blog:

Sentiero 3V (dove già sono presenti molti collegamenti a prodotti Decathlon per la corsa e l’escursionismo)

Mondo Nudo

Pearl galaxy

Zaino Grivel Mountain Runner 20: integrazione


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Vista frontale dello zaino

Come scrivevo nella recensione principale, ancora non avevo avuto modo di provarlo sulla lunga distanza, ora anche questo è stato fatto (tentativo di una centotrenta chilometri con novemila metri di dislivello, purtroppo interrottosi a metà) consentendomi e imponendomi questa integrazione.

Innanzitutto devo osservare che sbagliavo affermando l’inesistenza di un porta bastoncini: è costituito da quello che avevo indicato come variatore volumetrico inferiore, che avendo due fissaggi sganciabili è un comodissimo (utilizzabile anche a zaino indossato) sistema di fissaggio per i bastoncini (o altro) a patto che siano del tipo ripiegabile in tre o comunque molto riducibile in lunghezza (altrimenti sporgono troppo sui due lati diventando pericolosi).

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Il porta bastoncini sul fondo dello zaino

Altra osservazione decisamente positiva: eccezionale il portamento del carico. I quasi otto chili, che si facevano ben sentire prendendo in mano lo zaino, sono spariti nel nulla una volta indossato, man mano che le ore passavano la sensazione restava identica e anche alla ventunesima ora di cammino spalle e schiena erano perfettamente immuni dai classici fastidi dovuti al lungo portamento di un carico.

A seguire alcuni piccoli appunti negativi, che in parte confermano quanto già notato:

  • a zaino pieno agganciare la sacca idrica è veramente complicato e richiede lo svuotamento parziale dello zaino ad ogni rifornimento;
  • proprio non comprendo la scelta di dedicare maggior volume al comparto interno (a diretto contatto con la schiena quindi non idoneo al posizionamento di materiali duri; non isolato dalla pioggia e dal sudore quindi non idoneo alla collocazione del vestiario) piuttosto che a quello intermedio stagno (purtroppo tanto sottile che ci si riesce a collocare solo una maglietta, già la maglia pesante rende complicata la chiusura della cerniera e, per giunta, entra in conflitto con il materiale collocato nel comparto esterno); questo comparto andrebbe dimensionato giusto quel tanto per collocarvi la sacca idrica, fornendo alla stessa un sostegno inferiore (magari regolabile per adattarsi alle varie dimensioni);
  • se il comparto intermedio viene forzatamente (ma giustamente) riempito con la maglia pesante e i pantaloni lunghi (due dotazioni obbligatorie) la cerniera (giustamente molto scorrevole) tende ad aprirsi da sola se non si ha l’attenzione di tirare ambedue i cursori nella parte sommitale;
  • con un discreto carico (tra i sette e gli otto chili quello che avevo io) alla lunga le spalle nude soffrono la frizione (principalmente dovuta alle operazioni “togli e metti” dello zaino) del tessuto qui reso molto più rigido dal sistema di regolazione; va bene, mettiti una maglietta direte, fatto, ma per poi levarla poco dopo faceva un caldo infernale e proprio non la sopportavo, per altro molti sono i runner e gli escursionisti minimalisti, ossia coloro che preferiscono correre e camminare nel modo più naturale possibile e cioè con addosso il minimo necessario o, come nel mio caso, addirittura niente;
  • le fibbiette per la chiusura delle cinghie pettorali sono difficili da utilizzare a mani sudate (scivolano parecchio), andrebbero leggermente ingrandite e rese più ruvide.

Infine devo purtroppo formulare una critica un poco più seria, forse legata al tipo di sacca idrica da me utilizzata ma comunque criticità assolutamente da risolvere: quando lo zaino è riempito parecchio si crea una pressione verso il dorso che porta l’asta di chiusura della sacca idrica a premere in modo percepibile contro la parte alta delle scapole, all’inizio solo un fastidio (ma già questo diviene negativo: chi deve correre o camminare tanti chilometri non può permettersi nemmeno il più piccolo fastidio) ma poi, chilometro dopo chilometro, si trasforma in vero e proprio dolore; ho provato ad infilare tra l’asta e la schiena la giacca da pioggia ma, nonostante sotto la stessa ci fosse altro materiale, inevitabilmente scivolava verso il basso e il problema si ripresentava costringendomi a continue fermate per ricollocare la giacca nel punto opportuno (solo verso la fine ho provato a tirare quello che ora ho capito essere il porta bastoncini, ma che funziona comunque come variatore volumetrico della base, ottenendo un apparente miglioramento ma da verificare e comunque non completamente risolutivo).

Per il resto posso solo confermare quanto già scritto e ribadire che trattasi di un ottimo zaino, con un portamento eccezionale che non mi ha fatto percepire il peso che avevo a spalle, motivo per il quale proprio mi dispiacerebbe veder restare irrisolti i pochi problemi evidenziati.

Zaino Grivel Mountain Runner 20


Sai com’è, ci sono delle cose che, anche se viste per pochi secondi, ti colpiscono profondamente nella mente da rimanerci indelebili e ritornare continuamente a farsi sentire, di più, a farsi vedere come nitide immagini di realtà aumentata: tu stai camminando e te le vedi davanti, stai lavorando e le vedi sovrapposte a quello che stai facendo, stai dormendo e ti appaiono nei sogni. Inutile, per quanto tu faccia non riesci a liberartene: ti dici che non ti servono e loro, impudenti, tornano alla carica, ti dici che magari non sono così belle come sembrano e loro, irrispettose, ti scrivono nella mente “provami”, ti dici che hai già speso troppo e loro, maleducate, si mettono a farti i conti in tasca. Oggetti empatici, talmente empatici da ricalcare i tuoi sentimenti e farli loro, alla fine non hai scampo, devi dargli ascolto, devi farle tue.

Portamento dello zaino

Così è stato per questo zaino da corsa in montagna, tenutosi nascosto mentre ne cercavo uno, poi apparso improvvisamente ai miei occhi poco tempo dopo aver fatto l’acquisto: nero e giallo com’era nero e giallo un mio precedente zaino da arrampicata che mi aveva egregiamente accompagnato in montagna per tantissimi anni; elegante e compatto com’era elegante e compatto quell’altro, della stessa marca, con la stessa forza attrattiva. L’altro, dopo avermi allo stesso modo prepotentemente catturato, m’aveva dato un prestigioso servizio e se tanto mi dà tanto.

Capita, poi, che le forze si combinino insieme arrivando a trasformare un microcosmo di sensazioni in un macrocosmo di desiderio, in un irrefrenabile impulso all’acquisto: il primo zaino da corsa si dimostra inadeguato alle mie esigenze, di più, si rileva proprio un brutto zaino. Così eccolo qui, davanti a me, sul mio tavolo, ormai parte di me, di un me che lo guarda estasiato, che, nonostante l’abbia già fatto in negozio, ancora lo gira e lo rigira esaminandolo nei minimi dettagli, di un me che ha già trovato e rimediato una piccolissima mancanza: il gancio portachiavi (invero, qualche settimana dopo scopro l’esistenza di un piccolo velcro la cui funzione appare essere proprio questa). Nel contempo ne sto già apprezzando la forma perfetta e la magica struttura, già sogno le prossime avventure in compagnia del nuovissimo zaino giallo e nero, in compagnia di questo bellissimo Grivel Mountain Runner 20.

In linea di principio sarebbe troppo presto per farne una recensione, tutto sommato sono passate poche settimane dall’acquisto e l’ho utilizzato per poche volte e pochi chilometri, ma è troppo bello, troppo funzionale, troppo troppo per attendere oltre, d’altronde ci ho comunque fatto un giro di trenta chilometri con duemiquattrocento metri di dislivello tirato al massimo con diversi lunghi tratti di corsa, inoltre ho una certa esperienza di zaini (invero non solo di quelli) e posso ben farne la valutazione quasi solo guardandoli.

La forma è perfettamente cilindrica (una delle due sole forme ammissibili per uno zaino: cilindro e gerla), bordi laterali paralleli, base piana, fronte che si sviluppa perfettamente in verticale per quasi l’intero zaino e solo nei pressi della sommità s’inclina per unirsi al dorso con una parte superiore stretta e piana. Un colpo d’occhio che fa presagire un’ottima portabilità del carico, una perfetta vestibilità e una grande stabilità dell’insieme, un colpo d’occhio, tra l’altro, decisamente gradevole e a me reso ancor più piacevole dall’indovinata combinazione di colori: il nero della struttura generale dello zaino, il giallo delle cerniere e delle varie tasche, le piccole striscette bianche degli elementi riflettenti e i quattro baffi rossi del sistema di regolazione della taglia.

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Molto leggero (550g) rispetto agli zaini da escursionismo ma, sebbene i venti litri di volume un poco giustifichino la cosa, ancora un poco più pesante di molti suoi compagni da corsa. Fatto con un mix di tessuti che appaiono tutti assai robusti, solo la maglina delle varie tasche appare critica potendo strapparsi a seguito dell’impigliamento di rami e spine, comunque è sempre applicata sopra il tessuto principale per cui eventuali rotture si possono fino ad un certo punto ignorare e poi facilmente sistemare con ago e filo. Non vengono date le specifiche tecniche del tessuto, la prova pratica ha dimostrato un’ottima traspirabilità e l’assenza di impermeabilizzazione (ma con trattamento di idrorepellenza, grazie al quale l’acqua scivola via sotto forma di palline sferiche rallentando l’infradiciamento del tessuto e del contenuto).

Estremamente confortevole (praticamente non lo si sente addosso), lo zaino veste benissimo, è molto stabile e rimane bello alto sulla schiena determinando il miglior portamento possibile: baricentro ben più in alto del nostro e molto vicino alla schiena per un carico verticale senza momento torcente all’indietro.

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Lo spazio di carico è stato suddiviso in tre distinti comparti, ognuno con la sua cerniera di accesso e la sua specificità d’uso, cosa che tiene adeguatamente separati i vari materiali e rende possibile un’ottima distribuzione del peso.

Il comparto a contatto con la schiena è, incomprensibilmente, il più capiente. Comodamente accessibile attraverso una cerniera laterale verticale lunga quasi quanto l’intera altezza dello zaino, contiene il velcro per appenderci la sacca idrica (operazione invero leggermente difficoltosa, specie a comparto pieno, e che richiede l’appoggio su un tavolo o altra superficie orizzontale) e quello, a mia deduzione data la sua piccola dimensione, per appendere le chiavi (purtroppo collocato in una posizione che le rende si molto accessibili ma anche facilmente perdibili). Data la generosa capienza di questo comparto, dopo l’inserimento della sacca idrica avanza ancora spazio che, pur dovendosi tener conto del diretto contatto con la schiena e del dorso che non isola dal sudore, possiamo sfruttare per collocare altro materiale. Sulla spalla destra è presente l’unica feritoia, chiusa con velcro, per l’uscita del tubetto dalla sacca idrica.

Il comparto centrale ha, su ambedue le facce, la spalmatura su un lato del tessuto che lo rende (quasi) impermeabile. Vi si accede attraverso una lunga cerniera che inizia alla base dello zaino, ne risale per intero un lato e prosegue lungo tutta la parte superiore. Due cursori a scorrimento opposto permettono, posizionandoli in corrispondenza della curva, di differenziare l’apertura e l’accesso: laterale e superiore. Qui metto gli elementi asciutti dell’abbigliamento tenendoli rigorosamente ben piegati e piatti. Purtroppo è tanto sottile che ci si riesce a collocare molto poco e il suo volume è in conflitto con quello del comparto più esterno.

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Il comparto più esterno è il più piccolo ma offre comunque una bella capienza. Chiuso da una cerniera posta orizzontalmente nella parte alta del fronte, ha un accesso decisamente comodo (vi passa l’intera mano e avanza ancora spazio). Qui vi trovano naturale collocazione tutti i materiali più piccoli quali barrette, gel, portafoglio, documenti, kit di pronto soccorso, chiavi (manca un moschettoncino per appenderle, ma ho facilmente rimediato cucendo, sul bordino interno della cerniera, un’asola di stoffa con piccolo moschettone super leggero), smartphone (da tenere in apposita custodia stagna: ci si perde dentro e può rovinarsi nel contatto con gli altri oggetti).

Sul fronte dello zaino è presente una capiente tasca in maglina elastica chiusa con un velcro centrale: appare la collocazione ideale per il materiale di utilizzo più frequente ma discontinuo, quale i guanti, il berretto, la maglia del secondo strato, il gilet antivento o, per chi si mette nudo, maglia e pantaloncini.

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Lungo i fianchi dello zaino sono presenti due cordini elastici di variazione volumetrica, passano in anelli di fettuccia che ne permettono uno scorrimento uniforme. La loro regolazione avviene in alto sopra la spalla, soluzione molto comoda in quanto fruibile anche a zaino indossato. Detto cordino è di discreto diametro facendo così ipotizzare un limitatissimo effetto taglio sui passanti.

Alla base dello zaino è presente altro cordino elastico (in realtà il cordino potrebbe essere uno solo che fa tutto il giro, ma essendo fissato allo zaino nelle sue due parti laterali inferiori è come se fossero tre) con un cursore di tensionamento al centro, anche questo utilizzabile a zaino indossato. Qui (vedi nota a fondo pagina) come capito dopo qualche mese d’uso (io non li utilizzo) vanno fissati i bastoncini, ma, in assenza di questi, vi si può fissare una giacca termica, un sacco da bivacco o un piccolo materassino. L’ho trovato assi utile, a zaino poco carico, anche per stringere meglio la parte basale dello zaino e spingere più verso l’alto il materiale (in tale situazione tende a depositarsi tutto sul fondo abbassando il baricentro e creando un poco di fastidio).

Il sistema di tensionamento per il variatore volumetrico sul fondo dello zaino

Le uniche due fibbie presenti sono pratiche e robuste, leggermente troppo piccole per una buona manipolazione con le mani indurite dal freddo o con i guanti. Sono altrettanto robuste tutte le altre parti in plastica. Le cerniere scorrono tutte molto bene, non sono stagne (e per lo scomparto principale questo potrebbe rappresentare una criticità: sarebbe stata forse opportuna una piccola sottile patta impermeabile di copertura della parte superiore), dispongono di piccoli tiretti in metallo il cui utilizzo è reso più agevole da asole di robusto cordino annegate in comode prese plastiche, non molto grandi ma sufficienti per una buona presa, forse andavano fatte un poco più ruvide.

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Il fondo dello zaino non è rinforzato, cosa logica in ragione della tipologia corsaiola e dell’esigenza di contenimento del peso. Quando riempito sta in piedi anche da solo ma dipende da quanto e cosa ci abbiamo messo dentro, oltre che da come abbiamo sistemato il materiale: è consigliabile metterlo sempre sdraiato a terra o appoggiato a qualcosa.

Come per tutti gli zaini da corsa non esiste uno schienalino rigido o semirigido, questo zaino non ha nemmeno una pur leggerissima imbottitura: solo un trasparentissimo (quindi traspirabilissimo) tessuto a maglia con rinforzi diagonali incrociati (Padded Air Mesh, un tessuto confortevole anche a torso nudo) separa la schiena dal materiale presente nel limitrofo comparto dello zaino. Tale tessuto trattiene pochissimo il sudore e questo evita il classico colpo di gelo quando si reindossa lo zaino dopo una breve sosta. D’altra parte lo trasferisce quasi per intero sull’eventuale materiale presente nel comparto principale, cosa da tenere ben presente quando si sceglie cosa metterci: dopo varie sperimentazioni alla fine ho optato per l’utilizzo di un leggerissimo sacchetto in tessuto impermeabile in cui mettere il materiale che qui voglio collocare.

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Dal dorso due ali si prolungano nella parte inferiore ad abbracciare il torace e altre due si allungano nella parte superiore ad avvolgere le spalle. Tutte fatte con lo stesso tessuto del dorso, quelle superiori sono rinforzate all’esterno con il tessuto principale (Air Mesh), cucito solo ai lati per lasciare spazio all’ingegnoso sistema di regolazione della taglia di cui parlo più avanti. Sull’esterno delle ali inferiori sono applicate due tasche (una per ala), abbastanza capienti (ci sta benissimo uno smartphone con schermo da cinque pollici) e servite da una cerniera superiore a tutta lunghezza (si fatica un pochetto a farci passare il suddetto smartphone, comunque l’operazione è fattibile anche a zaino indossato). Esternamente a queste due tasche è presente (una per lato) un’ulteriore capiente (ci sta comodamente una maglia tecnica o anche un paio di pantaloncini, persino di quelli a mezza coscia) tasca formata mediante il tessuto a maglia elastica e chiusa da un piccolo velcro centrale. Sulla loro faccia interna, invece, è ricavato il vano per fissaggio, mediante il già citato sistema di regolazione della taglia, degli spallacci.

Gli spallacci, in Padded Air Mesh rinforzato sui soli bordi, sono confortevolmente dimensionati e leggermente elastici, quel tanto che basta a favorire l’indossamento dello zaino senza mettere a repentaglio il suo sostentamento; chi corre a torso nudo potrebbe sentire l’esigenza di usare dei copricapezzoli, camminando nessun problema.

Particolare interno dello spallaccio

Come detto sono collegati al corpo dello zaino mediante un ingegnoso sistema di regolazione della taglia: gli spallacci non sono, come sempre, cuciti al dorso nella loro parte alta e collegati in basso con la fettuccia regolabile, bensì scorrono liberamente all’interno delle dette sedi realizzate nelle quattro ali che si prolungano dal dorso, pezzi di lungo e largo velcro fissano gli spallacci alle ali. Staccato il velcro (operazione piuttosto complessa che, d’altra parte, presumibilmente andrà fatta solo a zaino nuovo), aiutandosi con le opposte fascette di tessuto (rosse), si fanno scorrere gli spallacci all’interno delle sedi fino ad ottenere il posizionamento desiderato; tale operazione, purtroppo, data l’automatica richiusura del velcro quando si tolgono le dita dalla sede per far scorrere lo spallaccio, richiede la ripetizione della complessa regolazione almeno due o tre volte, ma poi è fatta e siete a posto per sempre. Quattro robuste striscette graduate (da +2 a -2) permettono di avere evidenza del posizionamento, che può essere identico su tutti e quattro i punti oppure differenziato in modo da adattarsi al meglio alla conformazione della persona. Se durante l’operazione di apertura del velcro lo spallaccio dovesse inavvertitamente uscire dalla sua sede, la fettuccia rossa, bloccata allo zaino, gli impedisce di staccarsi del tutto e poi lo si rimette in sede facilmente.

Sul lato frontale degli spallacci sono applicate altre tre tasche per spallaccio: una è il portaborraccia. Quest’ultimo, posizionato poco sopra la base dello spallaccio, è leggermente basso ma comunque compatibile con ogni tipo di borraccia rigida e floscia; essendo chiuso con cordino elastico e cursore può diventare anche un portamateriali (ci sta una canotta o un paio di pantaloncini da corsa); ha un foro di scarico sul fondo rifinito con anellino metallico; un asola in cordino elastico (generata con un semplice nodo) è fissata poco sopra per stabilizzare l’eventuale pipetta lunga della borraccia, purtroppo non è fissato allo spallaccio in modo rigido ma con in piccolo anellino di fettuccia che ne permette la rotazione e la caduta all’interno della tasca finendo bloccato tra questa e la borraccia.

Alla base dello spallaccio c’è una taschina orizzontale con chiusura in velcro, bella larga ma un po’ troppo corta comunque comodissima. In alto, verso la spalla, la terza tasca, senza chiusura salvo il bordino elastico, comodissima per tenerci la barretta di primo utilizzo e il dispenser della crema da sole. Ai lati di ogni portaborraccia ci sono due taschine in maglina elastica, abbastanza larghe da potervi infilare persino uno smartphone con schermo da cinque pollici, manca una fettuccina per aprirle agevolmente indossando i guanti. Grazie alle cerniere molto scorrevoli e ai pezzettini di velcro correttamente dimensionati, tutte le tasche sono accessibili senza togliere lo zaino anche per chi, come il sottoscritto, non abbia una grande articolabilità della spalla e del braccio.

Sugli spallacci sono montati il fischietto d’emergenza, posizionato in alto a destra è facilmente accessibile ma non si può modificare la sua posizione, e i due cinturini pettorali. Questi ultimi si possono far scorrere onde trovarne la migliore collocazione in conformazione al proprio torace, hanno il lato corto (comunque non troppo, quel tanto che lo lascia agevole da utilizzare) elastico e il lato lungo, con sistema di regolazione, rigido; la lunghezza delle fettucce di questi cinturini è eccessiva, in particolare quello più alto che se anche tirato al massimo rimane troppo lasco (e il mio torace non è propriamente stretto), inoltre manca un pratico sistema di raccolta e fissaggio della parte eccedente.

