Già e anche in Europa / Italia le cose non erano tanto diverse e non sono andate tanto diversamente. Peccato che in nome di un “diritto a non essere messi in difficoltà” si sia perso il diritto alla naturalità! Sempre più facile e comodo aggirare i problemi che risolverli! Sempre più facile e comodo giustificare […]
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Articoli storici.
Naturismo: storia completa alias quello che pochi dicono (e sanno)
Da sempre ne parlo, purtroppo inascoltato persino dagli amici più vicini, finanche da coloro che partecipano alle mie attività di VivAlpe. Però sapevo esserci in giro almeno un documento che potesse dare sostegno alla mia idea, del resto mica nata per caso ma leggendo, ma non lo trovavo.
Ora l’ho trovato: è l’articolo sul blog di una persona che da tempo conosco ma con la quale, dopo la mia cacciata da Facebook, avevo perso i contatti: Nico Valerio, scrittore e voce estremamente competente nel settore, vedi la sua biografia su Wikipedia.
L’articolo è lungo, la parte che riguarda espressamente il mio discorso è l’ultimo terzo (da –QUANTI FINTI “NATURISTI”, IN REALTÀ SOLO NUDISTI !– in avanti), ma consiglio vivamente di leggere anche i primi due terzi che vi daranno la conoscenza completa sul vero Naturismo, quello storico e antico, ben diverso da quello attualmente pubblicizzato e venduto. Ci troverete i motivi etimologico-culturali per i quali da sempre preferisco definirmi nudista invece che naturista (quelli socio-comunicativi se mi avete letto con attenzione dovreste conoscerli ormai bene, altrimenti vedete qui).
Scritto nel 2008 nella parte relativa al naturismo come oggi inteso (l’ultimo terzo) ci sono affermazioni su situazioni che invero sono nel frattempo in parte cambiate (alcune in meglio), ma questo nulla toglie alla qualità del testo.
Nico Valerio "NATURISMO. Storia del movimento che ha inventato la vita sana e la Natura."
A come… Alpinismo!
Eccovi un altro mio vecchio articolo sull’Alpinismo. Un passo verso la fine andrebbe parzialmente rivisto, ma preferisco lasciarlo così come l’avevo scritto allora: 1988.
A come… Alpinismo
Colle del Gigante (Monte Bianco), anno 1978, il naturalista ginevrino Horace-Bénédict de Saussure scrive: <<Queste cime hanno voluto cercare di lasciare in noi un senso di rimpianto, abbiamo avuto una sera semplicemente stupenda: tutte le vette che ci circondano e la neve che le separa erano colorate delle più belle sfumature del rosa e del porpora, l’orizzonte verso l’Italia era limitato da una enorme cintura rossa dalla quale la luna piena è sorta con la maestà di una regina. L’anima si eleva, l’orizzonte dello spirito sembra allargarsi, e, in mezzo a questo maestoso silenzio, sembra di sentire la voce della Natura, di diventare i confidenti dei suoi più riposti segreti>>.
I motivi che inducono l’illustre professore a salire sull’alpe sono, come lui stesso afferma, esclusivamente scientifici, tuttavia non gli è possibile restare indifferente d’innanzi a simili paesaggi e le sue parole sfuggono alla ristrettezza del linguaggio scientifico per allargarsi in quello letterario. Di conseguenza le sue relazioni, pubblicate in gran parte dell’Europa, non possono passare inosservate, tanto più che, leggendole, ci si sente coinvolti e sembra di provare le stesse intense emozioni in esse descritte.
Oltre alla conoscenza delle Alpi, si diffonde anche la passione per la montagna, anche se per molti anni ancora l’unica motivazione che possa giustificare un’ascensione d’alta montagna è quella scientifica: <<Per chi non è spinto da motivi scientifici è pura follia affrontare le sofferenze e i pericoli di un’ascensione ben al di sopra della linea del gelo eterno>> (H. D. Inglis, 1833). Nel frattempo, però, avviene un importante mutamento ideologico: decade la fede assoluta nella ragione, incrinata dal suo stesso estremismo materialistico, e subentra l’esaltazione del sentimento.
