Archivio mensile:Maggio 2015
Corpo ancestrale
Entro alla scoperta di me, di quel che in automatico sono.
Mi do per scontato, penso che tutto dipenda me, dal mio credo e volontà.
Ma son bagatelle. Con un sorriso di sufficienza il corpo passa oltre,
Non segue i percorsi della mia conoscenza: usa altri modi; sa, e non sa di sapere.
Ad esempio è sensibile al clima, in costante dialogo, è meteopatico.
Se fa freddo ci vestiamo, se fa caldo ci spogliamo: ma non c’è solo la temperatura.
Sole, pioggia, vento, nuvolo agiscon sul corpo direttamente, come fosse una pianta.
Così varia la sensibilità; tutto ci entra dai pori, tutto assorbiamo.
Un quarto d’ora di sole e siam già bell’e cotti, o due minuti di pioggia.
Passa il tempo in modo diverso «aspettando che spiova, dietro i vetri bagnati».
Il tempo che fa è parallelo al tempo che passa, il corpo lo sente.
Capelli igrometrici misurano come gli umori ci cambiano,
come siamo diversi, giù giù fino ai nervi, alla forza che distende e contrae.
Sezioni ortogonali mi tomografano millimetro dopo millimetro e non vedono nulla.
Nulla di quello che sento, di come sento mi sia vivo tutto il mio corpo.
Di come agisce e s’attiva interagendo col mondo, guidato da una cosa che la mente s’è posta.
È animale di bosco, ancor mezzo selvatico, tecnica e scienza pone in non cale.
Vive ed inspira i muschi e le gemme di pino, resine e foglie, fiori e cortecce.
Dal petto gli risale il suo odore, sudori ed afrori dopo la caccia o la corsa.
Mi stendo d’un ruscello nell’alveo, il fresco dell’acqua mi tiene compatto,
mi scivola l’acqua, mi rinfresca, mi stringe la nuca, infocate le gote.
Qui mi starei a sentirmi bosco o foresta, acqua, biscia, stambecco.
Mi rasciugan dell’acqua caldi raggi di sole e una brezza leggera passata fra i pini.
Abbiamo ancora un corpo ancestrale, sensibile in tutto a Madre Natura.
Mi fa ritornare a quand’ero senza pensieri, quando male e peccato ancor non avevamo inventato.
Altro punto a favore del nudismo: NatFest 2015
Arrivano i primi resoconti dal Festival Naturista 2015 e… non essendo noi presenti di persona, volendo comunque evidenziare i risultati di questo importante evento e ringraziare i suoi organizzatori, possiamo solo dire che è stato segnato un altro importante punto a favore del nudismo italiano, anzi almeno tre punti:
- pubblicizzato sul sito del comune di Marina di Camerota (speriamo vivamente che altri comuni italiani ne seguano l’esempio)
- collocato presso un villaggio del Touring Club Italiano, associazione che fino ad oggi non aveva mai manifestato interesse verso il nudismo, nemmeno nei villaggi vicini a zone dove il nudismo è presenza regolare e/o ufficiale; ora voci attendibili parlano di una favorevole impressione, quantitativa e qualitativa, che l’evento e le persone hanno lasciato sullo staff e sulla dirigenza TCI: che sia l’inizio di una proficua collaborazione?
- due semplici ma bellissimi resoconti sul Giornale del Cilento…
Orgogliosamente Nudi camminiamo a testa alta e mostriamo al mondo la grande valenza del nostro stile di vita!
Grazie al Sindaco di Marina di Camerota, alla Presidenza del Touring Club Italiano, allo staff del villaggio TCI di Marina di Camerota, agli organizzatori dell’evento, all’UNI Campania, al suo direttivo, al suo Presidente, a tutti coloro che hanno presenziato all’evento. Grazie.
Solarium (malga Torrione, Bagolino)
La nudità è multicolore, il corpo irraggia la sua lucentezza,
scoppia di salute, vivo e contento di vivere – senza pensarlo.
In quiete, pacato si gode il tempo che ha innanzi, senza scadenze immediate.
Le mani incrociate dietro la testa, sento espandermi come un vapore,
assorbo forme e colori, computo nomi, presenze e distanze in un tutto.