Due asoline sullo spallaccio destro permettono di stabilizzare il tubetto della sacca dell’acqua, mentre manca una clip per fissarne il terminale (non tutte le camelbag ne hanno una in dotazione), ho comunque trovato a tale scopo pratico il cordino che chiude i portaborraccia.

L’anellino per il passaggio del tubetto della sacca idrica

Mancano: un sistema specifico per il fissaggio dei bastoncini (anche se a me non serve visto che non utilizzo i bastoncini), si possono infilare sotto il cordino del variatore volumetrico ma l’operazione richiede di togliere lo zaino; un aggancio sullo spallaccio per l’orologio (c’è chi preferisce non tenerlo al braccio specie col caldo e camminando nudo); la classica maniglia di trasporto nella parte superiore dello zaino (per brevi spostamenti all’interno di luoghi affollati è scomodo usare uno spallaccio e può dare intralcio metterselo a spalle); una tasca stagna per il solo smartphone; un fissaggio più sicuro per le chiavi; una piccola tasca portadocumenti in posizione riparata e chiusa da una cerniera. Come già detto, modificherei anche il volume dei due comparti più grandi, riducendo quello a contatto con la schiena e ampliando quello stagno centrale. Vedrei molto bene una versione femminile.

In conclusione, questo Grivel Mountain Runner 20 necessita magari di attenzione nel carico dei materiali (mentre si è in marcia è invece tipico cacciarli dentro alla belle meglio) ed è poco agevole il fissaggio della sacca idrica, ma è proprio un bello zaino, pratico, comodo, stabile: è un piacere camminare e correre con lui sulle spalle. Decisamente promosso e consigliabile.

Importante integrazione consequenziale a un utilizzo sulla lunga distanza.

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Vista dorsale dello zaino

Zaino RaidLight UltraVest 20


Nella tarda estate del 2016, sulla base delle esperienze fatte durante la preparazione e il primo tentativo di TappaUnica3V, ho sentito l’esigenza di applicare dei portaborraccia agli spallacci dello zaino onde semplificare e velocizzare l’idratazione. Dal momento che i negozi della mia zona, quantomeno quelli da cui mi servo, non avevano nulla del genere ed anche su Internet non trovavo nulla di soddisfacente, capii che dovevo pensare ad uno zaino già così predisposto. A quel punto, avendo introdotto negli allenamenti la corsa dove l’ottimo zaino già in mio possesso (e descritto in altra recensione) perdeva stabilità, focalizzai la mia attenzione sugli zaini da trail che, oltre al requisito di cui sopra, mi avrebbero dato un minore peso e una maggiore stabilità. Nel corso dei due mesi successivi esaminai i siti di diversi produttori (quelli legati all’alpinismo, l’unico campo che, a quel tempo, conoscevo bene), visualizzando vari modelli, tutti, però, avevano un solo portaborraccia e io ne volevo due, uno per spallaccio. Cerca che ti ricerca sono incappato nel sito di RaidLight (marca che si dedica esclusivamente ai prodotti per il trail e che, quindi, non conoscevo) e ho trovato quello che desideravo, ma… ma quello che vedevo non mi convinceva per cui memorizzai la pagina e continuai la ricerca ancora per un mesetto. Cercai delle recensioni e ne trovai alcune, purtroppo nessuna dava pareri completi e tutte sembravano nascondere qualcosa (devo dire che analoga impressione l’avevo già avuta leggendo le recensioni di altri prodotti similari e anche completamente differenti). Alla fine, evitando stupidamente di vedere se lo zaino fosse disponibile presso qualche negozio della mia zona, mi feci convincere dal prestigio del marchio e dal valore dei suoi ambasciatori così ruppi gli indugi: nel tardo autunno 2016 feci l’ordine direttamente sullo shop on-line della RaidLight. Poco dopo arrivò il pacco, lo aprii freneticamente e la prima impressione fu quella di uno zaino esteticamente notevole ma anche piuttosto delicato per il tessuto sottilissimo, alzandolo rinotai quei dettagli che mi avevano fatto tergiversare a lungo prima di formulare l’acquisto ma mi dissi anche “non facciamoci condizionare dalla vista, spesso le apparenze ingannano, solo l’utilizzo darà indicazioni obiettive”.  Siamo ad oggi, l’utilizzo ora c’è stato ed è stato intenso, posso quindi formulare un parere oggettivamente valido, anche se, trattandosi di un prodotto che deve vestire, in parte sempre suscettibile di soggettività: “che delusione: alla prova dei fatti questo zaino è risultato solo in minima parte degno della fama del marchio e dei suoi testimonial”. Passiamo ai dettagli.

La base molto più larga, sia sul piano orizzontale che su quello longitudinale, della sommità dà allo zaino un’antica e obsoleta forma a pera che, per giunta, diventa rotondeggiante quando viene riempito anche solo parzialmente. A parte l’aspetto estetico, tutto sommato irrilevante, tale conformazione comporta un abbassamento (più materiale, indi più peso, alla base che sopra) e un arretramento (maggiore distanza dalla schiena) del baricentro, questo, per precise regole fisiche, genera un momento torcente e comporta un problematico portamento: lo zaino tira all’indietro e preme sui lombi provocando, alla lunga, dolore in questa sede. Si potrebbe obiettare che in uno zaino da trail non ci si mette tanto materiale e, soprattutto, non ci si mette materiale pesante, ma questo è uno zaino da venti litri e quindi anche solo il vestiario che ci si può infilare finisce con l’avere un peso già rilevante ai fini del discorso fatto, aggiungiamoci la tasca dell’acqua, un poco di cibo e magari una borraccia di riserva o un termos e la frittata è fatta.

Leggero (630 grammi) rispetto ai classici zaini da venti litri, ma comunque piuttosto pesante per la categoria a cui appartiene (trail), è fatto con un tessuto molto sottile e dall’apparenza alquanto debole, al lato pratico si è invece dimostrato piuttosto resistente, salvo per le diverse parti in maglina: vi restano facilmente impigliati rami e spine che strappano il tessuto, fortunatamente sono elementi che si sovrappongono al tessuto principale quindi i danni sono fino ad un certo punto ignorabili e poi facilmente riparabili con ago e filo. Discreta la traspirabilità del tessuto principale: riponendoci materiale umido (quale una maglia sudata) questo non riesce ad asciugare e va a infradiciare tutto il resto. Anche se ho avuto modo di testarla una sola volta, l’impermeabilità posso definirla quantomeno buona (ha retto tre ore di pioggia torrenziale) ma, mancando una patta di copertura, in parte annullata dalle cerniere non stagne: si rimedia parzialmente tenendo ambedue i cursori della cerniera sullo stesso lato dello zaino e, per le situazioni più critiche, adottando un coprizaino da pioggia (che faticherà a stare al suo posto visto che, per la conformazione tipica degli zaini da trail, manca il classico gradino creato dalla patta che sale oltre gli spallacci). Le pochissime fibbie presenti sono di materiale robusto e adeguatamente proporzionate per un comodo utilizzo anche coi guanti o le mani irrigidite dal freddo. Le cerniere sono poco scorrevoli, più curati i tiretti: al posto di quelli, classicamente fragili, metallici sono stati usati dei tiretti composti da una più resistente asola di cordino annegata in pratiche e anatomiche prese in plastica zigrinata che offre un’ottima presa. Il fondo dello zaino è rinforzato con materiale più robusto cucito solo sul contorno in modo da creare una grande e praticissima tasca inferiore. Dato il dorso molto più lungo del fronte e l’eventuale irregolarità del fondo provocata dalla presenza di materiale nella tasca inferiore, quando appoggiato a terra lo zaino, anche se bel pieno, non mantiene la posizione verticale: per riempirlo agevolmente o, una volta in ambiente, per non vederlo scivolare giù da qualche scarpata, va assolutamente sdraiato, meglio se sul dorso (che in caso di terreno bagnato o infangato si infradicerà).

Molto ampio e capiente il comparto principale, che poi è anche l’unico visto che per il resto possiamo solo parlare di tasche, mi sembra superi abbondantemente i venti litri dichiarati (oppure è il mio nuovo zaino da trail che non li raggiunge, ma direi più probabile la prima opzione); un comparto così voluminoso andava quantomeno diviso in due parti, sia per mantenere separato il materiale rendendone più facile la collocazione e il prelevamento, sia per premettere una migliore distribuzione del peso. Quasi completamente avvolto sui tre lati da una cerniera risulta facilmente accessibile in ogni suo punto, a cerniera completamente aperta, però, il contenuto tende ad uscire molto facilmente. All’interno di tale comparto, sul suo lato posteriore (ovvero quello a contatto con la schiena), è collocata la tasca per la sacca idrica; fatta in rete a larghi fori, è una tasca molto ampia in tutte e tre le direzioni con un conseguente limitatissimo contenimento della sacca che, essendo fissata solo al centro mediante l’apposto velcro (leggermente troppo lungo), tende ad oscillare; è comunque possibile sfruttare la tasca per collocarvi, e tenerlo separato dal resto , materiale morbido riempiendo gli spazi vuoti e stabilizzando la sacca. Il tessuto che separa la tasca dalla schiena, leggermente argentato, dovrebbe isolare la sacca dal calore, in realtà questo non avviene. Giustamente due sono le uscite per il tubetto della sacca idrica: destra e sinistra. Il sistema di variazione volumetrica è composto da un cordino che, scorrendo in passanti in tessuto, segue il bordo dei fianchi mantenendo inalterata la forma a pera e la tendenza del materiale a posizionarsi in basso. I passanti inferiori, sottoposti ad una maggiore tensione rispetto agli altri, vengono facilmente tagliati dal cordino; il punto di tiraggio è posto in basso al centro dello zaino risultando accessibile solo togliendo lo zaino dalle spalle; l’eccedenza del cordino può essere infilata nella parte centrale della grande tasca a maglia che avvolge la base dello zaino: l’apertura di accesso è limitatissima (ci passa un solo dito) e rende l’operazione non comodissima, inoltre questa zona non è separata dal resto della tasca per cui il cordino finisce col scivolare lateralmente andando a incastrarsi nel materiale che viene inserito complicandone la successiva estrazione.

Come già detto una parte in maglina elastica avvolge su tre lati la parte inferiore dello zaino e crea un ampio e comodo spazio accessibile da ben quattro aperture per lato (indi otto in totale): una orizzontale nella parte superiore laterale, è bella grande e, a patto di avere le braccia molto flessibili, fruibile anche senza togliere lo zaino; un’altra verticale nella parte laterale rivolta verso la schiena, leggermente più piccola e stretta (per evitare la fuoriuscita del materiale) della precedente ma più facilmente utilizzabile a zaino indossato; altre due, molto piccole, nella parte frontale dello zaino (una è quella già indicata parlando del sistema di variazione volumetrica). Tali aperture sono chiuse solo da un elastico di trattenimento, cosa comoda ma che lascia qualche perplessità sulla capacità di trattenere qualsiasi tipo di materiale. L’idea di questa grande tasca esterna attorno allo zaino in linea teorica è bellissima visto che permette di tenere a portata di mano molto materiale, peccato che, alla prova dei fatti, vada a esaltare la forma a pera incidendo negativamente sui già detti problemi di carico e portamento. Il cordino del sistema di variazione volumetrico passa all’interno di questa grande tasca senza nessuna separazione e, pertanto, finisce con l’ostacolare l’inserimento del materiale. Un’altra altrettanto comoda tasca in maglina elastica è cucita sul fronte dello zaino, l’accesso molto ampio e morbido lascia fuoriuscire il materiale rigido quando ci si leva lo zaino da spalle e lo si deposita a terra. In coincidenza di questa tasca ne è presente un’altra interna allo zaino e, quindi, fruibile a fatica quando il comparto principale è bello pieno; è molto profonda e larga, ma ha un accesso limitato (ci passano tre o quattro dita ma non la mano intera) che rende difficile recuperare eventuale piccolo materiale, ad esempio la patente, che vi sia stato deposto; al suo interno è presente un gancio in plastica per fissare le chiavi, peccato che un eventuale smartphone (che, nonostante la cerniera non stagna, trova qui la sua collocazione ideale) finisca per interferire con le chiavi, questo gancio andrebbe collocato all’interno dello zaino, tanto le chiavi serviranno solo al termine dell’uscita. Un’altra tasca, in larga maglina elastica, è ricavata all’interno dello zaino sull’ampia patta di accesso e viene così a coincidere in posizione con le precedenti due incrementando ulteriormente il conflitto tra i materiali: se ne riempite per bene una, sarà difficile usufruire delle altre. Chiusa solo da un elastico, per giunta piuttosto morbido, quest’ultima tasca perde facilmente il suo contenuto quando si apre il comparto principale e si rivolta la patta: sarebbe stato opportuno mettere almeno un pezzetto di velcro al centro, meglio due laterali, meglio ancora una cerniera.

Non esiste un vero e proprio schienalino, il dorso dello zaino è semplicemente imbottito sui due lati con due cuscinetti, divisi ognuno in tre parti da due cuciture trasversali, di discreto spessore e  ricoperti con un tessuto a maglina fine assai morbido e confortevole ma troppo caldo, cosa che torna utile con basse temperature o, a schiena sudata, nel reindossare lo zaino dopo una sosta, ma che risulta poco confortevole in tutte le altre situazioni: strano per uno zaino che è stato studiato per il deserto! Il sistema è quello sostanzialmente adottato da tutti gli zaini da trail ed è necessario alla vestibilità e alla leggerezza, ovviamente eventuale materiale duro lo si sente nella schiena se non si ha l’accortezza di frapporvi del vestiario (ma poi quando ti serve…): certo in un trail di materiale duro ne serve ben poco, giusto la frontale e il kit di pronto soccorso, ambedue collocabili altrove, ma se usate questo zaino per delle escursioni (personalmente trovo gli zaini da trail molto comodi per le escursioni di un giorno solo, specie se fatte a passo sostenuto e magari con qualche tratto di corsa) le cose potrebbero cambiare. Per la ventilazione della schiena c’è il solo canale centrale creato dalla separazione tra le due parti imbottite: pochino, il sudore non evapora. L’assenza di una struttura rigida impone molta attenzione nel collocare il materiale onde evitare il fastidiosissimo rigonfiamento a pallone verso la schiena: sostanzialmente sarebbe da evitarsi il classico riempimento alla buona, con appallottamento del vestiario, che si finisce col fare in fase di cammino, specie se si ha fretta.

Gli spallacci vestono molto bene e sono composti da un tessuto a maglia larga la cui elasticità viene limitata da due bordini in tessuto molto meno elastico, in tal modo si facilita l’indossamento senza inficiare la corretta sospensione dello zaino. Leggera l’imbottitura, adeguata al carico che si presume si possa dover mettere in uno zaino di questo tipo, un poco al limite per un utilizzo più escursionistico. Purtroppo il loro sistema di regolazione è molto meno adeguato: è difficile da registrare, appare dimensionato per toraci piuttosto voluminosi (il mio non è grossissimo ma nemmeno sottile eppure ho dovuto stringere al massimo) ed è cucito solo sul lato interno dello spallaccio per cui ad un certo punto il passante, più grande della fessura in cui passa la fettuccia del sistema di regolazione, si impunta nello spallaccio provocandone un fastidioso arricciamento. Il taglio degli spallacci lascia scivolare lo zaino verso il basso invece di tenerlo alto sulle spalle, peggiorandone il già critico portamento. Sulla parte alta degli spallacci sono applicate due taschine con chiusura a cerniera, sono comode per tenere a portata di mano barrette e gel ma rumorose (se non completamente riempite il materiale al loro interno rimbalza durante la corsa facendo frusciare il tessuto) e posizionate troppo in alto (praticamente sopra la spalla): con la complicità delle cerniere poco scorrevoli risulta difficile aprirle e chiuderle; essendo l’accesso posto sull’esterno, per accedervi senza togliere lo zaino bisogna piegare molto il braccio potendo così operare con le sole dita, e nemmeno tutte, il che rende complicato prelevare il materiale senza far cadere fuori il tutto. Sul lato frontale di queste taschine è applicata una fascia di tessuto in maglina dove poter infilare un’altra barretta tenendola a portata di mano, peccato che il posizionamento della tasca di supporto sottostante (come detto sopra la spalla) renda difficile inserire ed estrarre la detta barretta. Nel lato inferiore degli spallacci sono applicati i due ottimi portaborracia, uno per spallaccio: compatibili sia con le borracce da corsa tradizionali (rigide) che con quelle flosce; piuttosto capienti (ci si infilano anche borracce rigide da seicento centilitri); dotati di un pratico cordino elastico di chiusura, più lungo del necessario, l’asola eccedente torna utile per impedire alle borracce di scivolare fuori, ha un cursore che permette di chiuderli completamente rendendoli utilizzabili, in assenza di borraccia, come portamateriale (in una singola tasca potete metterci comodamente una canotta e, cosa utile a chi cammina o corre nudo, un sottile pantaloncino da corsa oppure ci si può addirittura collocare una maglia a maniche lunghe del secondo strato); le borracce rigide da seicento centilitri rimangono molto stabili e anche correndo non ho rilevato rilevanti problemi di sfregamento sui capezzoli, anche se si percepisce una certa pressione; sui due lati hanno un piccolo taschino di maglia a rete, abbastanza alto e capiente da potervi infilare, senza tema di perderlo (quantomeno in presenza di borraccia e camminando), persino uno smartphone con schermo da cinque pollici (cosa comoda per tenere a portata di mano la fotocamera o l’app GPS). All’interno dei portaborraccia una sottile membrana di morbido tessuto genera un altro taschino, qui, anche se la presenza della borraccia ne rende difficoltoso l’accesso, vi si possono infilare delle buste di gel o altri materiali sottili: non avendo una chiusura, in assenza delle borracce questo materiale può però fuoriuscire facilmente sotto l’effetto dei rimbalzi della corsa o dei salti. Due i cinturini elastici pettorali, uno nella parte alta degli spallacci e uno, con fischietto integrato nella fibbia, nella parte bassa in corrispondenza dei portaborraccia. Il primo ha un lato troppo corto che lo rende difficile da allacciare, inoltre con una regolazione ottimale la fibbia preme sul torace e alla lunga genera dolore; il secondo è fatto con un elastico che tende a perdere elasticità, inoltre il suo posizionamento (pensato per stabilizzare le borracce), tende a far ruotare verso l’interno i portaborraccia rendendo di fatto poco fruibile il taschino a rete interno (rimane schiacciato contro il torace). Manca un aggancio a clip per il terminale del tubetto della sacca idrica e un sistema di fissaggio dell’orologio (c’è chi preferisce non tenerlo al polso, specie con il caldo e specie camminando o correndo nudo). Dato il posizionamento basso sulla schiena dello zaino, il sistema di avanzamento del carico è sostanzialmente inutile, serve più che altro a mantenere più stretta la parte alta dello zaino ed evitarne sballonzamenti durante la corsa, oltre che a impedire, nell’aprire il comparto principale, l’involontario ribaltamento della patta anteriore e la fuoriuscita incontrollata del materiale.

In uno zaino vestente e corto la cintura in vita risulta inutile, dato il suo cascante posizionamento sulla schiena, risulterebbe in questo caso invece assai utile per stabilizzare uno zaino che, nella corsa e nei salti, tende a rimbalzare parecchio: l’intero zaino in senso verticale e la sua parte basale in quello orizzontale. Due ali laterali dipartono dal corpo dello zaino e vanno a collegarsi alla base degli spallacci; sopra di esse sono collocate due tasche, una, suddivisa in due parti con il tipico problema di conflitto tra i due contenuti, contiene l’attacco per un lettore MP3 (o smartphone ma dev’essere piccolino) il cui cavo passa all’interno del comparto principale per uscire sullo spallaccio destro dove il terminale permette il collegamento del jack degli auricolari. Queste due tasche sono discretamente capienti, peccato risultino talmente arretrate da richiedere capacità da contorsionista per potervi comodamente accedere senza togliere lo zaino, il tutto complicato dalle cerniere poco scorrevoli.