La decadenza del razionalismo e la diffusione dell’ideale romantico portano ad un cambiamento del modo di concepire l’andar per monti e, grazie anche al superamento di molti preconcetti avvenuto a seguito dell’attività svolta dagli Illuministi, si diffonde un diverso atteggiamento mentale: <<Il silenzio di questi luoghi dove nulla vive, dove non può arrivare il chiasso del mondo abitato, contribuisce a rendere le meditazioni più profonde, a dar loro quella tinta cupa, quel carattere sublime che esse acquistano quando l’anima plana sull’abisso del tempo>> (R. de Carbonnieres). È la nascita d’una nuova e ben individuata attività.
Molto probabilmente è a questo punto che viene coniata la parola Alpinismo, la cui formazione avviene partendo dalla parola alpino, dal latino Alpinus “della montagna, che si riferisce alla montagna”, e aggiungendovi il suffisso –ismo, indicante un movimento, un’ideologia, un atteggiamento o una disposizione dell’animo.
Al momento la nuova disciplina è praticata quasi esclusivamente da scienziati e filosofi, ossia dai principali artefici del Romanticismo. Pertanto l’Alpinismo viene inevitabilmente concepito come particolare disposizione dell’animo volta alla ricerca dell’intimo colloquio con la natura alpina, con la montagna. Presto, però, la pratica alpinistica acquista una discreta notorietà e, pur restando nell’ambito di un ristretto ceto sociale, si diffonde anche al di fuori del contesto culturale, acquistando un significato meno idealistico: svago, divertimento, interessante e… snobistica attività.
A seguito del nuovo atteggiamento la montagna non è più “il fine” ma soltanto un mezzo che consente il raggiungimento del massimo piacere personale. L’alpinismo, di conseguenza, inizia a differenziarsi in più livelli tecnico-concettuali: c’è che si accontenta di girovagare per valli e convalli, chi sale fino ai ghiacciai, e chi si spinge fin sulle più alte vette; c’è chi si limita a ripercorrere quanto da altri già fatto e chi, invece, si dedica esclusivamente all’esplorazione di nuove zone e ala salita dei monti ancora inviolati.
Presto tutte le principali cime delle Alpi sono raggiunte, mentre il numero degli alpinisti è in continuo aumento. La ricerca di nuove mete conduce alla considerazione delle cime minori, delle creste secondarie, delle pareti, nel cui superamento s’incontrano pericoli e si sopportano sacrifici sempre più gravosi e numerosi. In poco tempo si forma e si diffonde l’idea della “lotta con l’alpe”: <<Trasferite la vostra febbre nelle Alpi, voi che avete lo spirito ammalato; salite, torturate le vostre membra, lottate fra le vette, gustate il pericolo, il sudore, trovate il riposo; imparate a scoprire senza amarezza che la fatica feroce è una presa di contatto con la più splendida delle visioni e che il riposo è la più bella delle ricompense. Volete sapere che cosa significa sperare e avere tutte le speranze a portata di mano? Affrontate le rocce là dove il pendio è tale che ogni passo dimostri quello che siete e quello che potete diventare>> (G. Meredith); <<Io credetti e credo la lotta coll’Alpi utile come il lavoro, nobile come un arte, bella come una fede>> (G. Rey).
Da questo momento l’alpinismo è e dev’essere conquista, pertanto la sua esemplificazione pratica è data solo è soltanto dalla scalata: <<Il vero alpinista è l’uomo che tenta nuove ascensioni>> (A. F. Mummery).
L’uso, per universale diffusione, e l’abuso, per ovvi interessi personali e commerciali, del tropo[1] “alpinismo uguale arrampicata”, fanno si che anche dopo la decadenza dell’idea di “lotta con l’alpe” e, quindi, dell’alpinismo di conquista, esso (il tropo) si possa mantenere invariato, perpetuandosi fino ai nostri giorni. Oggi, però, s’arrampica per ogni dove: sui sassi d’una cava, sulle scogliere marine, sui muri delle case, su strutture artificiali appositamente create. L’arrampicata non è più soltanto sport alpino, ma può anche essere fine a sé stessa (l’arrampicata per l’arrampicata), indipendente in luogo come in forma (con la stessa visione si può arrampicare anche sulle montagne), l’una, quindi, non è più sinonimo dell’altro, indissolubilmente legato alla montagna: nasce l’esigenza di rivedere il concetto di Alpinismo.