Avverto il contatto del dorso contro la roccia e poi solo la pelle che vedo.
Rispetto ad un sasso, ad un albero, a un filo d’erba, e persino a un ruscello, potrei muovermi,
attraversare il ruscello, camminare nell’erba, toccare quell’albero,
andarmi a sedere su quel sasso col bel muschio e gialli licheni.
Penso che sono in vantaggio, più forte… ma se mi muovo perdo sensibilità.
Se mi ricompatto son meno presente, concreto: ritorno ad esser quel che mi penso.
Da fermo si aprono i pori, mi entra quel vento; odori suoni colori fanno contraria.
Nel vuoto dei pori pare che tutto mi colmi… di questa porzione del tutto che vedo.
Son nudo persin dei pensieri che di solito faccio di me, che m’impacchettano.
Dal corpo non mi salgon pensieri: son fatto di quel che mi arriva e che sento.
Ogni organo un radar che capta secondo la propria natura e costituzione:
gli occhi son pieni del fragore del ruscello che scroscia, che scorre veloce discosto.
Le orecchie son piene di spazi, distanze, voci, presenze, cinguettii, aria che cambia.
Come rugiada quel che vedo si condensa in piccole gocce che m’imperlan la pelle.
Il sudore m’ha portato sin qui, ed ora mi rinfresca una brezza che passa e rasciuga.
Sento le vene gonfiarsi, un velo d’acidulo in fondo alla lingua, come di latte cagliato.
La luce mi attraversa, il tepore mi avvolge, mi vortica in testa, m’assonno.
Raggi mi perlustran la pelle, cipria dorata mi piove, dopo il bagno, dal sole.
Le parole han perso i confini, non ha più senso definir, designar che son nudo.
Non c’è nemmeno necessità di capire, che già tutto me lo dice il dintorno.
Orgogliosamente Nudi 2015: Malga Torrione
Finalmente le previsioni meteorologiche ci hanno dato supporto e con esse sono arrivate diverse registrazioni a questa terza escursione, tra le quali ben quattro nuovi amici provenienti da località non propriamente dietro l’angolo: Padova e Ferrara.
Purtroppo all’ultimo minuto un lieve infortunio ha messo fuori gioco proprio i due nuovi amici di Padova, così al ritrovo di Villa Roma ci troviamo in 16 persone: Alessandro, Angelo, Attilio, Claudio, Cristine, Daria, Emanuele, Francesca, Jacobs, Luise, Mara, Marco, Paola, Pierangelo, Stefan e Vittorio. Con noi anche Halloween, il cane di Mara, alla sua prima esperienza di montagna.
L’itinerario è breve e ce la possiamo prendere comoda, così, tra chiacchiere varie, ci mettiamo in cammino con un buon ritardo sul già tardo orario previsto, ma anche questo è parte di quell’integrazione con l’ambiente che è aspetto fondante delle nostre nude camminate: vivere con la natura, di natura, in natura e… al calmo ritmo della natura!
Data la stagione, nonostante sia già giorno pieno e il cielo si presenti in buona parte sereno, l’aria è frizzante e quasi tutti mantengono un vestiario completo, solo Emanuele è spoglio. Bastano, però, pochi minuti di cammino per indurre anche altri ad abbandonare le vesti per donare libero respiro al corpo.
Lasciata Villa Roma, punto di partenza, attraversato il torrente su un comodo ponticello di legno affacciato su di una bellissima stretta forra rocciosa, seguendo una comoda ed evidente mulattiera selciata con larghe pietre, il nutrito drappello risale in tranquillità il bosco misto che fittamente ricopre il versante sinistro orografico della Val del Caffaro. Pervenuti ad una radura erboso sottostante le rocciose pareti del Vendolaro di Bruffione, il gruppo abbandona la mulattiera e prende il piccolo e inizialmente vago sentiero di Malga Torrione.
Sempre con moderata pendenza si risale ancora nel bosco, un tratto del percorso è reso complicato da tre grossi alberi rovinati al suolo probabilmente a seguito di una slavina dell’ultimo inverno. Oltrepassato l’ostacolo in breve si perviene alla malga, piccola costruzione in pietra eretta su di un panoramico poggio erboso oggi ricoperto da alte erbe, ivi comprese delle grasse e grosse ortiche che danno filo da torcere alla piccola Luise.