Doppio portabastoncini, uno classico sul retro dello zaino e uno innovativo sovrapposto al portaborracce che consente di riporre e togliere i bastoncini senza togliere lo zaino; non utilizzando i bastoncini non ho avuto modo di testarli. Quattro robusti anelli di tessuto sono posti sotto la base dello zaino e servono a fissare un eventuale sacco a pelo o materassino (le relative fascette vanno però acquistate a parte). Altri tre anelli sono presenti sulla parte frontale, sopra la tasca in maglina, e sono stati pensati per fissare un pannello solare di tipo portatile. Nella parte superiore degli spallacci sono presenti i due agganci per lo zainetto pettorale della RaidLight che si acquista a parte. Le cinghie di regolazione, decisamente ed eccessivamente lunghe, sono sprovviste di un efficiente sistema di raccolta e fissaggio dei lembi eccedenti che così restano fastidiosamente cascanti. Anellini di tessuto sono posti sulle varie taschine di rete e sui portaborraccia per facilitarne l’apertura. Questi ultimi e i passanti del variatore volumetrico sono fluorescenti facilitando l’individuazione della persona che cammina al buio.

Tirando le somme, dovendosi correttamente rilevare che questo zaino è stato nel 2017 rielaborato in una tipologia più tradizionale (decisamente più alto, apparentemente cilindrico, con spallacci più imbottiti e cintura in vita) e ora (2018) appare rimosso dal catalogo della casa produttrice (al suo posto è apparso un altro modello pressoché identico: il Legend 20), in questo RaidLigh UtraVest 20 si nota un’impressionante cura dei piccoli dettagli purtroppo non supportata da un’analoga attenzione verso i macrofattori, soprattutto verso i due aspetti più importanti ai fini di un corretto e indolore portamento: la forma e il posizionamento sulla schiena. Peccato, sono stato alla fine costretto a comprare un altro zaino di marca diversa (che recensirò quanto prima possibile perché appare veramente valido)!

 

 

Zaino Salewa Randonnée 36


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Quando hai uno zaino pressoché perfetto il doverne registrare l’ormai eccessiva anzianità di servizio è certamente traumatico, ma la speranza di trovarne uno altrettanto valido, anzi, vista l’evoluzione del settore, probabilmente migliore, ti aiuta ad affrontare il delicato passo del nuovo acquisto. Con tali contrastanti sentimenti ero lì, nel negozio, davanti a decine di zaini di ogni forma e dimensione, deciso a non andarmene via senza il mio nuovo zaino. Con minuziosa attenzione esamino tutti quelli che rientrano nel range dimensionale che ho stabilito (dai trenta ai quaranta litri) e nel giro di una ventina di minuti ne ho uno che mi piace assai però… però è al limite minimo del range e secondo mia moglie potrebbe essere troppo piccolo, lo metto in disparte e riprendo l’analisi. Ce ne sono altri due che m’avevano colpito, li riesamino, li provo, li confronto, ma ancora non scatta quella molla che mi convinca all’acquisto. Ripasso tutta la collezione presente nel negozio, so che una scelta errata risulterebbe irreparabile per cui, anche se sia il commesso sia mia mogie iniziano a mostrarsi infastiditi dalla mia indecisione, ci ragiono sopra con attenzione. Dopo un’ora e mezza finalmente ho ridotto la scelta tra tre soli zaini: il primo che avevo individuato da subito e altri due che sono praticamente identici ma uno, un trenta litri come il primo, è da escursionismo e l’altro, un trentasei litri, è da sci alpinismo, che fare? Devo prendere una decisione e vado sul più grosso: anche se è studiato per un’attività diversa da quella che andrò a fare, alla fine è molto simile al corrispondente da escursionismo, purtroppo in negozio disponibile solo nella taglia più piccola, anche il peso è identico. Esco dal negozio con in mano il mio nuovo zaino, un Randonnée 36 della Salewa e ora, dopo tre anni di intenso utilizzo (precisiamo utilizzo escursionistico, visto che lo sci alpinismo non lo pratico più, e a tale utilizzo fa riferimento la presente recensione) in varie situazioni e su vari percorsi, da poche ore a quaranta ore consecutive, con il sole e con la pioggia, camminando e correndo, vestito e nudo, ne ho potuto apprezzare ogni singolo dettaglio, ogni singola caratteristica, individuandone pregi e difetti, si perché qualche difetto c’è, d’altronde la perfezione è inarrivabile.

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La forma leggermente a gerla (più largo in alto che in basso) comporta un ottimo portamento del carico: essendo il baricentro dello zaino molto più in alto di quello del nostro corpo il peso del carico agisce su di noi in modo verticale, senza la pericolosa pressione sul piano trasverso a livello lombare che si crea quanto il baricentro dello zaino è prossimo o addirittura più basso del nostro. Abbastanza leggero (1100g) per la categoria a cui appartiene, è fatto con un tessuto robusto dotato di buona traspirabilità e discreta impermeabilizzazione, le cerniere non sono stagne ed è preferibile dotarsi di un coprizaino (purtroppo non integrato). Fibbie resistenti e, nonostante siano piccole, pratiche. Cerniere scorrevoli, i relativi tiretti, già di per sé stessi di buona dimensione, sono dotati di comodi, ma un poco delicati, tiranti in gomma con voluminosa presa. Il fondo dello zaino è adeguatamente rinforzato ma con una forma che, in abbinata allo schienalino rigido interno che arriva a sopravanzare il fondo, rende lo zaino poco stabile nell’appoggio a terra, ne consegue la difficoltà nell’operazione di riempimento e, una volta in ambiente, il pericolo di vederlo rotolare a valle se deposto a terra senza fornirgli un adeguato sostegno (tenerlo fra le gambe, appoggiarlo a un muro o una pianta, sdraiarlo).

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Comparto principale con doppio accesso: quello classico superiore e quello alternativo laterale. Il primo è solo leggermente stretto, il secondo è molto ampio ma ha la cerniera mal dimensionata: la sua terminazione inferiore è lontana rispetto al fondo per cui è difficile se non impossibile prelevare gli oggetti posti più in basso (sebbene qui vadano collocati i materiali d’utilizzo meno frequente, questi sono spesso anche i più voluminosi e quindi complessi da estrarre se l’accesso è ridotto), mentre la terminazione superiore arriva molto in alto col risultato che, specie a zaino parzialmente vuoto e quindi molto arricciato nella parte superiore (la quale è per altro comunque facilmente accessibile dall’alto), per poter accedere al cursore della cerniera va aperta la patta. Limitatissima l’estensione del comparto principale (2 litri), comoda per una migliore chiusura del vano, specie in caso di pioggia. La tasca per la sacca idrica è collocata all’interno del vano principale, un’apposita finestrella (una sola, sul lato destro) permette il passaggio verso l’esterno del tubetto. Questa tasca è bella larga, i due fermi laterali, però, non si adattano alla forma dei principali sistemi di aggancio presenti sulle camelbag, comunque il velcro centrale è sufficiente dato che la tasca non si espande molto e tiene così ben ferma la sacca; tale limitata espandibilità purtroppo spinge la sacca idrica verso l’esterno e, nonostante lo schienalino semirigido, la fa sentire nella schiena. Nella parte superiore è presente un cinghiolo per il fissaggio della corda: può tornare comodissimo per fissare una giacca o un maglione mantenendoli velocemente fruibili.

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La patta copre a fatica lo zaino quando questo è pieno, ma il bordo elastico facilita un poco l’operazione e la mantiene poi in posizione anche a zaino vuoto. Sopra la patta è collocata una comoda e capiente tasca che, correttamente, si espande verso l’alto onde mantenerla fruibile anche a zaino pieno. All’interno di questa tasca, sul suo lato inferiore, è cucita una rete che crea una parte isolata, invero poco utile dal momento che per accedervi è necessario aprire la tasca principale ed è così facile perdere materiale; la chiusura a velcro rende poco pratico l’accesso, inoltre ha il lato superiore più lungo di quello inferiore. Sotto la patta c’è un’altra tasca, questa con una più affidabile e comoda, chiusura a cerniera: documenti e chiavi possono qui trovare la loro collocazione migliore anche se in alcune occasioni può risultare scomoda (per accedervi è necessario aprire la patta). All’interno di tali tasche, purtroppo, manca il classico gancio per fissare le chiavi. C’è anche da rilevare che, problema comune a tanti zaini, le due tasche supplementari sono ricavate nello stesso spazio della tasca principale e pertanto risultano difficili da utilizzare quando quest’ultima è ben riempita.

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Lo schienalino aderisce in modo preciso alla schiena dando, con il contributo della piastra modellabile interna (che invero non sono riuscito a modificare vista la sua estrema durezza ed ho preferito lasciarla così come è trovandola comunque già perfetta), allo zaino una eccellente stabilita: camminando non si sentono spostamenti laterali sia a pieno carico che a vuoto, solo correndo tende a sballottare (già non è uno zaino da corsa, ma lo è da scialpinismo, indi… l’azione dello sci provoca ancor più sollecitazioni laterali e verticali del correre). Il tessuto che ricopre il lato esterno dello schienale è morbido dando una sensazione gradevole anche sulla pelle nuda: dopo ore di utilizzo non ho rilevato irritazioni. Sarebbe stata apprezzabile una maggiore areazione che si poteva facilmente ottenere dimensionando i canali un poco più ampiamente o/e aggiungendone alcuni in più, questa è una delle poche cose che mi fanno rimpiangere in mio precedente zaino.

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Spallacci ben formati, né troppo larghi né troppo stretti, imbottiti il giusto, facilmente regolabili, con cinghioli di avanzamento del carico. Dotati di cinturino pettorale per la stabilizzazione dello zaino, regolabile sia in lunghezza che in posizione, con elastico di tensionamento e fischietto incorporato nella fibbia di chiusura, purtroppo manca un sistema di fissaggio dell’avanzo di cinturino. Peccato manchino un passante per fissare l’orologio (camminando nudi si preferisce toglierlo), un pratico aggancio a clip per il terminale del tubetto della sacca idrica (c’è solo uno scomodo passante elastico sul lato superiore dello spallaccio: prima di togliere lo zaino bisogna ricordarsi di levare l’erogatore da tale passante perché non esce da solo o si rischia comunque di strappare il passante) e una morbida tasca portaborraccia.

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Ottima anche la cintura in vita, con funzionale doppio (frontale e laterale) sistema di regolazione simmetrico (ogni regolazione è effettuabile su ambedue i lati), molto comode le striscioline in velcro per fissare quanto avanza della cintura frontale dopo la sua regolazione. Sul lato sinistro è collocata una comoda ma non molto capiente tasca con cerniera, sotto a questa troviamo un vano aperto su entrambi i lati dove, se la tasca sopra non è troppo piena, si possono infilare un paio di barrette energetiche o altro materiale sottile. Inutile ai fini escursionistici (ma a mio parere anche per quelli sci alpinistici, ce ne sono altri due più capienti sui lati dello zaino) il portamateriale applicato sul lato senza tasca, era molto meglio collocare qui una seconda tasca.

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Comodissime le due tasche a rete poste sui lati dello zaino: molto capienti e alte vi si possono collocare anche le borracce ottenendone un comodo accesso, sebbene sia comunque necessario togliere lo zaino (o quantomeno uno spallaccio). La larga e piatta tasca anteriore a doppia apertura (cerniera laterale e velcro superiore), pensata per riporvi il materiale di emergenza (pala, sonda e barella), è comodissima per metterci la cartina e gli indumenti sottili di principale utilizzo, quali la maglietta, i pantaloni corti e il berretto, il suo riempimento va però a ridurre negativamente quello dello scomparto principale (o viceversa). Il sistema di fissaggio degli sci (cinghia laterale più cinghia inferiore a scomparsa) torna sostanzialmente inutile ai fini escursionistici, peccato non sia possibile rimuoverlo senza materialmente tagliarlo. Il porta piccozza va bene anche per fissare i bastoncini (se li utilizzate).  Manca un portaramponi, ma devo dire che a mio parere questo è più un vantaggio che uno svantaggio: molto meglio riporli all’interno dello zaino, subito sotto la patta. Adeguati i variatori di carico, anche se, alla fine, vista la già limitata larghezza dello zaino e la presenza sotto gli stessi delle tasche a rete, si utilizzano molto poco, possono comunque tornare utili per fissare un materassino o altro materiale leggero ma ingombrante.

Riepilogando il Salewa Randonnée 36 è un ottimo zaino da escursionismo, ricco di dettagli interessanti che lo rendono piuttosto versatile, alcuni piccoli ritocchi e la risoluzione di un paio di seri difetti potrebbero renderlo pressoché perfetto.

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Scarpe Kalenji Kiprun Trail MT


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Un noto proverbio recita “chi più spende, meglio spende”, beh, posso con certezza affermare che non è sempre vero: talvolta prodotti meno costosi risultano essere altrettanto validi quanto quelli più cari. Uno di questi casi riguarda queste scarpe da trail, le Kalenji Kiprun Trail MT: costano meno della metà delle ottime scarpe che ho usato negli ultimi quattro anni (vedi le relative recensioni: La Sportiva Raptor e Ultra Raptor GTX), costano i due terzi delle Brooks Adrenaline ASR 12 (non le ho ancora recensite) che da un anno, essendo meno pesanti delle precedenti, utilizzo per le brevi distanze e per i medi veloci, eppure reggono benissimo il confronto con tutte e tre, anzi, nel complesso le trovo migliori delle Adrenaline (più leggere ma dolorosamente strette e basse in punta, con un grip buono solo su terra asciutta e una suola assai delicata) e altrettanto consigliabili quanto le Ultra Raptor (degne sostitute delle Raptor, risultate alquanto delicate a livello dei fascioni sulla tomaia), rispetto alle quali sono meno protettive e hanno una suola meno aggrappante sulla roccia bagnata ma molto più performante sul fango e, soprattutto, assai più durevole.

L’acquisto di queste scarpe è stata una decisione improvvisa, già da un paio di mesi, in conseguenza di un cedimento a livello di suola delle Brooks, le stavo osservando, almeno una volta a settimana andavo sul sito di Decathlon e ne leggevo le caratteristiche, ogni volta che andavo in negozio mi ci soffermavo davanti, poi il pensiero dei tanti soldi già spesi mi faceva desistere dall’acquisto. Due settimane addietro, però, durante una trenta chilometri mi sono trovato a camminare per metà della distanza con un pezzo di suola che strisciava a terra, ormai erano già tre volte che lo reincollavo e lui si staccava regolarmente e sempre più velocemente trascinandosi man mano dietro altri pezzi, inevitabile il pensiero che ne è nato: “devo fare la piega, queste scarpe non sono più affidabili, le posso al massimo utilizzare per i medi su fondo asciutto, liscio e uniforme”.

Reincollo la suola e ragiono sulla questione: tutto sommato le Kiprun Trail MT sono per i lunghi, distanze che ho in programma per tre sole volte, e ho ancora due paia di Ultra Raptor (invero tre, ma una, con in carico meno di un centinaio di chilometri, è gelosamente riservata al giro finale di TappaUnica3V) che, sebbene cariche ormai di qualche migliaio di chilometri cadauna, posso ancora sfruttare, specie considerando che ho ordinato delle solette speciali per compensare la perdita di ammortizzazione. Il tarlo, però, stimolato dall’approssimarsi del primo lungo, rode nella mente portandomi ripetutamente sul sito Decathlon e, così, scopro che Kalenji ha prodotto una nuova versione del modello Trail, la XT7: più leggera della MT è una scarpa che si colloca nella stessa categoria delle Adrenaline. È fatta, qualche giorno dopo sono in negozio con tra le mani questi due modelli di scarpe, già due, perché alla fine le recensioni della XT6 (delle XT7 essendo nuovissime ovviamente si trova pochissimo) non sono del tutto convincenti, mentre lo sono quelle delle MT. Provo e riprovo queste scarpe, le confronto, le differenze nella calzata appaiono veramente minime, me le sento bene ambedue, boh, quale prendo? Pensa che ti ripensa, prova che ti riprova, la decisione viene determinata dalla taglia: la XT7 è disponibile, per le mie misure, solo nella quarantaquattro e mezzo, la MT anche nella quarantacinque e questa taglia mi offre sensazioni migliori alle dita. Compro le MT!

Dopo due giorni le rodo in una venti chilometri corsaiola: partenza e arrivo su asfalto, ripide discese di cui una molto tecnica, lunghe salite, terra e fango, rocce acuminate e ammucchiate di sassi mobili, alla fine, seppure con qualche rilievo, belle sensazioni. Dopo altri due giorni eccole ai miei piedi nella sessanta chilometri di solo cammino ma comunque tirata: dodici ore e quaranta senza sosta su di un percorso assai vario con terra, roccia, asfalto, cemento, sassi, foglie, neve e ghiaccio con la riconferma delle belle sensazioni. Insomma subito messe all’opera in modo pesante e sufficientemente completo, tanto da potermi già permettere questa recensione.

A guardarle non si direbbe, eppure la parte anteriore lascia molto spazio alle dita ed è la prima piacevole sensazione che si prova camminandoci, purtroppo meno piacevole la sensazione sull’altro versante, quello inferiore, dove la disposizione dei tasselli determina una linea di flessione leggermente arretrata rispetto a quella naturale del piede, cosa che, oltre a limitare un poco la spinta a fine rullata, alla lunga può determinare, camminando su fondo molto duro, quale l’asfalto o le strade bianche, un poco di bruciore sulla testa dei metatarsi. Già che si parla dei tasselli, soffermiamoci su questi per rilevarne la multidirezionalità e la generosa quantità e dimensione, in tutte e tre le direzioni spaziali, che, insieme ad una certa rigidità e ai bordi netti, donano alla scarpa un’eccezionale tenuta sul fango, anche quello più profondo e pastoso, dove, tra l’altro, non si avverte il classico effetto di risucchio. La quantità dei tasselli aiuta la tenuta ma non favorisce lo scarico, comunque sufficientemente buono da garantirci una presa costante, c’è solo da porre un minimo di attenzione passando dal fango all’asfalto e alla roccia bagnati, sui quali già di suo la suola, come molte altre, tende a scivolare. Nessun problema, invece, sugli altri tipi di terreno, compresi la neve (fresca, dura o gelata) e il ghiaccio (a parte l’ostico vetrato), dove la tenuta è sempre ottima donando un pregevole senso di sicurezza anche nelle discese più ripide.

Al senso di sicurezza partecipano certamente anche il K-Only, sistema che rende la scarpa adatta ad ogni tipo di appoggio e rullata (dall’iperpronatore al supinatore), l’ampia superficie d’appoggio e la conseguente stabilità della scarpa che in occasioni più uniche che rare tende a cadere verso l’interno o l’esterno: su ottanta chilometri mi è successo una sola volta, all’esterno e più che altro per mia distrazione (nel buio della notte, immerso nei miei pensieri e in stato di rilassamento, non mi sono avveduto di mettere un piede sul bordo netto di una buca del terreno). Solo in una discesa molto tecnica (roccette a lama e punta, con passaggi stretti e ravvicinati) mi sono sentito nella necessità di mantenere un atteggiamento prudenziale, ma era anche il primo utilizzo in assoluto e pertanto ancora non avevo conoscenza della risposta della scarpa (in seguito non ho avuto modo di affrontare di corsa un terreno analogo, fatto al passo veloce mi sono sentito tranquillo e sicuro). La rigidità dei tacchetti un poco si sente camminando (o correndo) sull’asfalto, ma viene adeguatamente compensata da un ottimo assorbimento derivante dalla tecnologia utilizzata nell’intersuola, la stessa delle scarpe Kalenji Kiprun da strada: il K-Ring, un anello (ciambella come la chiamano loro) ammortizzante nel tallone e il Kalensole, strato di schiuma EVA. Il plantare è quella classico fornito di serie con tutte le scarpe Kalenji e, al di là della marca, similare a quello di molte scarpe da corsa e trail: come tutti è abbastanza confortevole, a differenza di altri scivola bene all’interno dalla scarpa rendendone facile la ricollocazione dopo la rimozione (sempre opportuna dopo ogni utilizzo), ma, a parte la conformazione anatomica (avvolgimento del tallone e dell’arco plantare), come gli altri non presenta particolari accorgimenti tecnici in ragione dell’assorbimento e della distribuzione del carico e, pertanto, potrebbe essere vantaggioso prenderne in considerazione la sostituzione con un plantare più performante, specialmente sotto l’aspetto della riduzione delle vibrazioni negative (personalmente, anche se costa quasi quanto le scarpe, ho scelto il Noene Ergopro AC+, già sperimentato con molta soddisfazione da mia moglie).