Ancora non si è sopravvenuti a una soluzione univoca e convivono, più o meno pacificamente, diverse opinioni. È però possibile individuare una corrente di pensiero che, seppur ancora debole, potrebbe risultare risolutiva: quella filosofica. Infatti se le limitazioni oggettive (tipo di attività, livello delle difficoltà, parametri morfologici o altimetrici, eccetera) sono tutte decisamente opinabili, il carattere soggettivo (rapporto mentale) è, al contrario, inopinabile: se l’ente alpinismo è diveniente e mutevole, l’idea Alpinismo è immutabile ed eterna.
Ecco quindi che l’Alpinismo non può essere inteso come un determinato modo di “andare in montagna”, ma dev’essere inteso come un particolare modo di “pensare” la montagna: l’Alpinismo è e dev’essere passione, rispetto e comunione con la montagna; l’Alpinismo è… vivere con la Montagna, per la Montagna, dentro la Montagna; ogni altra specificazione appare superflua.
<<Un uomo può amare la scalata ed infischiarsene dei paesaggi di montagna; può essere appassionato per le bellezze della natura ed odiare la scalata; ma può anche provare in egual misura entrambi i sentimenti. Si può senz’altro presumere che coloro i quali più si sentono attirati dalle montagne, e con maggior costanza tornano ai loro splendori, sono proprio quelli che in gran misura fruiscono di queste due fonti di godimento e possono abbinare la fantasia e la gioia d’uno sport magnifico, con l’indefinibile diletto che deriva dall’incanto delle forme, dalle tonalità, dal colore delle imponenti catene montuose>> (A. F. Mummery).
P.S.
Chi è l’alpinista? Alpinista è colui che intende l’Alpinismo come spazio, non come dimensione.
[1] Termine tecnico della retorica indicante un trasferimento semantico, un’estensione del significato di una parola.
2013… a big project for me!
Hello 2013, you brought me a big, big idea: writing a history of nudism (and naturism) in the world!
It is a big project and I need of many documents from any world states, but it is a work very hard and difficult. So I ask to my followers, readers and contacts to send me everything is usefull: link, documents, bibliography, articles, etcetera.
I mentioning in my final work all those who help me.
Thanks!
Salve 2013, mi hai portato una grande, grande idea: scrivere la storia mondiale del nudismo (e naturismo)!
E’ un grande progetto a mi servirà molta documentazione da ogni stato del mondo, è chiaramente un lavoro duro e difficile. Così chiedo a tutti coloro che mi seguono, mi leggono e che sono in contatto con me di inviarmi qualsiasi cosa ritengano possa tornarmi utile: link, docuemnti, biblografia, articoli, ecceetra.
Menzionerò nel mio lavoro finale tutti coloro che mi avranno aiutato.
Grazie!
Marina di Camerota: la Delibera
Pubblichiamo la Delibera che autorizza la pratica nudista sulla spiaggia del Troncone a Marina di Camerota. Purtroppo non è più possibile accedere all’originale sul sito di detto Comune, quindi inseriamo qui le immagini ottenute da scansione.
Vogliamo far notare che sia questa Delibera che l’Ordinanza del Comune di Jesolo sono nella prima parte sostanzialmente identiche alla Delibera del Comune di San Vincenzo relativa al Nido dell’Aquila, infatti quest’ultima Delibera è stata documento fondamentale per arrivare a queste due nuove autorizzazioni (anche se quella di Jesolo è da considerarsi per ora solo a tempo determinato), si deve rendere merito di questo a chi ha duramente lavorato per ottenerla e sta ancora lavorando alacramente per migliorare le opportunità offerte dalla zona: Daniele Licarrotti.