Un centinaio di metri a monte della malga una bella radura in riva al torrente si presta alla lunga sosta di mezza giornata: al centro un bel prato pianeggiante, alla sinistra un piccolo campo di frana a grossi massi adamellini, a destra un’estesa placconata rocciosa inclinata quel tanto che basta a farne un comodissimo solarium. Sotto la placconata un altro piano prato si spinge a precipizio sopra l’ultimo imponente salto delle cascate del Bruffione.
Abbandonati gli zaini, si ritorna verso la malga di poco per prendere un cenno di sentiero che, prima tra alte erbe poi in un rado bosco, zigzagando permette di ridiscendere comodamente il ripido pendio che adduce alla base della detta cascata. Nuvole di acqua atomizzata ci avvolgono bagnandoci con dolcezza mentre estasiati ammiriamo lo spumeggiare dell’acqua che dopo un salto di una cinquantina di metri sbatte violentemente su di un basamento roccioso, profondamente inciso al centro dai secoli di lavorio a formare un ampio e tumultuoso laghetto. Impossibile avvicinarsi più di tanto alla base della cascata a causa dell’imponente e freddissimo spostamento d’aria dalla stessa generato, ci limitiamo ad osservala dal poggio che la fronteggia per poi ritornare velocemente verso l’alto onde poterci asciugare e riscaldare al sole.
Ritornati alla radura dove sono stati lasciati gli zaini ci apprestiamo al pranzo ma, purtroppo, l’arrivo delle tipiche nuvole che spesso in montagna si formano a cavallo del mezzogiorno, lo rende meno confortevole di quanto ci stavamo prefigurando. Ciò nonostante alcuni riescono a restare nudi sfruttando l’alternanza di ombra e sole: le membra spoglie certo velocemente tendono a raffreddarsi quando il sole si nasconde dietro le nuvole, ma meglio e più rapidamente percepiscono il calore e permettono di goderne anche quando lo stesso è poco rilevabile da chi è vestito. Questione di pensiero, di abitudine, di ricondizionamento del corpo, di averlo rieducato alla sua originaria capacità di termoregolazione.
Tra lazzi e risa anche il pranzo si compie e ci si sposta lievemente per un momento di lettura: la vicinanza con il rumoroso torrente infastidisce troppo l’ascolto, inoltre la radura si manifesta poco riparata al freddo venticello che si è nel frattempo alzato. Il nostro extraordinario lettore, Vittorio, ci intrattiene con due simpatici brani di prosa e due sue poesie che danno modo di pensare.
Discesa verso valle, tranquilla e nuda dato che, sempre come nelle belle giornate tipicamente avviene in montagna nel primo pomeriggio, il sole è tornato a farsi largo tra le nuvole. Nudi arriviamo fin quasi alla strada asfaltata, qui gli ultimi saluti e l’arrivederci alla prossima altra tranquilla uscita: quella del 7 giugno, Giornata dell’Orgoglio Nudista, che si terrà in un luogo non molto lontano da dove oggi ci troviamo, la Val di Stabio, lunga e magnifica valle che verdissima risale dalla Val Camonica fin sotto le pareti meridionali del Monte Frerone.
Domenica 17 maggio 2015, terza uscita del programma “Orgogliosamente Nudi”, Bagolino (BS), Malga Torrione e Cascata del Bruffione (relazione tecnica dell’escursione)
Divagando – La vita inizia ma dalle serrature
(A noi, al massimo, la vita ci sfiora…)
Cos’è la vita? Come conduciamo una vita? Quante volte ci siamo posti questo quesito! Io nel mio vaniloquio traggo conclusioni, le, le traccio sicure, impavide alle mie eterne riluttanze, recalcitrante in molto ma non in tutto. Ecco scrivo, come dire, per dovere di cronaca. La mia. Noi non viviamo alcuna vita in realtà. A noi al massimo la vita ci sfiora, ci annusa repentina, ci brama di odori e ci sfugge di sapori. Abbiamo una vita metallica ed io la vedo. Eccola questa affascinante serratura lucente. Ecco tutto il suo meccanismo da chiavistello, da chiave, adattabilità a tutto il metallo formato.