La tomaia è un giusto compromesso tra morbidezza e protezione, traspira benissimo (va beh che li ho fatti in pieno inverno, comunque dopo sessanta chilometri di cammino ininterrotto calze e piedi erano perfettamente asciutti) e si asciuga velocemente, dettaglio di particolare rilevanza per una scarpa da trail visto che si deve tenere indossata per tante ore e che si opera in montagna dove pioggia e neve si possono sempre incontrare. A proposito di neve: ci ho camminato per quattro ore senza sentire né freddo ne bagnato (anche grazie alle eccezionali calze Kalenji Kiprun Sottili), solo nel passaggio da un prato con erba brinata l’acqua è passata, ma dopo nemmeno venti minuti già non la sentivo più (cosa che invece, proprio per via del Goretex, non avviene con le Ultra Raptor GTX: magari tengono l’acqua per più tempo, ma una volta bagnate hai i piedi a mollo per tutto il resto della corsa/escursione).

L’allacciatura è precisa: i larghi passanti in anellino di tessuto lasciano scorrere bene le stringhe sia in un senso che nell’altro; la stringa piatta determina una buona tenuta del nodo anche se, essendo semirigida, un poco cede, ma proprio poco; la presenza del doppio foro (ambedue rinforzati) sulla caviglia permette di scegliere tra l’allacciatura leggera (termina nell’ultimo foro senza usare quello supplementare), consigliata per il cammino, e quella più aggressiva (asola tra ultimo foro e foro supplementare), consigliata per la corsa. Con l’allacciatura leggera si sente un minore controllo della scarpa (ma ci si abitua presto), con quella aggressiva la stringa può risultare (taglia 45) leggermente corta e il collarino, un po’ troppo alto e rigido, specie nei diagonali e nelle curve in discesa, insiste dolorosamente sul malleolo. Con ambedue le allacciature, ma soprattutto con la prima, durante l’appoggio del tallone il collarino spancia un poco sul lato interno determinando l’ingresso di qualche detrito di troppo: in parole povere, dopo due passi già ci si trova almeno un sassolino sotto i piedi, lo togli e… subito ne hai un altro.

Il linguettone mantiene la sua posizione centrale ma risulta poco protettivo nei confronti della stringa che, specie in discesa con allacciatura da corsa, si sente premere dolorosamente sulla parte superiore del piede (ma forse perché, per compensare la scarsa lunghezza della stringa, avevo tirato eccessivamente la stringa nella venti e poi nella sessanta, dove, avendo usato l’allacciatura leggera, la stringa era meno tirata e non premeva, ancora il dolore non era passato). Comodissima la taschina per infilare i lacci, adeguatamente ampia e di accesso agevole. Confortevole e utile il calzino interno ai due lati della scarpa, cucito al linguettone e sotto la soletta intermedia: dimostra la cura dei dettagli che è stata messa nella progettazione di questa scarpa.

Drop da dieci millimetri, forse eccessivo per le tendenze attuali che spingono sempre più verso una corsa naturale (drop zero), d’altra parte rende la scarpa molto confortevole per chiunque (il drop zero carica molto il tendine d’Achille e richiede un periodo di adattamento durante il quale, però, non tutti riescono a conformarsi) e pratica anche per il cammino, dove anche nelle salite più ripide si riesce così a far lavorare per intero la suola e mantenere un’ottima tenuta.

Dopo soli ottanta chilometri di utilizzo è ovviamente prematuro parlare di durata dei materiali, però, non rilevandosi segni né sulla tomaia né sulla suola, penso di poter dire che questi appaiono piuttosto resistenti: persino il logo Kalenji stampigliato sotto la pianta del piede, punto dove sassi e rocce acuminate vanno a insistere in modo particolare, non presenta segnature (la colorazione in giallo è rimasta perfetta).

Insomma, una scarpa con qualche piccolo difetto (e quale prodotto ne è esente? Ad oggi non ne ho trovati, nemmeno tra i marchi blasonati) ma comunque ottima, assolutamente consigliabile anche all’escursionista che vuole una scarpa leggera, confortevole e dinamica. Una regina del fango con eccellenti prestazioni anche su gran parte degli altri terreni!

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Scarpe da montagna La Sportiva Ultra Raptor GTX


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Sul finire dell’estate 2014 scopro che le mie magnifiche scarpe da escursione dopo all’incirca sole cento ore di utilizzo iniziavano a mostrare grossi segni di usura, nel giro di pochi giorni i segni di usura erano diventati evidenti grossi danneggiamenti. Andato subito dal negoziante presso il quale le avevo acquistate esattamente undici mesi prima sono stato indirizzato ad un riparatore ufficiale il quale, però, le ha guardate con espressione schifata e, senza proferir parola, me le ha rimesse in mano scuotendo la testa in segno negativo. A quel punto scrissi alla casa madre per sapere se c’era modo di ripararle, ottenendo una risposta che mi ha fatto saltare la mosca al naso e risposi che mi sarei rivolto ad altra marca.

Visto che arrivava l’inverno e le previsioni escursionistiche erano pressoché pari a zero, rimandai ogni decisione d’acquisto, usandole nel frattempo così come erano. Tutto sommato, ci si camminava ancora bene e resistevano senza subire ulteriori danni e così solo a luglio 2015 mi decisi all’acquisto delle nuove scarpe. L’arrabbiatura ancora bruciava in corpo, però s’era molto smorzata e si è fatta del tutto spegnere dal pensiero di come mi ci ero trovato bene. Prima sul sito e poi in negozio constato piacevolmente che nel nuovo modello le parti che mi si erano così presto danneggiate erano state completamente ridisegnate, utilizzando un materiale diverso. Così mi ritrovo in montagna con ai piedi questa evoluzione delle precedenti.

In buona parte questo modello risulta identico a quello di prima per cui a titolo generale richiamo l’altra scheda tecnica e qui mi limito a parlare delle modifiche apportate e delle nuove esperienze.

IMG_8494Subito il negoziante mi segnala di provarle per bene dato che, anche se a prima vista non si nota, la calzata è diversa dalla precedente. In effetti sono decisamente più strette, devo prendere un mezzo numero in più, l’ideale sarebbe stato un quarto di numero in più (quarantaquattro e tre quarti), che però non esiste. Al lato pratico questa differenza di calzata comporta che, nel mio specifico caso, questo nuovo modello mi fascia il piede meno bene del precedente, lo sento meno mio, specie in punta e nell’arcata plantare interna.

A parte questo piccolo inconveniente devo dire che sono assolutamente contento dell’acquisto fatto: a seguito degli allenamenti per la mia TappaUnica3V, le sto utilizzando in modo molto assiduo, nelle condizioni più varie, nel fango e nella neve, sulla roccia e sull’erba, perfino sul ghiaccio, con tempo asciutto e sotto la pioggia, su strada asfaltata e su sentiero, anche in brevi facili tratti di arrampicata, sottoponendole a un carico considerevole, massacrandole attraverso lunghe escursioni a passo sostenutissimo e scabrose discese fatte anche di corsa. Nonostante tutto questo, nonostante le cento ore di marcia siano ormai raddoppiate, il fascione è ancora perfettamente integro e non si rilevano scollature tra la tomaia e la suola (che erano i due tipi di danneggiamento rilevabili sul precedente modello), solo la suola presenta qualche piccolo segno d’usura, in particolare nell’arcata interna dove l’appoggio violento su alcuni sassi ne ha asportato un piccolo pezzo, d’altra parte se si uvole una suola con un grip tanto elevato questa dev’essere necessariamente morbida e una suola morbida è ovviamente più delicata.

A proposito del grip della suola, veramente eccezionale su ogni tipo di terreno, in quest’ultimo periodo avendola utilizzata a temperature prossime allo zero ho rilevato che in tale condizione la suola s’indurisce sensibilmente e, pur mantenendo comunque un elevato confort, diminuisce l’aderenza sulle superfici dure quali le pietre, il cemento e l’asfalto.

IMG_8493Il sistema di allacciatura è ottimo anche se risulta difficile mettere bene in tensione la parte della punta; le stringhe sono un po’ lunghe (probabilmente perché per la differenza di calzata le devo tirare di più rispetto a prima) e tendono ad allentarsi leggermente, senza però slacciarsi (cosa successa solo recentemente a causa della neve che gelava sull’estremo della stringa creando un grumo di ghiaccio che, strofinando sulla neve, tirava la stringa). Il passante sulla linguetta sebbene non blocchi completamente lo scivolamento laterale della stessa, la mantiene in posizione ottimale.

IMG_8492Il plantare è completamente diverso dal precedente, all’uso pratico non ho rilevato particolari differenze, né in peggio né in meglio, devo solo evidenziare che se prima s’infilava senza problemi nella scarpa, ora non scivola e si fa fatica a posizionarlo correttamente.

L’impermeabilizzazione data dalla membrana in Goretex sembra essere leggermente migliore a quella, già ottima, del precedente modello, così pure l’isolamento termico: proprio recentemente cinque ore nella neve, con temperatura prossima allo zero, senza sentire freddo ai piedi, i quali, tra l’altro, sebbene l’interno delle scarpe risultasse bagnato, erano asciutti e senza i classici segni di lessatura.

Finisco notando che da quando uso queste scarpe i miei problemi alle ginocchia sono diventati sempre meno evidenti, anzi, pur risentendoli ogni tanto nella vita quotidiana, quando sono impegnato nelle escursioni scompaiono completamente.

Queste saranno le scarpe che mi accompagneranno nel mio lungo solitario cammino di TappaUnica3V.

Per i dati tecnici rimando alla pagina specifica sul sito de La Sportiva.

Maglia tecnica invernale TECSO PRN1006


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Affiancandosi strettamente all’altra recensione fatta (T1006) e offrendo l’opportunità di ampliare il campo di scelta a chi avesse bisogno di una maglia tecnica da usare durante le proprie escursioni invernali, pubblico subito anche questa scheda.

Altra maglia Tecso di ottima qualità e dalle caratteristiche tecniche eccezionali, purtroppo con un probabile errore di stampigliatura della taglia che, pur senza inficiare del tutto la prova, ne condiziona notevolmente l’utilizzo e una parte delle valutazioni. Ma andiamo con ordine.

Dopo l’acquisto dell’altro modello, quello già recensito, visto che, nonostante la soddisfazione delle prove fatte, presentava qualche leggera controindicazione all’uso che ne devo fare (escursionismo a ritmo sostenuto e/o su percorsi estremamente lunghi), attraverso Internet mi sono informato sugli altri prodotti della Tecso e ho appreso che la loro produzione prevede anche capi d’abbigliamento più specifici per la corsa, presumibilmente più adatti alle mie esigenze. Casualmente scopro che una delle mie sorelle conosce l’azienda e il suo titolare, combiniamo allora una visita pressoché immediata. L’intenzione è innanzitutto quella di acquistare una maglia tecnica invernale per i mei allenamenti di TappaUnica3V, poi visionare dal vero anche gli altri prodotti, infine, perché no, sondare la possibilità di ottenere un piccolo supporto al mio viaggio, magari la giacca antivento che da tempo cerco senza trovarne una che abbia tutte le caratteristiche che voglio.

Mia sorella, convinta che a me interessi più che altro la sponsorizzazione, parte col discorso di TappaUnica3V e mi vengono fatte vedere tre bellissime maglie estive. Mi soffermo a lungo ad osservarle, sono tutte bellissime, in particolare quella più leggera, però… però intanto l’estate è lontana, poi nelle escursioni estive preferisco stare nudo e per quei momenti in cui devo necessariamente vestirmi sono già sufficientemente e modernamente equipaggiato, quello che mi manca è l’inverno. Sposto quindi l’attenzione sulle maglie invernali.

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Aerazione della schiena

Ne escono due, una più leggera, l’altra più vicina al peso delle maglie già comprate al mercatino ma con una composizione dei tessuti decisamente diversa e più adatta al cammino sostenuto. Alla fine mi compro quest’ultima, purtroppo senza la possibilità di provarla sul posto e, arrivato a casa, risulta troppo piccola: nell’uscita del giorno successivo non posso provarla, peccato.

Cambiata la maglia pochi giorni dopo ne faccio il primo test su un percorso lungo. La temperatura è costantemente prossima allo zero, in certi momenti anche sotto, e in alcuni tratti del percorso c’è anche un forte e freddissimo vento: niente di meglio per testare un capo invernale.

Subito si dimostra decisamente un buon acquisto: da fermo la maglia non apporta calore ma appena ci si mette in movimento diviene bella calda tanto che per tutto il giorno non ho bisogno di aggiungervi altro né sotto né sopra; la protezione dall’aria ancora non è ottimale ma è decisamente migliore rispetto alla T1006. Estremamente elastica aderisce molto al corpo pur lasciando ampia libertà di movimento; il collo è un po’ troppo alto e sulle prime mi dà un poco di fastidio, comunque svanisce nel giro di poco tempo; anche dopo molte d’utilizzo ore non ho sensazioni di prurito ed è totale l’assenza di irritazioni.

La cosa più interessante e che più la differenzia dalla T1006 è che questa maglia si bagna pochissimo e solo dopo molte ore di cammino: inevitabilmente, specie per un corpo che è abituato  a stare nudo, incrementa anche lei la naturale sudorazione, ma proprio di poco e il sudore passa subito all’esterno da dove evapora velocemente e completamente anche nella parte di schiena a contatto con lo zaino.

Negli allenamenti successivi uso sempre questa maglia e le prime osservazioni si confermano, anche se, proprio nell’allenamento in stile corsaiolo di oggi 6 febbraio, sulla schiena sia la maglia che la pelle si sono decisamente bagnate: certo è da considerarsi che l’uso di uno zaino limita considerevolmente le caratteristiche di traspirazione della maglia, inoltre il fatto che il mio zaino abbia un appoggio a cuscinetto quasi pieno incide ulteriormente (ma l’appoggio con rete rende lo zaino poco stabile nella corsa, inoltre risulta fastidioso sulla pelle nuda: tutta l’attrezzatura che prendo deve necessariamente risultare adeguata all’utilizzo in nudità, aspetto che le case produttrici dovrebbero iniziare a prendere in considerazione vista la costante crescita di coloro che scelgono di vivere in nudità e, pertanto, nudi praticano anche gli sport), d’altra parte questo è l’utilizzo che devo farne e queste sono le mie esigenze, esigenze magari al limite ma che ritengo siano pur sempre abbastanza vicine a quelle di ogni escursionista allenato.

Arriviamo ai difetti, che, come già anticipato, a parte il primo, a mia opinione sono da attribuirsi ad un errore di stampigliatura della taglia (non oso pensare che si possa volutamente produrre una maglia siffatta):

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  • i polsini sono troppo larghi e lasciano scivolare la manica verso l’alto;
  • a cerniera completamente abbassata il colletto risulta fastidiosamente tirato all’indietro;
  • le maniche sono troppo corte e non arrivano ai polsi (anche i ricami dei gomiti sono spostati verso l’alto);
  • ma la cosa peggiore è che ad essere corto è anche il corpetto, troppo corto, arriva poco sotto l’ombelico; data la sua notevole elasticità, tirandolo si riesce a farlo entrare nei pantaloni ma camminando se ne esce nel giro di pochi minuti lasciando scoperte proprio le due parti del corpo più sensibili al freddo, reni e pancia; inaccettabile per una maglia invernale ed anche incomprensibile visto che l’altra maglia era perfetta; confrontandola, come dalle foto a fianco e sotto, con l’altra Tecso ben si nota la differenza; anche la larghezza è sensibilmente inferiore, avevo attribuito questo alla diversa destinazione d’uso delle due maglie, poi l’ho confrontata con altra maglia da corsa (di marca diversa e, per giunta, estiva) e il risultato non cambia, molto più corta e sensibilmente più stretta.

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L’evidente differenza di lunghezza con la T1006

Ultimo appunto, seppure indossandola non mi sono impigliato in niente, rivoltandola si notano anche in questa diversi fili sporgenti che formano asole libere, molti di più che nella T1006 e distribuiti su un maggior numero di zone, il timore è che alla lunga si possano strappare e provocare un cedimento strutturale della maglia.

Tecso Articolo PRN1006: maglia a manica lunga con collo a lupetto dotato di cerniera; 92% polipropilene Dryarn, 8% elastan.

Voto (ignorando il probabile errore di stampigliatura della taglia e rapportandolo ad una maglia dimensionata correttamente):

  • estetica 9
  • cura dei dettagli 9
  • finiture 10 quelle esterne, 5 quelle interne
  • vestibilità 10
  • comfort 10
  • calore 8 a freddo, 10 dopo essersi messi in movimento
  • protezione dall’aria 9
  • complessivo… 9 e mezzo (così come è, corta e stretta, la valuterei comunque con un 6)

Maglia tecnica invernale TECSO T1006


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Trovata da mia moglie sulla bancarella di un mercatino di paese, appena mi viene consegnata resto colpito dalla gradevolissima estetica anche se rimbrotto per non essere il capo d’abbigliamento tecnico che stavo cercando (maglia tecnica da corsa mentre questa è una maglia sotto tuta da sci). Ormai c’è e tanto vale provarla, nell’infilarla, però, due dita di una mano restano incastrate in alcuni fili sporgenti, rivoltata la manica individuo qualche altro sfilacciamento, cosa che mi indispone ulteriormente (questo per dire che quanto segue è sincero e non dovuto a smancerie).

IMG_8407La maglia calza bene, ben elastica aderisce ovunque senza stringere, il corpetto è lungo a sufficienza da coprire i reni, le maniche arrivano fino ai polsi senza andare fastidiosamente oltre, il colletto ben alto garantisce un’adeguata protezione del collo dall’aria, la cerniera scorre bene e il relativo tiretto è della giusta misura dando una presa ottimale senza, nel contempo, creare fastidio. Ottima, infine, la libertà di movimento, gradevole il contatto con la pelle e immediata la sensazione di calore, aspetti importanti visto l’uso che intendo farne.

Qualche giorno dopo posso provarla direttamente sul terreno pratico e, pur evidenziandosi non essere il suo specifico campo d’azione, ne resto veramente soddisfatto. Dopo il lavaggio l’asciugatura è velocissima, ciliegina sulla torta che mi fa decidere per l’acquisto di una seconda maglia dello stesso articolo (stavolta mi arriva una taglia in più che risulta altrettanto adeguata e confortevole, all’interno si notano ancora gli stessi sfilacciamenti).

IMG_8406Dopo varie uscite, effettuate tra novembre e gennaio, a quote comprese tra i 400 e i 2000 metri, camminando a passo sostenuto e per diverse ore, con un impegno fisico non indifferente, premettendo che faccio riferimento sempre e solo all’utilizzo come capo esterno calzato direttamente sulla nuda pelle, posso affermare che:

  • il capo dona di suo calore al corpo;
  • sotto sforzo fa magari sudare un po’ troppo;
  • il sudore viene immediatamente trasferito sul lato esterno della maglia;
  • la pelle resta perfettamente asciutta;
  • l’evaporazione del sudore è abbastanza veloce, solo la parte di schiena a contatto con lo zaino non riesce ad asciugarsi (da notare che il dorso dello zaino si presenta asciutto);
  • anche a maglia esternamente bagnata la protezione termica è pressoché inalterata;
  • si sente un po’ troppo l’effetto del vento e dell’ombra,
  • totale assenza di irritazioni o più o meno fastidiosi pruriti.

Insomma, un capo ottimo e, seppur con le piccole limitazioni riportate, adatto anche all’utilizzo come maglia per escursionismo, perfetta con temperature tra i 5 e i 10 gradi centigradi, comunque buona, in assenza di vento, anche sotto i 5. Aggiungendovi o una maglia tecnica leggera, da calzare sotto, o una giacca tecnica antivento, da calzare sopra, anche a temperature più rigide (credo d’essere arrivato sino a -10) ci si sente benissimo, anche da fermi.

Tecso Articolo T1006: maglia a manica lunga con collo a lupetto dotato di cerniera; 70% polyamide Skinlife, 25% polipropilene Dryarn, 5% elastan. Prodotto fuori produzione sostituito dal modello TN1006 che ha le stessa composizione dei tessuti ma, dalle immagini sul sito, appare un poco più ricercata nei dettagli tecnici della parte alta del torace e della schiena.

Voto:

  • estetica 9
  • cura dei dettagli 9
  • finiture 10 quelle esterne, 7 quelle interne
  • vestibilità 10
  • comfort 10
  • calore 10 in assenza di vento, 8 in presenza di vento
  • protezione dall’aria 7
  • complessivo 9

Acqua Fonte Alpina Maniva @acquamaniva


IMG_2351Per molti anni ho bevuto acqua minerale senza preoccuparmi minimamente di quale acqua stessi bevendo e delle sue specifiche caratteristiche, poi sono incappato in un articolo che parlava dei vari tipi di acque, delle loro diverse proprietà e dei relativi utilizzi. Imparai il significato preciso di “residuo fisso” e la differenza tra minerale, oligominerale e scarsamente mineralizzata, vi si diceva anche che una persona sana abbisognava di acqua minerale, mentre quella oligominerale, ieri come oggi venduta come quella più indicata per la stragrande maggioranza della popolazione, era al contrario adatta, al pari di quelle scarsamente mineralizzate, ad alcuni specifici gruppi di persone. Iniziai a comprare solo acqua minerale, prima quella frizzante, per poi passare ad acque molto meno gassate fino ad approdare a quelle naturalmente frizzanti.