Questo pronunciarsi in fonie da mandata, come un ruotare continuo ed un perpetuo scatto. Lo scatto è il funzionamento della vita. Siamo tutti delle chiavi ma solo una è quella giusta, solo una ha la proprietà, la padronanza, il mestiere della riuscita. Le altre si provano a levigare maldestre, ad impertugiarsi noncuranti del prolasso da sforzo, ad adattarsi con quella smorfia da sorriso che sembra perfino azzeccato, un po’ piegato, sbieco. Ma niente non c’è TAC! E’ tutto un eterno ed incompiuto rimando. Ed allora ecco che entra in gioco la speranza, quella signora che si presenta sempre e solamente quando c’è solo puzza di bruciato, quando il ” troppo tardi” è quasi un “appena prima” e soprattutto quando la morte ti concede di giocarti l’ultima carta. Ma niente TAC! ma solo i soliti rumorini da grimaldello da inceppo, da meccanismo non lubrificato.
Cara la mia vita io ti ho comprata nuova. Ti ho fatto il servizio migliore. Ti ho spadroneggiato riuscendo ad apparirti il cardine esemplare. Ti ho comprato, installato, studiato, ti ho reso pan per focaccia e tutto l’unto di quest’ultima l’ho usato per entrare meglio in tutti i tuoi buchi (uno che io ne veda). Mi appari perfino meno meccanica tanto è la sicurezza con la quale mi penetro il tè. Non temo i tuoi rivetti, i tuoi rostri, i tuoi solchi, non pavento alcunché. Ti vivo simbiotico. Sono il perno per il TAC! ormai non più sincopato, sono la soluzione al problema dello scatto, sono la ragione della riuscita. E ne sono convinto perché ti amo mia serratura. Perché è da lì che si inizia la vita, perché è da te che la faccio finita. Ora mi inserisco stai pronta… era un po’ che non sentivi la cacofonia è? Godiamocela!
Forza! Con tale, sincero affetto… TAC! TAC! TAC! TAC! … sfacciatamente! (quasi quarantanove).
Simone Belloni Pasquinelli
Un corpo che sboccia
La vita che ho dentro! Che nemmeno la sento. Mi svuota e rimpiena.
M’affoga, mi fa respirare. Il corpo non è solo un’interfaccia meccanica.
Attira e converge su ogni cellula l’ardore in cui è immerso.
Quando passeggio nudo al vigneto mi sento dissolvere, svaporare
e di altro – di erba, di sole, di spazio – mi ricompongo.
Respiro luce, tepore e freschino, odori distinti e purezza dell’aria.
È un modo dell’essere, son tutto una branchia, mi clorofillo.
La cupola della mia mente è azzurra come il cielo che vedo,
verde come una foglia, per questo è ancora goloso un cavallo dei tralci di vite.
Nei prati stan falciando i maggenghi, le froge briache d’odori.
Ci passo attraverso, ma il movimento è solo apparente:
tutto rimane anche nel passo seguente, passato quell’attimo.
Scoppierei se mi entrasse quel tutto, non sminuzziato in attimi e passi.
Un volto femminile si china sul mio: «Non ci posso credere!» lei dice e io penso.
Mi mancava questa presa che mi serra al reale, che mi compatta col vivere.
Mi chiama per nome e cognome come fosse una grande occasione, ufficiale.
Pelle con pelle, la punta di un dito mi percorre lo sterno, mi dice son qui.
Un timbro mi entra, una voce che parla, s’assona al mio battito.
Una corrente avvolge in alone il mio cuore, una nube con piccoli lampi.
Lo pungono, accelera i battiti come temesse, sorpreso dall’emozione del nuovo.
Fa balzi di gioia, come andasse a canestro, incredulo di esser nel bene.
Ma è già accaduto, sta accadendo: quel dito era una lama che mi apriva:
mi par di sentire l’unghia che taglia, il polpastrello che medica.
Il corpo non fa da ponte: è un luogo da dove osservare al di là.
È uno stelo che fa parte del fiore: stami e stimmi per dare e ricevere.
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