Qualche anno fa, attraverso Facebook, inizia a seguirmi una persona che era stata incuriosita dai miei post sull’escursionismo e dal modo con cui lo praticavo e lo proponevo. Per molto tempo parlammo più che altro delle mie escursioni in montagna, lei rilanciava spesso i miei post e attraverso questo il mio nome e la mia attività sono arrivati a conoscenza di persone che altrimenti ben difficilmente sarei riuscito a raggiungere. Man mano che la conoscenza virtuale si affinava notavo delle assonanze con chi, su Twitter, gestiva la comunicazione sociale di un’azienda d’acqua minerale: la Fonte Alpina Maniva. Data la mia timidezza per un po’ mi sono tenuto il dubbio, poi alcune coincidenze mi hanno dato la quasi certezza della cosa e allora ho chiesto conferma. Si era proprio così: erano la stessa persona.

IMG_2340Nel frattempo l’amicizia era diventata sempre più salda e con essa era cresciuta la reciproca ammirazione. Quando pubblicai, per l’ennesima volta, sui social network l’avviso del Raduno Nazionale de iNudisti mi è stato suggerito di provare a chiedere a Fonte Maniva se potevano fornirci almeno una parte dell’acqua necessaria. Per la mia già detta timidezza lo feci solo al successivo raduno e non solo ottenni una risposta affermativa ma venne accettata la nostra richiesta per una fornitura che copriva per intero il nostro fabbisogno. Al raduno provai così quest’acqua, sia nella formulazione naturale che in quella frizzante. Abituato al sapore deciso dell’acqua minerale che bevevo quotidianamente mi aspettavo la spiacevole sensazione che avevo occasionalmente già sperimentato bevendo delle acque oligominerali e invece… invece no: il sapore era certamente molto meno nitido ma senza diventare insipido e la trovai piacevole da bere, di più riuscivo a bere perfino quella naturale, tipo d’acqua che avevo sempre schifato. Da quel momento l’Acqua Maniva diventa la mia (e quella di mia moglie) acqua quotidiana, sebbene alternandola ancora con l’acqua minerale che utilizzavo.

Man mano che aumentavano i giorni di utilizzo la mia preferenza si spostava spontaneamente sull’Acqua Maniva e mi divenne sempre più difficile (e sgradevole) bere l’altra acqua di prima finché smisi di comprarla e berla. L’utilizzo esclusivo, costante e prolungato dell’Acqua Maniva mi ha fatto comprendere e apprezzare due delle qualità di quest’acqua: la sua confortevolissima leggerezza e la conseguente alta digeribilità. A quel punto già da tempo quest’acqua era diventata la mia fonte di reidratazione anche durante le mie attività sportive: immersione in apnea e l’escursionismo alpino, in tale contesto ne ho ulteriormente apprezzato le sue caratteristiche: sebbene io, da alpinista della vecchia guardia, quando si diceva che bere durante lo sforzo era deleterio, sia tutt’ora abituato a bere molto poco senza subirne negative conseguenze, con Acqua Maniva alla bisogna posso bere anche in grande quantità senza appesantire lo stomaco (come mi capitava con le precedenti acque).

Utilizzando rarissimamente gli integratori, ancora non ho avuto modo di provarla come base per discioglierveli, forse lo farò nei prossimi mesi e nel caso aggiornerò questo articolo, per ora posso solo supporre che, data la sua limitata salinità, sia probabilmente molto adatta a tale scopo.

IMG_8363Un episodio specifico mi ha definitivamente convinto della scelta fatta. Tre anni fa, durante un soggiorno in tenda in quel di Val Dorizzo, stavo preparando lo zaino per una lunga e impegnativa escursione, avendo casualmente con me delle bustine di un noto integratore ne ho sciolta una nell’acqua presa da una fontanella pubblica, orbene a un terzo dell’escursione le mie gambe non volevano più saperne di andare avanti e sentivo un senso di spossatezza generale che le soste, sempre più frequenti e lunghe, non risolvevano, così come risultava del tutto inutile bere l’acqua in cui avevo sciolto gli integratori, anzi, più la bevevo e più la mia condizione peggiorava. Dal momento che avevo nello zaino una bottiglia di Acqua Maniva ha quel punto, collegato il mio strano affaticamento all’acqua che bevevo, mi sono detto proviamo a cambiare beveraggio. Orbene, il semplice cambio d’acqua ha velocemente risolto la situazione: nel giro di una mezz’ora ero completamente rinato ed ho potuto agevolmente completare l’escursione. Da annotare che il cambio d’acqua è stato fatto nel bel mezzo del tratto più impegnativo del percorso e che in quella mezz’ora non sono stato fermo a riposare ma ho continuato a camminare, inizialmente lentamente e con frequenti pause, poi sempre più spedito e senza interruzioni.

Ero convinto che l’acqua oligominerale non fosse, di per se stessa, la scelta migliore per l’utilizzo quotidiano di una persona perfettamente sana e, per di più, molto attiva a livello sportivo, in parte lo sono ancora, ma ora ho anche capito che ci sono pure altri aspetti da prendere in considerazione, alcuni, quali il sapore e la digeribilità, sono forse molto soggettivi, altri, quali la leggerezza e il ph (8 quello dell’Acqua Maniva, leggermente superiore al ph della parte liquida del nostro corpo che viene così mantenuta in perfetto equilibrio: un acqua alcalina compensa i fattori che inducono acidità), sono decisamente oggettivi.

Visto che la ogni tanto la utilizzo, posso fare un piccolo cenno anche su quella frizzante, e posso dire che è altrettanto gradevole e leggera, sebbene l’anidride carbonica addizionata si faccia sentire nello stomaco e me la faccia percepire leggermente troppo gasata per i miei gusti attuali, probabilmente è un effetto dovuto alla mia età: invecchiando lo stomaco diviene più sensibile e l’intestino più soggetto alla produzione di gas intestinali.

Non essendo un chimico o un altrimenti esperto di acqua, certo della loro obiettività, lascio al sito Acqua Maniva le spiegazioni più tecniche. Analogamente rimando a quello di Fonte Maniva il compito di illustrare l’azienda, della quale qui evidenzio i tre aspetti che ho potuto personalmente verificare e valutare: la cordialità del personale, la disponibilità e la sensibilità alle esigenze degli sportivi.

Non essendo un chimico o altrimenti esperto in merito alle specificità tecniche dell’acqua, certo della loro obiettività, lascio al sito Acqua Maniva tali spiegazioni. Analogamente rimando a quello di Maniva S.p.A. il compito di illustrare l’azienda, della quale qui evidenzio i tre aspetti che ho potuto personalmente verificare e valutare: la cordialità del personale, la disponibilità e la sensibilità alle esigenze degli sportivi.

Per chiudere questa scheda, è senz’altro da segnalare che Acqua Maniva la si trova presente come sponsor in tantissime manifestazioni, compresa la mia lunga solitaria camminata di TappaUnica3V.

Grazie Fonte Alpina Maniva!

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#TappaUnica3V: equipaggiamento e alimentazione


IMG_1692Quale abbigliamento userai? Quale attrezzatura? Quali calzature? Come ti gestirai per l’alimentazione? E per la reidratazione? Domande lecite, domande che mi sono state fatte, domande che mi sono fatto. Qualche risposta me la sono già data, altre sono in elaborazione, nei prossimi mesi le potrete scoprire e leggere attraverso le schede tecniche che andrò facendo, qui riporto le linee di massima a cui mi atterrò e anticipo grossolanamente le scelte già fatte.

Innanzitutto è giusto e doveroso precisare che, per varie ragioni, ivi compresa quella di mantenere il peso dello zaino entro limiti ragionevoli, dovrò necessariamente organizzare tre o quattro rifornimenti: punti del percorso raggiungibili in auto nei quali familiari e/o amici mi porteranno il necessario cambio di abbigliamento, alimentazione e liquidi. Al fine di non inibire l’aspetto della solitaria i luoghi allo scopo identificati sono centri abitati o località molto frequentate, dove avrei comunque incontrato delle persone.

Veniamo allo specifico argomento di questo articolo e partiamo dalla reidratazione. È, questo, un aspetto importante, oserei dire fondamentale per una conclusione positiva del giro: potrei avere la migliore attrezzatura ed alimentazione ma senza un adeguato supporto idrico e una sua corretta somministrazione mai e poi mai potrei camminare per quaranta ininterrotte ore, delle quali la metà si svolgono al di sopra del limite boschivo dove nulla potrà attenuare l’insolazione, alle condizioni che presumibilmente troverò a fine luglio, specie se sarà come quello del 2015. Cosa userò e come mi regolerò? Il calcolo preciso è necessariamente rinviato ai primi di luglio, quando avrò effettuato tutti i test e potrò quantomeno intuire l’andamento climatico del mese, per ora ho previsto che mi serviranno all’incirca venti litri di acqua, mezzo litro per ogni ora di cammino. Dato che lungo il percorso quasi nulle sono le possibilità di reperirla dovrò portarmela tutta appresso, due litri nell’apposita sacca con cannuccia, gli altri in bottiglie di plastica, quelle da un litro e mezzo onde semplificare la ricarica della sacca e non trovarmi mai con delle bottiglie parzialmente piene. Sto ancora ragionando sull’opportunità di utilizzare degli integratori da disciogliere nell’acqua, di certo andranno comunque a rappresentare solo una parte, direi al massimo un terzo, della reidratazione, per il resto sarà solo pura e semplice acqua, quell’acqua che bevo quotidianamente da diversi anni: l’Acqua Maniva PH8 (presto ne pubblicherò la scheda tecnica). Tutta l’acqua mi verrà gentilmente fornita dalla Fonte Alpina Maniva di Bagolino, azienda molto sensibile alle esigenze degli sportivi e ben presente nelle manifestazioni di varie discipline sportive.

IMG_8266Passiamo all’alimentazione. Qui, sebbene abbia già una discreta idea sulla composizione di base (rapporto tra carboidrati, lipidi e proteine) e sulle caratteristiche pratiche (cibi leggeri, facilmente digeribili, da potersi assumere anche camminando, che restino integri anche dopo ore nello zaino, eccetera), è ancora tutto in alto mare: essendo diabetico, seppure con bassi e controllati valori di glicemia, devo innanzitutto parlarne con il diabetologo e, se necessario, con il dietologo che prestano servizio nell’unità diabetologica che mi segue. Dovrò valutare attentamente anche l’assunzione del medicinale che, in quanto diabetico, prendo ogni giorno, anche per questo sarà il diabetologo a darmi le necessarie e giuste indicazioni: la visita è prenotata a fine gennaio.

Idee chiare e precise, invece, le ho sulle calzature. Userò le stesse scarpe che, per le mie escursioni, utilizzo con estrema soddisfazione da tre anni: Ultra Raptor GTX de La Sportiva. Studiate per le più impegnative e lunghe gare di corsa in montagna, sono un modello con membrana in Goretex che i corridori più esigenti giudicheranno forse un poco pesante, ma proprio per questo lo ritengo il più adatto all’utilizzo escursionistico e a TappaUnica3V. Qualcuno storcerà il naso trattandosi di scarpe basse, da molti ritenute inadatte o addirittura pericolose per l’escursionismo in montagna, io la penso diversamente: uso scarpe basse da circa trentacinque anni, mi ci sono sempre trovato benissimo e non mi hanno mai creato problemi, nemmeno le tanto temute storte alla caviglia, invero provocate da scarpe che lasciano spazi vuoti nell’arcata interna del piede e dalla lassità di una caviglia abituata ad un costante più o meno rigido contenimento.

Anche per lo zaino la scelta è già stata fatta. Sarebbe andato benissimo quello che avevo, ma visto che ormai aveva completamente perso l’impermeabilità ne ho approfittato per rottamarlo. Ne volevo uno di capienza similare (verificata in tanti anni di utilizzo), altrettanto leggero e comodo, se per la questione peso il tutto si riduceva a leggerlo sulle etichette, per il resto le cose non erano altrettanto semplici: la comodità la puoi valutare efficientemente solo nell’utilizzo in montagna, meglio se a pieno carico; per la capienza sarebbe stato facile se avessi avuto conoscenza esatta della capacità di quello vecchio, purtroppo così non era e, per la sua struttura molto particolare (due separate zone verticali), non potevo fare una comparazione diretta con gli altri, par altro oggi molto più stretti e alti di quelli che si usavano una volta. Comunque alla fine, dopo un’ora di prove e considerazioni, l’ho trovato, è invero uno zaino da sci alpinismo ma non era disponibile il corrispondente modello da escursionismo per cui… comprato: Randonnèe 36 della Salewa. L’ho già positivamente testato in diverse uscite, ancora devo provarlo col caldo e sulla nuda pelle ma penso di poter già affermare che, seppure con alcuni difettucci, si tratta d’uno zaino eccezionale.

Niente bastoncini, preferisco camminare senza, mi trovo meglio, mi sento più libero e più agile, ho gambe adeguatamente robuste e allenate (anche grazie al non uso dei bastoncini), non devo preoccuparmi di dimenticarli da qualche parte.

Lampada frontale. Sebbene abbia opportunamente scelto il periodo di luna piena, sebbene la parte del percorso che farò di notte sia priva di copertura arborea permettendo alla luna d’illuminare per bene il terreno, non potrò certamente farne a meno. Scartata la frontale già in mio possesso, troppo debole, mi sono fatto consigliare dal negoziante e l’acquisto è stato qui molto semplice e veloce: la H7R.2 della Led Lenser, potentissima e di lunga autonomia, l’ideale per TappaUnica3V.

Molti dubbi in relazione all’acquisto di un orologio con sistema di rilevazione cardio. Costa parecchio e, tutto sommato, non dovrò fare una corsa bensì un cammino di regolarità, sarò sollecitato più sulla resistenza psicologica e articolare che su quella cardiaca. Caso mai potrebbe tornarmi più utile durante gli allenamenti, quando spingo al massimo per indurre un affaticamento precoce al fine d’incrementare il margine di resistenza fisica e la potenza muscolare, ma, come detto, spesa che non mi posso permettere e necessariamente surclassata da altre al contrario indispensabili.

Gialdini Sport, negozio presso il quale da moltissimi anni mi servo e al quale ho indirizzato familiari e tanti amici, mi ha promesso in prestito il localizzatore GPS Spot Gen 3. Grazie a questo dispositivo potrò allestire una pagina web dalla quale chiunque potrà seguirmi in tempo reale, avendo costante visione del mio incedere e della mia posizione.

IMG_DSC7514Resta l’abbigliamento. Abbigliamento? Quale abbigliamento, sarò nudo! Ehm, si certo, sarò nudo, ma intanto c’è un lungo tratto a quote prossime o superiori ai duemila metri, poi devo passare una notte intera e proprio alle massime quote, infine devo percorrere lunghe creste spesso tormentate dal vento: nudo sì ma con scienza. Nello zaino, pertanto, avrò il necessario per affrontare tutte le prevedibili situazioni, in rapporto alla stagione ovviamente: pantaloncini, canotta, pantaloni lunghi, maglia a maniche lunghe, giubba pesante, giacca antivento e antipioggia, berretto per il sole, forse anche una calda fascia per fronte e orecchie. Data la possibilità d’indossarlo e levarlo senza smettere di camminare, avrò dietro anche un piccolo pareo tagliato e cucito da mia moglie: sebbene la mia speranza sia quella che per l’occasione specifica, vista la sua particolarità e i messaggi sociali che vuole trasmettere, mi sia possibile ignorarle, ad oggi, purtroppo, ci sono molte, troppe, insulse e illogiche limitazioni che ancora vengono imposte a chi nudo vuole stare, volente o nolente devo e dovrò tenerne conto!

Ah, la crema solare… Indispensabile. In questi ultimi anni, da quando, cioè, ho unito la passione per la montagna alla scelta nudista, ne ho provate di diverse marche e di diversi tipi, niente, ancora non ne ho trovata una che mi soddisfi a pieno. Quale è il problema? In spiaggia vanno tutte bene, stai fermo e puoi farti la doccia subito dopo, nell’escursionismo vestito già qualche fastidio è rilevabile ma sopportabilmente limitato a viso e mani, dovendola applicare a tutto il corpo il fastidio si fa insistente: a parte l’effetto colla che lasciano dopo l’utilizzo, tutte le creme solari da me provate generano un effetto vestito, seppure leggero risulta percepibile da chi, ormai abituato alla nudità prolungata, ha recuperato la neonatale sensibilità epidermica, riduce sensibilmente il respiro del corpo e provoca (o aumenta) la sudorazione. Vedremo, per ora è impossibile fare test in merito, devo per forza attendere quantomeno la primavera, nel frattempo se avete suggerimenti sarò ben lieto di riceverli e, appena possibile, sperimentarli.

Escursionismo, nudismo e… zecche!


Cosa fa un escursionista quando si trova in una zona notoriamente invasa dalle zecche? Niente di particolare, si esamina frequentemente le gambe ed eventualmente anche il resto del corpo.

E se fosse nudo? Fa le stesse identiche cose solo che le può fare con maggiore semplicità e velocità.

Anche questo argomento, come già a suo tempo quello sulle vipere, merita un certo approfondimento.

Ricordo che, prima degli anni novanta, delle zecche ne avevo sentito parlare molto occasionalmente e mai avevo conosciuto qualcuno che, andando in montagna, si preoccupasse della questione, semplicemente il problema era inesistente.

Ad un certo punto sulle riviste di montagna sono apparsi i primi allarmi: articoli che parlavano di questi animaletti e di pericoli che ne derivavano. Cosa è successo? È successo che, vai a saperlo per quale motivo, a quel punto le zecche erano aumentate considerevolmente di numero infestando ampiamente vari e vasti areali di montagna, di più, in alcune zone risultavano portatrici di pericolose (per l’essere umano) malattie quali il Morbo di Lyme e la Tbe.

Da quel momento in avanti anche gli alpinisti hanno iniziato a preoccuparsi della questione e molti gli articoli che ancora oggi si ripetono su siti e blog ad ogni primavera. Alcuni di questi articoli sono superficiali ed eccessivamente allarmistici, altri sono fatti meglio, altri ancora sono ottimi e trattano ogni aspetto della questione; in tutti si riportano suggerimenti sul come proteggersi e, come al solito, tutti esaminano la tematica in modo condizionato, anche perché molti sono solo un bel copia e incolla di altri:

  1. Non camminare nell’erba alta
  2. Vestirsi con indumenti molto chiari
  3. Coprirsi completamente

Vogliamo andare un poco più oltre? Vogliamo esaminare a fondo questi suggerimenti e chiederci se siano realmente efficienti? C’è forse qualcosa di più e di meglio che possiamo fare?

Non camminare nell’erba alta

Simpatico consiglio, prego tutti i comuni di falciare regolarmente l’erba lungo i sentieri! I sentieri di montagna possono si essere delle larghe e frequentate autostrade pedonali sulle quali la presenza dell’erba è assodatamente pari a zero (ammesso che ci si cammini proprio nel mezzo, percchè ai lati l’erba c’è sempre e comunque), possono però anche essere delle più o meno flebili tracce nell’erba, anzi direi che il più delle volte sono così. Tra l’altro le zecche le troviamo anche sugli arbusti e sui rovi.

Vestirsi con indumenti molto chiari

Un abbigliamento chiaro permette di vedere subito la zecca (che ha un colore nero) che eventualmente vi si deposita sopra. Allora tutto semplice? Non direi: se vado in una zona prima devo informarmi sull’eventuale presenza di zecche (e per ragioni turistiche raramente tale informazione è facilmente reperibile) e in caso affermativo devo andarmi a comprare un apposito abbigliamento da montagna; piccolo grande problema, l’abbigliamento da montagna è solitamente di colore scuro e se devio su capi da corsa in montagna, dove è più facile trovare qualcosa di chiaro, vengo a mancare alla regola del coprirsi il più estesamente possibile. Vado da un sarto e mi faccio cucire abbigliamento su misura? Certo è fattibile, altrettanto certamente nessuno lo fa. Mi creo una leggerissima tuta bianca da infilare sopra i vestiti? Anche questo è fattibile, altrettanto certamente è scomodo. Insomma la vedo dura a meno che… cosa c’è di chiaro che tutti abbiamo a disposizione senza costi aggiuntivi? Semplice la nostra pelle! Beh, magari per alcuni non è propriamente chiara, ma si sa, per ogni cosa ci sono dei limiti e la loro presenza di certo non invalida la soluzione.

Coprirsi completamente

Beh, le zecche vi si attaccano addosso anche se siete vestiti e una copertura perfettamente sigillante potrebbe solo essere qualcosa di ermetico, tipo scafandro da palombaro, ossia un qualcosa che non esiste e non potrebbe nemmeno esistere. Diciamo allora coprirsi per bene al fine di ridurre il numero di zecche che eventualmente, camminando lungo i vestiti (eh, sì, perché fanno anche questo), possano arrivare alla nostra pelle. Cosa vuol dire coprirsi per bene? Significa indossare maglia a maniche lunghe, pantaloni lunghi, calze alte, ghette da ghiaccio per chiudere al meglio l’accesso alle scarpe e al sotto dei pantaloni. Uhm, la vedo dura camminare per ore, magari con un caldo torrido o comunque in una giornata, così agghindati. Ricordatevi poi che prima di togliere i vestiti li dovete esaminare e spazzolare per bene (da farsi ovviamente prima ancora di entrare in casa, rifugio, bivacco e via dicendo): se c’è qualche zecca questa potrebbe saltare sulla vostra pelle nel momento che li togliete, oppure vagarsene per casa alla ricerca di un animale (e l’uomo, benché alcuni l’abbiano dimenticato o vogliano, per più o meno oscure ragioni, farlo dimenticare, appartiene al regno animale) a cui attaccarsi. Se poi malauguratamente la zecca ha trovato un pertugio (e al novanta percento lo trova) ed è arrivata alla vostra pelle ve ne accorgerete soltanto molte ore dopo, quando la zecca ormai avrà quasi sicuramente già infilato il suo rostro nella vostra epidermide, a quel punto la sua rimozione ne provocherà la morte, inoltre sarà complicata e insicura: se per errore lasciate il rostro nella pelle sono possibili infezioni; se per errore provocate il rigurgito della zecca questo potrebbe essere sangue ormai infetto che entra nel vostro corpo.

Visto quanto sopra, perché inventarsi soluzioni certamente efficaci eppure scomode o addirittura improponibili, poco o nulla efficienti? L’efficacia senza l’efficienza è inutile, eccovi qualcosa di efficace e anche efficiente: la nudità!

Abbiamo già detto che sulla nostra pelle, anche se piuttosto abbronzata, il nero di una zecca è immediatamente visibile, standocene beatamente nudi e controllandoci frequentemente la zecca la vediamo se non proprio nel momento stesso che ci salta addosso quantomeno ancor prima che infili il suo rostro nella nostra pelle, rimuoverla sarà molto facile e molto sicuro, in più lascerà salva la vita della zecca.

Concludo con altre utili informazioni sulla zecca, vi renderete conto che l’allarmismo è immotivato ed è anche facile ridurre di molto il rischio di incontrarle.

  • Le zecche non sono presenti nell’intero areale montano.
  • Le zecche infette sono presenti solo in limitate zone dell’Italia.
  • Le zecche in genere le si trovano in ambienti umidi e ombreggiati.
  • Le zecche le troviamo solo nella fascia altimetrica che va dal livello del mare ai 1500 metri.
  • La trasmigrazione dall’erba all’uomo in genere avviene solo in due precisi momenti dell’anno:
    • da inizio aprile a metà giugno quando le ninfe appena nate devono alimentarsi adeguatamente per avviare le loro maturazione;
    • da fine settembre a fine ottobre quando le zecche femmina ormai adulte devono pensare alla riproduzione.
  • Prima di mordervi la zecca deve cercare il punto migliore, ovvero dove la pelle è più sottile e le vene più superficiali (ad esempio inguine e dietro le ginocchia), le occorre del tempo per farlo (n genere ci salta sulle caviglie), tempo durante il quale potete facilmente individuarla e rimuoverla.
  • Ci sono 24 ore di tempo, calcolate dal momento del morso e non della trasmigrazione, per rimuovere la zecca e restare sufficientemente tranquilli anche se la stessa fosse infetta.
  • Le zecche non sono esseri immondi, trovarsele addosso può essere fastidioso ma non deve dare luogo a reazioni inusitate.

Aggiornamento al giugno 2023

Ormai da qualche anno abbiamo a disposizione anche vari repellenti per insetti che funzionano anche per le zecche, alcuni hanno una durata limitata ed è consigliabile ignorarli, ma altri ci coprono fino a sei o sette ore e sono di certo quelli da preferirsi. Ce ne sono alcuni, pochi invero, che promettono di essere basati solo su prodotti naturali, provati per le zanzare (nella mia zona di zone infestate dalle zecche ce ne sono assai poche, una la conosco ma vorrebbe dire andare a litigare con un sentiero franato e interamente coperto da rovi) purtroppo sono risultati tra i meno efficaci, il migliore tra tutti quelli provati (tutte le principali marche di repellenti per insetti) è risultato essere ZigZag, che però, è basato su una sostanza non propriamente naturale (DEET), lo spray produce una nuvola dall’odore sgradevole, protegge dalle zecche per solo 2 ore e mezza e nella mia zona è difficile da reperire, specie nella formulazione sportiva (che non ho ancora provato) resistente al sudore, esiste anche in formulazione specifica per le zecche (anche questa da me non provata). Quest’anno sto provando anche Orphea, più facile da reperire e basata su sostanze naturali.


Clicca qui per dettagli tecnici sulla zecca e sul come rimuoverla (Istituto Superiore della Sanità), trovi informazioni precise anche se anche qui si continua a considerare solo il vestirsi come arma di prevenzione e abbiamo visto che non lo è, anzi, per quanto possa sembrare paradossale, è più preventivo lo stare nudi che il vestirsi estesamente.

Con questa pagina ci si può tenere informati sull’evoluzione delle arbovirosi (malattie causate da virus trasmessi da vettori artropodi) in Italia: Istituto Superiore della Sanità – Dashboard Arboviosi

Ancora una volta possiamo sicuramente affermare che…

Vestiti è bello, nudi è meglio!

Escursionismo, quale abbigliamento (2)?


Portamento dello zainoNiente paura, non ho intenzione di propinarvi argomentazioni ormai trite e ritrite, considerazioni e suggerimenti che tornano periodicamente in auge nel periodo estivo: una semplice ricerca su Internet vi metterà a disposizione decine di pagine. Io voglio andare un poco oltre i tipici suggerimenti che vengono elaborati da tutti coloro che, a vario titolo e con varie competenze, espongono pubblicamente le loro analisi e le loro opinioni in merito alla scelta dell’abbigliamento per le escursioni in montagna.

Visto l’elevato numero di articoli sul tema ci si potrebbe chiedere “quale spazio c’è per andare oltre?” Alla stragrande maggioranza delle persone apparirà inesistente tale spazio, eppure esiste, c’è una piccola nicchia che mai viene presa in considerazione, vuoi perché, per abitudine e condizionamento sociale, proprio la si ignora, vuoi perché, sempre per abitudine e condizionamento, la si ritiene per vari versi inaccettabile.

“Qual è, allora, questa nicchia?” chiederete voi. Il mio lettore fedele avrà certamente già capito a cosa mi riferisco, per gli altri una domanda forse rivelatrice: cosa fate quando, durante l’escursione, la temperatura man mano sale e rende l’abbigliamento indossato eccessivo?

Cogito ergo dubitoFacile, no, credo di poter affermare con assoluta certezza che tutti abbiate sostanzialmente risposto, “mi spoglio”. Certo, quando il nostro corpo inizia a surriscaldarsi e i suoi sensori termici trasmettono al cervello l’informazione relativa, questo, il cervello, reagisce inducendoci a togliere di dosso l’eccedenza del vestiario. Bene e qual è il limite estremo dell’azione di svestimento? Quanto possiamo spogliarci? Qui credo che le risposte inizino a differenziarsi un poco: da chi, probabilmente facendo riferimento alla cultura alpinistica di qualche decennio addietro, afferma essere pantaloni e camicia, a chi più modernamente parla di pantaloncini e maglietta; da chi arriva alla canottiera a chi si spinge fino al torso nudo per i maschi e il reggiseno per le donne; poi c’è chi ammette anche il costume da bagno sebbene risulti assai scomodo e fastidioso per il lungo cammino; pochissimi o nessuno, avranno risposto la nudità. Perché?

La nudità è certamente una forma di abbigliamento e può benissimo adottarsi anche in montagna, perché la si esclude a priori? La risposta potrebbe sembrare palese, eppure posso testimoniare sulla base di un’ormai estesa esperienza personale che le motivazioni sono assai varie e poche volte ricadono in quello che si potrebbe pensare: il nudo pubblico è illegale, illecito, sconveniente, peccato, ricerca sessuale.

IMG_1692Piuttosto che le suddette reazioni, quando parlo o propongo l’escursionismo in nudità provoco invece giuste e comprensibili (come per ogni cosa senza conoscenza e sperimentazione è ovvio che possano nascere dei dubbi) osservazioni e preoccupazioni: le scottature, le zecche, le vipere, le spine, le abrasioni varie, il pericolo in genere, talvolta l’imbarazzo, il fastidio (qui sono nello specifico gli uomini e si riferiscono al fastidio del pene ciondolante) e, più raramente, l’igiene.

Una parte di risposta risulta comune a molte di queste osservazioni: l’esistenza di situazioni limitanti non rende impossibile una data condizione, piuttosto determina solo la necessità di valutare tali situazioni e adattarsi alle stesse in modo opportuno. Avviene così per qualsiasi forma di abbigliamento e attrezzatura: nessuno si sogna di partire da casa calzando i ramponi perché da qualche parte nel monte ci sono i ghiacciai, nessuno si sogna di mantenere indosso abiti pesanti perché da qualche parte dell’alpe potrebbe esserci una violenta bufera. Tant’è vero che tutti gli articoli all’inizio citati ritengono inutile mettere e tenere nello zaino sempre tutto l’abbigliamento e tutta l’attrezzatura esistente, insistono piuttosto sull’opportunità e la necessità di selezionarli di volta in volta in ragione della località scelta, delle previsioni meteo, della stagione e via dicendo. Perché, quindi, escludere dal novero dell’equipaggiamento lo stadio della nudità? Tutti oggi esaltano la regola dell’abbigliamento a cipolla, orbene qual è lo stadio finale della cipolla? Il nudo cuore, la nudità!

Veniamo alla formulazione di risposte più specifiche in relazione alle singole preocucpazioni.

Scottature

Vero, il sole in montagna è meno filtrato e i raggi ultravioletti arrivano più forti, procurarsi delle scottature è pertanto assai più facile che in pianura o al mare ed è assai più facile che queste scottature possano essere anche piuttosto gravi. Mi risulta, però, che esistano le creme solari e che oggi queste abbiano raggiunto altissimi livelli di protezione, siamo a fattori di schermatura quasi totale. Qual è allora il problema? Semplicemente inesistente, dovrete solo usarne di più e stare più attenti a spalmarla per bene ovunque, ripetendo l’applicazione con una certa frequenza (anche se le attuali creme da sole sono resistenti al sudore col passare delle ore vengono assorbite dalla pelle e diminuisce il loro potere schermante). Diciamo anche che con l’aumento dell’abbronzatura, effetto certo dell’andare nudi in montagna usando adeguatamente la protezione delle creme solari, diminuisce anche il rischio delle scottature.

Ah, i genitali sono pressoché immuni alle scottature da sole, specie se ci si espone camminando.

Zecche

Serissimo problema questo, specie per quelle zone dove tali animaletti risultano infetti e, quindi, potenziali portatori di malattie anche gravi (Morbo di Lyme e Tbe in particolare). D’altra parte salvo scafandrarsi ermeticamente le zecche si attaccano ai nostri vestiti e risalendo lungo gli stessi prima o poi uno spiraglio per arrivare alla nostra pelle lo trovano, fosse anche quando i vestiti li dobbiamo (e prima o poi dovremo pur farlo) togliere per cambiarci o andare a letto. Tant’è che ho notizia di molti attaccati anche da un elevato numero di zecche pur essendo stati vestiti di tutto punto, io stesso mi sono trovato una zecca all’inguine ed ero vestito. Va anche detto che le zecche infette sono presenti solo in limitate zone dell’Italia, che le zecche in genere le si trovano solo in ambienti umidi e ombreggiati, che le troviamo solo nella fascia altimetrica che va dal livello del mare ai 1500 metri, che la trasmigrazione dall’erba all’uomo avviene solo da aprile a giugno (invero anche nel primo autunno ma con minore intensità). Inoltre ci sono 24 ore di tempo (dal morso e questo avviene anche qualche ora dopo la trasmigrazione su di noi) per rimuovere la zecca e restare tranquilli anche se la stessa fosse infetta. Infine… La zecca è nera, la nostra pelle è sostanzialmente molto più chiara, se mentre camminiamo ogni tanto ci fermiamo e ci diamo una controllatina la vediamo subito e la possiamo togliere ancor prima che ci abbia morsi, indi rimozione molto più semplice e sicura.

Vipere

Ho scritto già un esauriente articolo sulla questione (Nudismo e… vipere!) mi limito qui a dire che è un problema più teorico che reale.

Spine

Va beh, intanto posso dire che mi sono preso belle spinate anche quando ero vestito e poi nulla vieta all’occorrenza di coprirsi per il tempo strettamente necessario a superare l’ostacolo.

Abrasioni varie

Stesso identico discorso fatto per le spine, identico!

Pericolo in genere

Idem come sopra.

Imbarazzo

Quante volte avete fatto cose che inizialmente vi hanno messo in imbarazzo? Sono assolutamente certo che risponderete “molte”: colloqui di lavoro, visite mediche, al ristorante, dovendo parlare in pubblico, esami e via dicendo. Eppure… eppure avete affrontato comunque le situazioni e continuate a farlo, in alcuni, forse molti, casi il reiterarsi della situazione ha determinato la sparizione dell’imbarazzo, ovvero la vostra crescita emotiva e psicologica. Bene, stando nudi otterrete lo stesso effetto benefico e con un tempo di adattamento assai più rapido di quello di tutte le altre situazioni imbarazzanti. Perché negarsi una tale possibilità di crescita personale? Perché negarsi la soddisfazione di un cammino più agevole, libero e salutare solo per la paura di provare un poco di imbarazzo alla prima esperienza? Perché?

Pene ciondolante

Vi danno fastidio le braccia a ciondoloni? No, sicuro che no, ci siete abituati e non gli date più peso. Lo stesso avviene per il pene, si forse alla prima esperienza potreste inizialmente sentirvelo sbattere ritmicamente sulle cosce, ma nel giro di pochi minuti, la concentrazione sul cammino e l’abitudine alla sensazione, fanno svanire l’eventuale fastidio e per sempre.

Igiene

Partiamo da un assunto fondamentale: i genitali sono le parti più pulite di tutto il nostro corpo, eventuali contatti con tali zone sono assolutamente immuni da problemi sanitari. Certo se qualcuno ha delle malattie veneree il discorso cambia, è altresì evidente che costoro saranno sicuramente indotti ad una maggiore attenzione, attueranno un’igiene personale più minuziosa o addirittura rinunceranno alla nudità fino alla guarigione. Per altro chi sta nudo pone sempre un telo sopra le eventuali sedute. Contatto con gli agenti patogeni esterni, quali sabbia, erba, pietre, batteri vaganti nell’aere? Come tutti i medici ripetono in continuazione l’abitudine diffusa dalla pubblicità degli igienizzanti è invero più dannosa che utile: il nostro corpo è di sua natura ben capace di autodifendersi da tali agenti patogeni, perde tale proprietà quando lo abituiamo ad un ambiente quasi sterile; la nudità, al contrario, mantiene al massimo livello l’efficienza del nostro corpo nell’autodifendersi dagli agenti patogeni.

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In montagna vestiti è pur sempre bello, nessuno lo nega, posso in ogni caso affermare con assoluta certezza, e con me lo possono fare diversi altri, che nudi è certamente meglio. Purtroppo lo potete sperimentare e comprendere solo provandoci: le prime volte forse le sensazioni saranno pressoché simili a quelle provate da vestiti dato che il vostro corpo e la vostra mente sono fortemente condizionati allo stato di vestito, dategli il tempo necessario a recuperare lo stato innato e permettervi di percepire la differenza (variabile da persona a persona in relazione a quanto sta nuda e a quanto forte è il suo condizionamento mentale, la sua iniziale diffidenza verso la nudità, in ogni caso da qualche giorno a qualche settimana).

Vestiti è bello, nudi è meglio, poi ognuno faccia la sua scelta, l’importante è che chi sceglie di stare vestito rispetti la scelta di chi decide di stare nudo e gli permetta di farlo senza limitazioni di spazio e di tempo, così come questi ultimi rispettano la scelta di chi preferisce stare vestito e gli permettono di farlo senza limitazioni di spazio e di tempo. La convivenza e la condivisone di spazio e tempo sono assolutamente possibili e certamente meglio della netta separazione tra le parti.

Parliamo della Dacia Sandero


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C’è chi, cambiando continuamente autovettura, si trova agevolato all’acquisto di una nuova automobile. C’è chi, invece, come il sottoscritto, l’auto la cambia proprio quando non ne può più fare a meno e, a ogni nuovo acquisto, subisce l’effetto di varie preoccupazioni: quale sarà l’auto più giusta, avrà quello che mi serve, capiterò per caso nel classico prodotto sfigato e via dicendo. Dubbi che diventano anche più pressanti quanto la vettura attualmente posseduta ha sempre funzionato alla grande e ancora funziona egregiamente, ha il solo difetto di avere ormai fatto tantissima strada (per la precisione oltre i trecentomila chilometri) e di necessitare ogni anno di tutta una serie di piccoli interventi di manutenzione che producono una spesa non più accettabile. Ecco che allora uno si decide che forse è il momento di cambiarla.

Bene, anzi, male: partono le paturnie e inizia l’accorata ricerca della nuova vettura.

Caso vuole che non potendo investire grosse cifre le scelte si restringano alquanto e, giunta l’ennesima necessità di manutenzione per una spesa quasi pari a quella dell’eventuale anticipo della nuova vettura, visto per caso in strada e piaciuto assai il nuovo modello di quella che risultava essere la più papabile, definito che tra le concorrenti è quella che dispone del bagagliaio più capiente (caratteristica per me fondamentale), sentito i positivi pareri di alcuni amici che già ce l’hanno, scatta la decisione e in due giorni l’acquisto è formulato. Due mesi di trepida attesa ma poi eccola qui, bella, fiammante, con quell’odore di nuovo che si percepisce da lontano.

In un mese e mezzo già sono superati i tremila chilometri e il giudizio si è fatto netto: scelta azzeccata! Certo non è l’auto sportiva a cui ero abituato, non è l’auto sportiva che avrei desiderato, ma per tanti altri aspetti non mi fa rimpiangere la vecchia per cui… bella così e andiamo avanti.

Attesi altri tre mesi e superati i novemila chilometri, usando la vettura in tanti situazioni e condizioni diverse, dalla città all’autostrada, dal sole alla pioggia battente, dal caldo al freddo, dall’auto scarica all’auto molto carica (sia in peso che in volume che in ambedue le cose contemporaneamente), di giorno come di notte, su strade di pianura e su strade di montagna, in salita e in discesa, ecco raccolti altri spunti e fatte tutte le necessarie considerazioni, ora posso produrre il mio personalissimo test drive.

Non sono un pilota professionista, comunque sono uno che di chilometri sulle spalle ne ha parecchi: guido da 40 anni, l’ho fatto anche per lavoro, mi è sempre piaciuto guidare, avrei voluto fare il pilota di rally. Insomma, pur senza pretese, credo che le mie valutazioni possano ritenersi attendibili, d’altra parte non scenderò nel merito di considerazioni strettamente motoristiche o in altro modo tecniche, saranno osservazioni relative a quanto una qualsiasi persona può rilevare. Unico appunto che mi si può fare e che mi faccio anticipandolo io stesso: magari qualcuno dei problemini segnalati è più legato alla mia singola vettura che alla produzione in generale di quest’auto ma… intanto ritengo assai difficile che dei difetti possano esistere su un’unica singola vettura e, comunque, sono poi pur sempre indice di un qualche debolezza nel processo di controllo.

Dati specifici

Trattandosi di un test drive è necessari innanzitutto chiarire, al di là della marca e del modello già precisati nel titolo, di quale vettura si stia parlando.

Ritenendo che, se veramente si volesse diffondere l’idea del risparmio e dell’ecologia, le auto a GPL dovrebbero andare solo a GPL, l’auto è stata usata quasi esclusivamente con alimentazione a GPL e pertanto il test è riferito a tale carburante.

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Dacia Sandero Laureate 1200 75CV, alimentata a benzina e GPL (impianto originale preinstallato in casa madre), acquistata a gennaio 2014 e consegnata a fine marzo 2014 (quindi ultimo modello attualmente prodotto), 5 porte, cambio manuale, corredata di fendinebbia (di serie), luci diurne (sempre di serie su questo allestimento), chiusura elettrica centralizzata con telecomando (anch’essa di serie), regolazione elettrica specchietti retrovisori esterni (di serie), allarme volumetrico (aggiunto all’acquisto essendo un optional, comunque montato in concessionaria ancora prima del mio ritiro dell’auto nuova), paraspruzzi anteriori e posteriori (optional fatto aggiungere all’atto dell’acquisto), deflettori anti turbolenza sui finestrini anteriori (anche questi un optional che ho scelto fin da subito), autoradio classica con Bluetooth integrato per il cellulare (di serie), comandi al volante per volume radio e per rispondere a una chiamata in arrivo o annullarla (di serie). Mancano, invece, il climatizzatore (era previsto ma non l’ho voluto) e il navigatore (optional che non ho scelto).

Test Drive

Partiamo da quelli che, a mio parere, sono i punti di forza di questa vettura…

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  •  Il motore è poco rumoroso.
  • Ottima la tenuta di strada; ho provato a spingerla per testare l’ESC e l’ASR ma, dovendo rispettare comunque il codice della strada, non mi è risuscito di farli intervenire.
  • Si guida piacevolmente.
  • Rodaggio limitato (3000km).
  • Dopo il rodaggio ha un comportamento abbastanza dinamico e sportivo, ovviamente nei limiti di una vettura che non nasce per essere sportiva.
  • Volante di dimensioni contenute, con tre razze non eccessivamente voluminose ma che danno una buona rigidità allo stesso.
  • Sterzo preciso e leggero, con un ottimo rapporto tra rotazione del volante e diametro della sterzata.
  • Frenata efficiente eppure molto morbida anche nelle inchiodate.
  • Cambio molto preciso.
  • La strumentazione è ben visibile.
  • Presenza del contagiri.
  • Comandi ottimamente accessibili, quasi tutti sulle tre leve al volante.
  • All’accensione vettura commutazione automatica da benzina a GPL.
  • Commutazione benzina/GPL e GPL/benzina molto semplice e immediata.
  • La visibilità, sia essa anteriore che posteriore che laterale, è ottima.
  • Frantumazione del getto lavavetri anteriore.
  • Lavavetri posteriore a caduta.
  • Sedili confortevoli.
  • Regolazione in altezza del sedile conducente.
  • Comoda la seduta per il passeggero posteriore centrale.
  • Doppio airbag posti anteriori.
  • Regolazione in verticale delle cinture di sicurezza anteriori.
  • Alloggiamento per fissare la cintura di sicurezza posteriore centrale quando inutilizzata.
  • Cintura di sicurezza posteriore centrale con sistema di avvolgimento automatico quando inutilizzata.
  • Aeratori laterali e centrali di facile utilizzo e finemente regolabili.
  • Comoda regolazione dell’inclinazione dei fari anteriori.
  • Ampi specchietti retrovisori esterni.
  • Sistema automatico e manuale per il bloccaggio delle portiere anche senza telecomando.
  • Spazio interno trasversale decisamente abbondante, sia anteriormente che posteriormente.
  • Spazio interno longitudinale ottimo per i posti anteriori.
  • Rivestimenti interni eleganti e (apparentemente) molto robusti.
  • Vani portaoggetti anche sulle portiere posteriori.
  • Vani portaoggetti sulle portiere di ampia dimensione: ci sta comodamente una bottiglia di acqua da un litro e mezzo.
  • Alloggiamento per libretto e penna nel vano portadocumenti sotto plancia.
  • Bagagliaio enorme, per quello che ho potuto rilevare il più elevato per questa classe d’auto.
  • Bagagliaio con profilo interno lineare e regolare (che corrisponde a un’elevata facilità di disposizione del carico).
  • Schienale posteriore abbattibile e separato in due parti (1/3 e 2/3 della larghezza seduta posteriore).
  • Sul sedile posteriore è presente un doppio attacco Isofix per i seggiolini porta bimbi.
  • Tunnel centrale di altezza contenuta.
  • Indicatore acustico di mancato spegnimento fari allo spegnimento dell’auto.
  • Il raccordo di riempimento del serbatoio GPL ha l’adattatore incorporato.

Ora le debolezze (non li chiamo difetti dato che, tutto sommato, non li vedo come veri e propri difetti); ovviamente comprendo che dietro ad ogni aspetto possano esserci delle scelte precise determinate da motivazioni economiche o pratiche, infatti non è un elenco critico, sono solo le mie personalissime osservazioni basate sulla mia soggettività…

  • Serbatoio del GPL troppo piccolo: una ventina di litri in più farebbero decisamente comodo.
  • Si rileva, specie nella fase di rodaggio ma anche dopo, una eccessiva tendenza allo spegnimento all’accensione, alla partenza da fermo e, talvolta, anche nel fermarsi.
  • Troppo corte le prime due marce: la seconda va inserita non appena ci si mette in movimento e questo crea situazioni pericolose visto che ci si trova costretti a cambiare proprio mentre si è in mezzo all’incrocio, momento in cui, al contrario, la progressione del mezzo dovrebbe essere fluida e continua.
  • Il display del computer di bordo fornisce una sola indicazione (ora, chilometri effettuati, chilometraggio parziale, temperatura esterna) alla volta.
  • Il sensore della temperatura esterna subisce troppo l’influenza della carrozzerie riscaldata dal sole: all’accessione la temperatura indicata è più alta di quella reale e servono diversi chilometri prima di ottenere un indicazione attendibile.
  • Assenza dell’allarme acustico per eccesso di velocità.
  • I pulsanti al volante per il controllo del cellulare sono poco visibili creando qualche difficoltà fintanto che non si impara per bene la loro posizione e, soprattutto, la loro funzione.
  • Il meccanismo di ritorno automatico della leva frecce troppo vicino all’angolo zero del volante.
  • Il selettore GPL/Benzina ha un posizionamento purtroppo poco funzionale (per guardarlo è necessario abbassare la testa), oserei dire che risulta addirittura pericoloso in quanto per poter controllare le relative segnalazioni bisogna distogliere completamente lo sguardo dalla strada.
  • La commutazione delle spie del livello GPL non è immediata: tipicamente si spegne l’auto con l’indicazione di un livello e alla riaccensione il livello indicato è quello inferiore.
  • Se l’auto si spegne mentre l’alimentazione è a GPL, 9 volte su 10 alla riaccensione l’alimentazione rimane impostata su benzina e non esiste un allarme sonoro che avvisa del fatto.
  • In salita il suggeritore di cambiata, non essendo abbinato a un inclinometro, entra in loop: suggerisce di passare alla marcia superiore, cambiate e subito suggerisce di passare alla marcia inferiore, cambiate e subito suggerisce di tornare alla marcia superiore e così via.
  • Il montante anteriore sinistro (cosa che purtroppo si rileva oggi in diverse autovetture) nell’attuazione di una curva o nell’affrontare un incrocio riesce a nascondere alla vista una persona o addirittura un’auto che si trovino davanti a sinistra del guidatore.
  • Il cappuccio di copertura della vite di regolazione del freno a mano esce di sede dopo pochi utilizzi del freno a mano.
  • Sul regolatore di temperatura i pallini rossi più piccoli (minimo riscaldamento) invero corrispondono a un’emissione di aria fredda.
  • IMG_6777L’aria calda si ottiene velocemente solo mettendo il regolatore al massimo e poi scendendo progressivamente.
  • Con il caldo l’aria fredda esce calda per diversi (troppi) chilometri.
  • L’indicatore di posizione sui tre selettori della climatizzazione è poco visibile di giorno.
  • Manca l’aeratore posteriore.
  • Oltre i centodieci chilometri diventa un po’ troppo rumorosa (sembrerebbe un problema aereodinamico): per sentire la radio è necessario alzare il volume oltre il livello 25, anche fino a 30.
  • Dai novanta chilometri all’ora in su risulta, per via del rumore prodotto dall’aria che entra dal finestrino, molto fastidioso viaggiare coi finestrini aperti.
  • Sedili poco avvolgenti.
  • Mancano gli airbag posti posteriori.
  • All’accensione dei fendinebbia anteriori non si spengono automaticamente gli anabbaglianti (pochi lo sanno e lo fanno, ma gli anabbaglianti lasciati accesi di fatto rendono inutili i fendinebbia).
  • Lo sgancio per la regolazione avanti/indietro del sedile a volte non sgancia perfettamente.
  • Lo spazio interno longitudinale risulta un poco sacrificato per i posti posteriori, in particolare per piedi e ginocchia.
  • Il passeggero posteriore può trovarsi in difficoltà per uscire dalla vettura: i piedi s’incastrano prima nel piede esterno del sedile anteriore, poi nel bordo inferiore della portiera o/e nel montante centrale della vettura.
  • Il passeggero posteriore centrale ha uno spazio per i piedi piuttosto infastidito e limitato dal tunnel centrale.
  • I poggiatesta anteriori sono scomodi per le persone di bassa statura (sotto il metro e sessanta).
  • Le guarnizioni delle portiere non sono incollate e tendono facilmente a sfilarsi, sarebbe quantomeno opportuno fare in modo che il punto di giunzione non si trovi posizionato proprio dove, nel salire e scendere dalla vettura, ci si trova a passare con i piedi.
  • La panca dei sedili posteriori è in pezzo singolo, il che rende possibile l’abbattimento parziale dello schienale con presenza di terzo passeggero solo lasciando la panca al suo posto perdendo così qualche metro cubo di spazio dato che lo schienale resta sensibilmente inclinato verso l’alto, inoltre alla risistemazione della panca risulta difficile riposizionare i moduli di aggancio delle cinture di sicurezza (salvo non ci si faccia aiutare da una seconda persona).
  • Il tappetino sul lato guidatore è troppo corto, ma soprattutto presenta il battitacco mal posizionato: troppo arretrato, così il tacco della scarpa s’incastra nel profilo del battitacco creando pericolosi bloccaggi del piede.
  • I bottoni di aggancio del tappetino sono troppo precisi risultando molto duri e difficilissimi da sganciare con il rischio (come successo a me) di strappare il tappetino stesso, molto sottile e, quindi, delicato.
  • Il vano svuota tasche sul cruscotto andrebbe corredato di un tappetino in silicone o in gomma ruvida (per evitare che gli oggetti in esso deposti si muovano avanti e indietro durante le curve).
  • L’accesso al vano portaoggetti collocato sul tunnel centrale è infastidito dalla leva del freno a mano.
  • Gli agganci del ripiano che copre il bagagliaio sono ricavati direttamente dal corpo stesso del ripiano e risultano molto delicati: uno si è rotto praticamente subito (pur restando operativo).
  • Il pianale del bagagliaio è libero sul lato posteriore (lato apertura) consentendo ad eventuali oggetti di piccole dimensioni di finire sotto lo stesso.
  • La coibentazione termica dell’abitacolo è deboluccia, specie il caldo dell’estate crea un ambiente decisamente poco confortevole: la temperatura sale moltissimo e, per diversi chilometri, si è soggetti a un forte senso di oppressione, oltre che respirare a fatica.
  • Manca l’apertura manuale centralizzata.
  • Nonostante a catalogo sia disponibile un telecomando unico (portiere e allarme), alla consegna della vettura mi sono trovato quello doppio, uno per le portiere e uno per l’allarme, che si rileva decisamente scomodo (anche se ciò permette facilmente di chiudere la vettura senza attivare l’allarme, cosa utile qualora si lasci l’auto parcheggiata per diversi giorni senza poterla vedere o sentire).
  • La segnalazione di attivazione o disattivazione dell’allarme volumetrico è solo visiva (lampeggio degli indicatori di direzione).
  • Il telecomando dell’allarme ha i pulsanti troppo superficiali ed è facile attivarlo (poco grave) o disattivarlo (gravissimo) senza accorgersene, anche perché la segnalazione, come già detto, non è sonora.
  • Alzando il volume della radio ad un certo punto i toni bassi diventano esagerati e predominanti.
  • Il microfono per il vivavoce del telefono trasmette un effetto eco.

Suggerimento

Una modifica ai telecomandi a cui penso da tempo e trovo strano che nessun produttore ancora ci abbia pensato.

Inserire un sistema meccanico o ottico che tenga memoria della chiusura della vettura e dell’attivazione dell’allarme. Spesso tali azioni vengono compiute meccanicamente e, dopo pochi minuti, allontanatisi dalla vettura, viene il dubbio se le si è fatte o meno. Con la modifica indicata, invece di dover tornare indietro quantomeno fino a distanza utile per azionare il telecomando, basterebbe un’occhiata allo stesso.

Valutazione

  • Guida: 9,5
  • Silenziosità: 10 a fermo o bassa velocità, 8 in autostrada (120/130km/h)
  • Confort: 7, gioca al ribasso la cattiva coibentazione termica al caldo, altrimenti sarebbe un 9
  • Estetica: 8,5 certo il gusto personale gioca molto, l’auto è carina ed elegante ma, a mio parere, la linea di base è troppo squadrata
  • Costo: 10, in assoluto l’auto meno cara nel suo settore
  • Rapporto costo qualità: 9, senza incidere sul costo si potrebbero sicuramente curare di più alcuni piccoli dettagli (vedi test drive).
  • Assistenza prevendita: 10 (concessionaria Manelli di Brescia); gentili, disponibili, informazione completa
  • Assistenza post vendita: 9,5 (stessa concessionaria di cui sopra), l’unica pecca rilevata è quella di dover ripetere la descrizione del problema qualora lo stesso non possa essere risolto subito ma si debba ritornare

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Scarpe da montagna La Sportiva Raptor GTX


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Come le ho provate le ho sentite giuste per i miei piedi e non c’è stato più spazio per le altre: ho provato altre sei scarpe da escursionismo, alcune di tipo classico, altre più vicine alle scarpe da corsa in montagna, ma nessuna mi dava le stesse sensazioni, alcune mi facevano male da qualche parte, una era troppo stretta all’attaccatura delle dita, in quasi tutte c’erano dei vuoti tra calzatura e piedi.

Dopo un’ora di prove e verifiche alla fine la scelta è stata inevitabile e le ho comprate, intenzionato a provarle a fondo quanto prima possibile.

IMG_3858L’occasione non si è fatta attendere (ma già lo sapevo) e pochi giorni dopo, durante il Campo d’Agosto del programma “Orgogliosamente Nudi 2013”, eccomi in cammino con le mie nuovissime e fiammanti scarpe da escursionismo (invero sarebbero scarpe da corsa in montagna di penultima generazione, ovvero non troppo estreme). Il primo test avviene sul ripidissimo prato dietro la tenda: il giorno prima, ad erba asciutta e calzando le scarpe da ginnastica, ci ero scivolato inesorabilmente, oggi, invece, con l’erba bagnata e le nuove scarpe, lo salgo e lo discendo sulla linea di massima pendenza senza la minima esitazione. Uhm, un buon inizio non c’è che dire, ma fra poco le potrò mettere alla prova più seriamente: oggi un’escursione di 5 ore su diversi tipi di terreno, domani una di sette ore che completerà il test aggiungendovi anche rocce, ganda e neve.

Arrivano gli amici e ci mettiamo in marcia…. Ehm, no, non sto a raccontarvi per filo e per segno tutto quello che ho fatto, d’altra parte ci sono già le relative relazioni (Laghetto di Mignolo Basso per il sentiero 418 e Giro diretto del Blumone), tagliamo corto e passiamo ai risultati.

Prima rilevazione: ti mettono le ali! La leggerezza della scarpa, la sicurezza dell’appoggio, data da una suola con un grip veramente fantastico e costante su tutti i tipi di terreno, e la curvatura della parte anteriore permettono una camminata sciolta e forniscono una spinta che si fa prepotentemente sentire, specie sulle salite ripide.

IMG_3895Seconda rilevazione: che bello recuperare il piacere di camminare! Dove lo metti il piede sta, anche sulle pietre lucidate dal passaggio, anche sulle lame affilate o sulle minime punte (e senza dolore); ogni minimo movimento della scarpa viene rilevato da piede e, viceversa, ogni minimo movimento del piede viene trasmesso alla scarpa, azzerando i passi falsi e le storte di caviglia: contrariamente a quanto i più credono, non è la scarpa alta a contenerle, salvo non sia rigida come uno scarpone da sci, ma piuttosto la perfetta aderenza della calzatura in ogni punto del piede e l’assenza di vuoti, in particolare nella zona dell’arcata interna.

Terza rilevazione: tengono l’acqua in modo perfetto! L’erba bagnata non è più un fastidio e nemmeno le pozzanghere: sono casualmente entrato in una pozzanghera di fango, sprofondando fin sopra il colletto della scarpa, avevo la gamba bagnata e sporca ma l’interno della scarpa e il piede erano perfettamente asciutti.

Quarta rilevazione: nessuna vescica e nessun friggitura della pianta camminando su terreno duro, ivi compreso l’asfalto! Nonostante avessi la pelle sul lato inferiore degli alluci ancora indebolita da due recenti vescicone, anche dopo le otto ore del Giro del Blumone i mie alluci e i miei piedi in genere erano in perfette condizioni, grazie anche all’ottima traspirabilità che ha reso la sudorazione del piedi praticamente inesistente. Preciso che le ho usate con dei calzini corti molto sottili, non le ho provate senza calze ma credo che lo farò presto: ad impressione dovrebbero andare altrettanto bene, se non meglio.

IMG_3769Quinta rilevazione: dopo anni per la prima volta ritorno a valle senza dolori alle ginocchia! Eppure ci ho fatto di tutto: camminato normale, camminato veloce, camminato in equilibrio di sasso in sasso, corso, saltato.

È troppo presto per poter valutare la resistenza e la durata di questa scarpa, ma dopo 20 ore di utilizzo intenso non si rilevano segni o taglietti su nessun punto, né della tomaia, né della suola, né dei rinforzi rigidi. Insomma all’apparenza pare che sia una scarpa molto resistente.

Per finire un appunto contrario: sarebbe apprezzabile un sistema di frenatura dell’allacciatura (quantomeno sui passanti a metà scarpa), così come è risulta difficile tenderla per bene e finisce col restare sempre un po’ troppo lenta in punta.

Voto: 9 e ½ – Gradimento: 10 e lode – Consigliabilissime, ovviamente sono comunque da provare per bene prima dell’acquisto che i piedi sono tutti diversi tra loro.

Come ho detto ai miei compagni di campo: uno dei migliori acquisti che abbia mai fatto!

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Come portare lo zaino?


Ecco un altro mio vecchio articolo.


Premessa

Lo zaino

Può sembrare paradossale, eppure non è assolutamente difficile osservare comportamenti errati in relazione al portamento dello zaino, e non solo nei cosidetti alpinisti della domenica, ma anche tra coloro che praticano gli sport alpinistici con maggiore assiduità. In effetti chi mai si è chiesto come si porta uno zaino? Quali libri si preoccupano di trattare l’argomento? Quali corsi analizzano la questione? Quali studi sono stati fatti in merito?

Ad ogni domanda dobbiamo rispondere nessuno o pochi. Eppure il portamento dello zaino è un aspetto molto importante, che coinvolge sia gli aspetti atletici che quelli sanitari. Portare male uno zaino vuole sicuramente dire aumentare la fatica, nel breve termine può procurare dolori alle spalle e alla schiena, alla lunga può generare deformazioni permanenti nella struttura scheletrica del busto, con la cronicizzazione di dolori articolari e muscolari.

Con questo articolo voglio darvi qualche indicazione, basandomi su quanto negli anni sono riuscito a catturare dalle mie personali esperienze e da qualche lettura. Avrei voluto supportare il tutto con della documentazione medico-scientifica, ma ho trovato solo qualcosa in relazione ad alcuni recenti studi sui ragazzi in età scolare, documentazione medica interessante ma non applicabile al contesto tecnico del mio articolo.

Analisi

Le regole per un buon portamento dello zaino sono poche ed elementari.

1 – Azione del carico

Il carico dev’essere posizionato in modo tale da agire in asse con la spina dorsale, ovvero da non comportare flessioni all’indietro della schiena alle quali, istintivamente, porremmo rimedio inclinando il busto in avanti e, così facendo, attiviamo una catena di muscoli altrimenti a riposo o quasi. Prima conseguenza è l’aumento dell’energia consumata, seconda l’affaticamento e l’indolenzimento di tali muscoli, terza la sensibile riduzione della nostra resistenza fisica generale, quarta la limitazione della dilatazione del muscolo diaframmatico che comporta, quinta e grave conseguenza, una scorretta ventilazione polmonare: i polmoni hanno una forma all’incirca a campana, il loro maggior volume è nella parte bassa, quella mossa dal muscolo diaframmatico, se questo è limitato o impedito nel suo movimento siamo costretti a respirare con il torace, una ventilazione che muove meno di un terzo del volume polmonare e interessa una limitata parte degli alveoli, ne consegue una limitata e inefficace ossigenazione del sangue con inevitabile riduzione della capacità di lavoro aerobico, l’unico che non comporta la produzione di tossine e l’insorgenza di crampi.

Per ottenere la corretta azione del carico è necessario che lo stesso risulti, compatibilmente con le necessità di stabilità più oltre illustrate, il più alto possibile e il più vicino possibile alla schiena. L’ideale sarebbe sulla testa, ma la stabilità non ottimale ne sconsiglia l’attuazione, un ottimo risultato si ottiene stringendo al massimo gli spallacci per alzare il baricentro dello zaino rispetto al nostro e posizionando il materiale più pesante nella parte superiore dello zaino: ricordate le gerle dei contadini di montagna e il carico che riuscivano in tal modo a portare?

Altro fattore importante: il materiale dev’essere sempre distribuito in verticale, non in orizzontale, pertanto scegliete uno zaino con la capienza minima necessaria o adattatene la capienza mediante i variatori di carico (cinturini laterali o, talvolta, frontali).

2 – Stabilità del carico

Al fine di evitarne continui e talvolta pericolosi spostamenti a cui doversi opporre con sforzi muscolari aggiuntivi, lo zaino dev’essere il più stabile possibile, pertanto:

  • spallacci ben stretti;
  • cintura addominale allacciata e correttamente regolata (non troppo stretta, ma nemmeno lasca);
  • il materiale più pesante (scarponi, borraccia, viveri, corda, alimenti, eccetera) dev’essere posto all’interno dello zaino; eventualmente è possibile tenere all’esterno la corda, ben fissata allo zaino mediante la patella e le cinghie porta sci o i variatori di carico, o la borraccia, se è possibile fissarla saldamente allo zaino (alcuni dispongono di un apposito porta borraccia sul fianco o in cintura).

Un appunto, che non riguarda il portamento ma è comunque rilevante ai fini del corretto utilizzo dello zaino, in merito all’abitudine di appendere all’esterno magliette, giacche e altro materiale di peso trascurabile: se proprio volete farlo (si asciugano molto più facilmente) e non avete a disposizione apposite tasche a rete, fate in modo che non svolazzino, non tanto per una questione estetica, quanto per non rischiare che s’incastri pericolosamente in rocce, alberi o cespugli e… per non darlo in faccia agli altri.

3 – Ergonomia dello zaino

Apparentemente la forma e la struttura di uno zaino potrebbero sembrare ininfluenti ai fini del nostro discorso, eppure uno zaino mal costruito potrebbe impedirne il corretto portamento, oltre a determinare una minore sopportazione del carico. Quali sono, pertanto, le caratteristiche che deve avere uno zaino per essere considerato un buon compagno di viaggio? Ovviamente il discorso è molto ampio, diversi distinguo andrebbero fatti, possiamo comunque individuare caratteristiche comuni a tutti gli zaini e indipendenti dall’utilizzo:

  • gli spallacci devono essere larghi per distribuire la sollecitazione su una superficie maggiore, diminuendo il carico per centimetro quadrato;
  • gli spallacci devono essere imbottiti per rendere più confortevole il lungo portamento con carico pesante;
  • gli spallacci devono essere ricoperti con un tessuto morbido per evitare abrasioni sulla pelle qualora si portasse lo zaino a dorso nudo o con la sola canottiera;
  • gli spallacci devono essere regolabili in lunghezza, se poi è possibile anche regolarne la posizione verticale rispetto al dorso dello zaino tanto meglio;
  • devono esserci i variatori di carico, salvo per zaini di limitata capacità (30 litri o meno);
  • deve esserci una cintura addominale, regolabile, larga, morbida e imbottita nelle zone di contatto con i fianchi;
  • utilissimo, migliora la stabilità in discesa, il cinturino pettorale;
  • i vari dispositivi di regolazione devono mantenere ben salda la regolazione impostata.

Anche qui una nota a margine: lo zaino dev’essere leggero e di capienza proporzionata alle esigenze, inutile sorbirsi il peso e la scomodità di un enorme zaino da 50 o più litri, magari anche corredato di telaio metallico, per un’uscita di uno o due giorni: imparate a selezionare il materiale portandovi appresso solo il minimo indispensabile, a quel punto un leggero e compatto zaino da 30 litri vi sarà più che sufficiente per la stragrande maggioranza delle escursioni, anche di due o più giorni.

Conclusione

Portamento dello zaino

Riassumendo, un corretto portamento dello zaino si ha quando:

  1. il fondo dello zaino è più in alto dei glutei;
  2. i due triangoli imbottiti da cui parte la cintura addominale risultano appena al di sopra della testa delle anche;
  3. la cintura addominale avvolge, per l’appunto, l’addome (e non il pube);
  4. lo schienale dello zaino appoggia, totalmente o in parte a seconda della sua forma e del tipo di zaino, sulla parte alta della schiena, da sopra la zona lombare alle spalle;
  5. gli spallacci sono ben aderenti al corpo, soprattutto nella zona delle spalle e dei pettorali;
  6. la patella di chiusura è più in alto delle spalle;
  7. tenendo il busto perfettamente verticale non ci si sente tirare all’indietro (per dirla in altro modo: per tenere il busto verticale non dovete sforzare i muscoli addominali).

Buon divertimento!

Escursionismo: quale abbigliamento (1)?


Prima di tutto mi qualifico, visto che in questa società basata sull’apparire e sull’inganno molti sono coloro che non credono alle parole del primo venuto ma vogliono riferimenti e qualifiche.

Ho iniziato ad andare in montagna all’età di 14 mesi, a tre anni mi è arrivato in regalo il mio primo paio di sci, da allora l’estate a camminare e l’inverno a sciare. All’età di otto anni, in campeggio con l’oratorio, ero l’unico tra i minori ad essere ammesso alle gite escursionistiche vere e proprie. Poi tanta montagna con gli scout, le gare di sci, le gite con un gruppo escursionistico di cui divenni uno dei più apprezzati capigita, infine l’arrampicata e, nel 1978, il corso di roccia.

Nel 1980 divento Istruttore Sezionale di Alpinismo del Club Alpino Italiano (CAI), partecipando come istruttore ad un minimo di un corso (arrampicata su roccia) all’anno, che diventeranno presto due dato che iniziai a collaborare anche con i corsi di ghiaccio alta montagna.

Nel 1984 prendo il titolo di Istruttore Regionale di Alpinismo del CAI e subito dopo inizio a dirigere i corsi di alpinismo. Nel 1990 divento Istruttore Nazionale di Alpinismo e negli anni a venire, oltre che dirigere vari corsi in tutte le discipline alpinistiche, assumo la direzione di due scuole di alpinismo, collaboro con la Scuola Regionale di Alpinismo e per qualche anno, poi problemi alle ginocchia e comparsa di occasionali vertigini mi costringono ad interrompere l’attività, anche con quella Nazionale.

Per finire potete, se lo ritenete opportuno, leggervi anche la mia attività alpinistica http://www.emanuele-cinelli.it/pagine/chiacchiere/attivita_alpinistica.html.

Terminate le presentazioni veniamo al contesto vero e proprio dell’articolo.

Proprio in questi giorni una rivista che parla di montagna e alpinismo si è rifiutata di pubblicare un mio piccolo intervento perché: “da tempo sto faticando per far capire quanto sia importante il corretto abbigliamento, parlare di escursionismo in nudità sarebbe una forte contraddizione”.

Invero non c’è nessuna contraddizione: è solo l’effetto di un secolare condizionamento mentale che porta a pensare questo, in alcune situazioni l’abbigliamento migliore è proprio la nudità. Senza la pretesa di esaurire la questione, ci vorrebbe un trattato voluminoso che nessuno poi leggerebbe, ma apportando alcune considerazioni d’esempio che sole bastano a chiarire la questione e, spero, inseminare qualche dubbio, vediamone le ragioni.

Ci sono tre aspetti da prendere in considerazione parlando dell’abbigliamento escursionistico: la salubrità, il confort e la sicurezza; in ogni momento la scelta dev’essere attuata a seguito di una corretta valutazione dei tre aspetti, tenendo conto che per certi versi sono tra loro interdipendenti (ad esempio, sicurezza non vuol dire solo protezione dagli agenti esterni, ma anche considerazione degli aspetti interni di salubrità), arrivando a definire una loro media ponderata.

Sicurezza

La sicurezza è di certo l’aspetto che porta più punti al vestiario che al nudo, ma la montagna non è sempre ambiente ostile.

Se d’inverno molti possono essere i pericoli oggettivi (valanghe in primis) che possono indurci in molte occasioni (ma non in tutte, ad esempio un ambiente di bassa montagna, con pendii moderati e non valangosi, con neve trasformata e dura oppure fresca e polverosa, in una giornata di sole e senza vento, si presta moltissimo a belle escursioni invernali in nudità) a non togliere il vestiario, d’estate le cose cambiano considerevolmente e il più delle volte, nella maggior parte delle situazioni, il vestiario non apporta nulla alla sicurezza: se mi cade un sasso in testa non sarà certo l’essere vestito ad evitarmi il trauma; se scivolo e cado in un dirupo, il vestiario potrà, forse (perché il vestiario si può anche rompere e non è incollato alla pelle), evitarmi le abrasioni, ma di certo non mi eviterà contusioni e fratture; se sbatto un ginocchio contro una pietra, l’avere o meno indosso i pantaloni non mi allevia la contusione; se metto male un piede l’essere vestito non può certo evitarmi la distorsione della caviglia (qui al massimo può entrare in gioco il tipo di calzatura e le scarpe le usano anche i nudisti); e via dicendo.

D’altra parte l’escursionista nudista si porta comunque al seguito tutto il vestiario necessario e andrà man mano a indossare quanto la situazione del momento richieda, esattamente come fa un qualsiasi altro escursionista.

montagna_nuda2Confort

Qui c’è ben poco da dire, è quantomeno evidente che non esiste niente di più confortevole del corpo nudo: nessun tessuto che possa creare allergie o fastidiose irritazioni da sfregamento, niente che possa stringere, niente che possa ostacolare il movimento.

La ricerca del confort da ormai diversi anni è diventata una costante in chi fa alpinismo ed escursionismo ed è solo conseguenza di un forte condizionamento mentale il fatto che pochissimi abbiano preso in considerazione il nudo.

Salubrità

Qui è un po’ meno evidente, ma anche per questo aspetto il condizionamento mentale alla negatività del nudo gioca un ruolo fondamentale.

Da sempre la medicina dello sport insegna che è importante sudare il meno possibile, ma sudare il meno possibile vuol dire mettersi addosso il minimo vestiario necessario in ragione della temperatura del momento e quando questa supera un certo livello (non indico un valore preciso perché è condizione molto soggettiva) il minimo vestiario necessario è la nudità. La cosa è molto più evidente nell’uomo che nella donna, farò quindi il discorso riferendomi all’anatomia maschile, questo non toglie che il tutto abbia valore anche in riferimento alla donna. I testicoli devono mantenere una temperatura il più possibile costante ecco quindi che la natura non solo li ha messi esterni e li ha avvolti in un dissipatore naturale, lo scroto, ma li ha anche dotati di numerosi e importanti sensori del caldo, sensori il cui funzionamento viene però alterato, se non inibito, innanzitutto dalle mutande il cui utilizzo è, per inciso, la prima fonte di malattie dei genitali, ma poi anche dal vestiario in generale: lasciare i genitali liberi vuol dire consentire al corpo la migliore termoregolazione possibile e, alla fine, sudare molto meno se non per niente.

Lasciando perdere le pur sempre valide ipotesi dell’interesse economico delle case produttrici di abbigliamento sportivo, la nudità crea imbarazzo (affermazione oggi non del tutto vera, ma tant’è, pare che siano più importanti quei pochi che ancora provano imbarazzo davanti a un corpo nudo piuttosto che i tanti che non lo provano) e allora giù tutti ad inventarsi tessuti che permettano la migliore traspirazione possibile. Va bene, benissimo, quando proprio dobbiamo indossare qualcosa è bene che questo qualcosa permetta la massima traspirazione possibile, ma nelle molte situazioni in cui il vestiario non risulta indispensabile ecco che dobbiamo pur prendere in considerazione l’assunto che, per quanto un capo di abbigliamento possa essere traspirante, sarà pur sempre un qualcosa in più rispetto alla pelle, è pertanto evidente che la nuda pelle possa trasudare molto meglio che la pelle coperta da qualcosa.

Parliamo ora della colorazione dei tessuti. In questi ultimi mesi sono stati diffusi i risultati di alcuni studi che hanno rilevato l’elevata tossicità di molti dei coloranti utilizzati dall’industria tessile, in particolare per l’abbigliamento d’alta moda, ma il dubbio che siano gli stessi coloranti usati per l’abbigliamento sportivo è lecito e, comunque, per quanto poco tossico possa essere un colorante è certamente sempre meno naturale della nuda pelle.

Infine prendiamo in considerazione le irritazioni da sfregamento causate dal vestiario e le allergie provocate dai tessuti. Se nel secondo caso la cosa è soggettiva, nel primo è invece oggettiva: tutti ne sono assoggettati e sebbene i tessuti siano sempre più elastici è anche qui evidente che l’assenza degli stessi sia di certo meglio della presenza.

Conclusione

Quale la morale di tutto il discorso? Beh, credo sia evidente: spesso ragioniamo in funzione di condizionamenti e abitudini che ci sono state indotte dalla società o dai leader sociali e ci dimentichiamo di valutare le cose con vera obiettività e oggettività, adottando le tecniche del problem solving e analizzando a tutto tondo le questioni. Un senso unico sempre in agguato, un senso unico che invece di migliorare la società tende a renderla sempre più schiava e sottomessa al volere di pochi: il nudo infastidisce qualcuno, il nudo è stato da qualcuno dichiarato osceno, il nudo è per qualcuno peccato, il nudo è per qualcuno reato, indi… sebbene possa essere la miglior cosa per molte questioni sociali (educative, ecologiche, mediche, eccetera) il nudo non va preso minimamente in considerazione, non viene preso in considerazione dai ricercatori scientifici, non viene preso in considerazione dai medici e dai salutisti, non viene preso in considerazione dallo sport. Che risorsa sprecata!

Orologio Laurens Snorkeling


Laurens è un marchio della più nota e prestigiosa azienda Lorenz.

Grande abbastanza da essere ben leggibile senza creare fastido sul polso, questo orologio di basso costo (69€ soltanto) si propone come un buon attrezzo per lo snorkeling e la pesca in apnea.

Esteticamente gradevole, il rivestimento gommato lo rende piacevole al tocco, i tasti di comando colorati sono facili da individuare anche con poca luminosità, sono solo un poco piccoli e, per questo, si manovrano con qualche difficoltà indossando i guanti; spesso, poi, la pressione del tasto che commuta la modalità (ma rilevata la stessa cosa anche con quello che scorre il registro d’immersione) viene percepita come una doppia pressione e la commutazione avanza di due step anzichè uno (da orologio a registro, scavalcando il modo deep). Non è un water-proof ma solo un water-resistant, comunque a 100 metri; la cassa è in materiale plastico (e alluminio) ma la lunetta e il fondello, serrato mediante quattro viti, in acciaio ne fanno un oggetto affidabile anche per l’uso in acqua, basta ricordarsi che i tasti non sono studiati per l’utilizzo in immersione e vanno pertanto manovrati solo in superficie.

Trattandosi di un orologio digitale la ghiera girevole risulta solo un inutile orpello estetico, meglio sarebbe se al suo posto si fosse messa una griglia di protezione del vetro, visto che utilizzandolo nella pesca in apnea, ma anche nello snorkeling diciamo evoluto (quello che prevede non il solo nuoto pinnato in superficie o poco sotto la stessa, bensì anche diversi tuffi con soste sul fondo), è facile sfregare o urtare quest’ultimo contro i sassi del fondale, in particolare quando si infila una mano sotto di questi per immobilizzarsi sul fondo. Allo stato attuale conviene proteggerlo tenendolo sotto il polsino del guanto, anche se questo rende poco agevole l’utilizzo dell’orologio in fase d’immersione, per consultarlo, e in superficie, per commutare gli stati.

Il cinturino è in gomma semirigida, ma risulta comunque abbastanza confortevole; la sua lunghezza è tale da poterlo indossare agevolmente anche sopra la muta, mentre è al limite l’utilizzo sopra anche il polsino del guanto. I fori di fermo sono ben dimensionati, mentre risulta troppo mobile il passante in cui infilare la parte eccedente del cinghiolo. La fibbia appare robusta e agevole da manovrare, sebbene abbia troppo agio nel ribaltamento e si fatichi un poco, specie con i guanti, a riportarla in avanti per infilarci il cinturino; l’astina di aggancio è piatta e apparentemente robusta, ma molto sottile e quindi difficile da sollevare.

I dati sullo schermo sono facilmente identificabi, la loro dimensione abbondante li rende facilmente leggibili e la presenza della retroilluminazione, di cui non si può usufruire in immersione dato che i pulsanti, come già detto, non sono studiati per l’uso subacqueo, ne consente la lettura anche in assenza di luce.

Veniamo ai dati riportati, limitando l’analisi a quelli che interessano l’apneista (l’orologio non prevede dati specifici per l’immersione con bombole).

L’orologio incorpora un profondimetro e un sensore di temperatura; ambedue i dati, insieme al tempo di immersione, sono riportati nella stessa schermata della modalità deep. Qui si rilevano alcune caratteristiche fastidiose e in parte incomprensibili vista la destinazione d’uso specifica: lo snorkeling.

Affinchè la modalità deep entri in funzione non è sufficiente commutare lo stato in deep, ma bisogna anche avviare la rilevazione premendo l’apposito pulsante. Questo, sebbene rendi meno pratico l’utilizzo della funzione, può anche accettarsi, unico vero appunto è che il pulsante di attivazione è proprio quello che si appoggia al guanto (alto destra) e con guanti spessi si fatica non poco a manovrarlo. Di difficile comprensione è, invece, la scelta di far partire la registrazione dell’immersione dopo ben un minuto di permanenza sotto il metro e mezzo di profondità: quale è lo snorkelista che effettua apnee di tale entità? ma anche per il pescatore in apnea, un tempo di avvio ridotto almeno della metà non sarebbe male, ma meglio ancora sarebbe portarlo a zero secondi. Adeguato il tempo di uscita automatica dalla modalità di registrazione (10 minuti), mentre il tempo di uscita automatica della modalità deep (60 secondi) è troppo breve: andrebbe portato a 5 minuti. Scarsino il numero di tuffi registrabil (solo 20), sebbene si possa ovviare mantenendo attiva la modalità di registrazione del tuffo, sarebbe meglio portarlo a 50. In risalita il profondimetro procede ovviamente a scalare: visto l’utilizzo specifico e le caratteristiche dell’orologio (commutazione manuale) meglio sarebbe se venisse riportata la profondità massima raggiunta nel tuffo, bloccandola in fase di risalita o facendola apparire al posto di 0.00 una volta arrivati in superficie. L’allarme di discesa troppo veloce, che si attiva oltre i 6 metri al secondo e comporta il lampeggio dell’indicatore di profondità (ma chi lo guarda scendendo?) e l’avvio di una segnalazione acustica (ma chi ci bada?), lo rimuoverei, al suo posto magari inserirei un indicatore del tempo di recupero in superficie. Sempre in ragione delle caratteristiche attuali, sarebbe opportuno poter consultare l’ora senza uscire dalla modalità di registrazione del tuffo.

Tutto sommato un buon orologio per il pescatore in apnea, che si potrebbe rendere ottimo con le modifiche suggerite, modifiche che non credo possano incidere più di tanto sul costo dell’orologio, ma lo renderebbero sicuramente più adeguato allo specifico target d’indirizzo: snorkeling e pesca in apnea.