Jesolo, Laguna del Mort, ecco l’Ordinanza
Finalmente è stata ufficializzata questa spiaggia nudista attraverso la pubblicazione sul sito del Comune di Jesolo dell’Ordinanza relativa.
Diversi sono i dubbi che sorgono dalla sua lettura, a partire dalla scelta di emettere un’Ordinanza anzichè, come prassi e logica vorrebbero, una Delibera, passando per l’imposizione di una limitazione temporale all’utilizzo della spiaggia, per finire con il divieto di praticare nudismo in altri luoghi del Comune di Jesolo.
Come e perchè sono diventato nudista
Si nasce nudi, ma in un mondo che, per un’infiità di motivazioni più o meno comprensibili, di massima accetta il nudo solo nei bambini molto piccoli. Però, ormai da diversi anni, nella società, per così dire, tessile si sono formati dei piccoli buchi, dei gruppi di persone che, al contrario, accettano e praticano la nudità come via di condivisione naturale dell’essere e come mezzo per abolire ogni tipo di barriera fisica e psicologica nella vita in comune. Costoro, che andiamo a definire nudisti, come sono arrivati a tale pratica? Come si sono formati nel loro pensiero che diviene quasi un credo? Difficile, molto difficile rispondere, esiste una risposta per ogni persona. Di certo il più delle volte, come documentato in questo mio autoscatto, le cose non hanno un perchè e un per come, avvengono spontaneamanete, per una somma di fattori che pian piano ci riportano alla nostra infanzia e ci fanno ricordare il piacere e la libertà della nudità, quasi ad arrivare ad affermare che … “del resto, formalmente, tutti si nasce nudisti”!
Ma ripartiamo dall’inizio e vediamo con calma, passo passo, quella che è stata, per l’appunto, la mia storia, l’evoluzione delle cose e del pensiero che mi ha portato ad abbracciare questo stile di vita, che poi, sotto sotto, è anche una filosofia!
Ormai, a cinquant’anni passati, le cose, i ricordi della mia vita sono in parte sfumati se non addirittura svaniti. Certo è che, come tutti, sono nato nudo, indi tecnicamente nudista, che ho passato, come tantissimi bebè, i primissimi anni della mia vita stando spesso nudo, che venivo senza pudore esibito nudo dai miei genitori nelle fotografie di rito e talvolta anche dal vero, che in spiaggia potevo starmene pacificamente nudo a giocare con gli altri bambini e bambine, pure loro nudi, senza problemi.
Contemporaneamente, però, data la visione sociale dei tempi (beh, invero ancora oggi molto non è cambiato) venivo cresciuto nella cultura dell’abbigliarsi, venivo educato all’abbigliarsi, così quando mi toccò l’inevitabile incollamento del costumino forse quasi manco ci badai, magari qualche pianto iniziale (già, perché mai mettersi quel coso che schiaccia pisellino e contorno e li fa sudare inutilmente), ma poi mi sono evidentemente piegato al volere dei genitori ed è iniziata la mia lunga carriera di tessile più o meno convinto.
Per almeno una decina d’anni non ritornai più col pensiero al piacere a alla naturalezza del nudo infantile, ma quando iniziai a praticare la pesca subacquea e spesso mi ritrovavo solo in riva al lago, ecco che qualcosa si fece eco in me e cominciai a cambiarmi il costume bagnato così dove mi trovavo, tanto nessuno poteva vedermi; ci furono occasioni in cui provai anche a stare nudo per prendere il sole e riposarmi dopo la pescata. Erano sempre e comunque occasioni fugaci e determinate dall’assoluta solitudine, ma comunque occasioni che iniziavano a inseminare nella mia mente, senza che me ne rendessi conto, dei dubbi sulla correttezza dell’educazione tessile o, per meglio dire, del considerare il nudo come qualcosa di sporco e da evitare assolutamente se non in limitatissimi contesti, quale la doccia nel propio bagno di casa.
Il colpo quasi di grazia arrivò quando mi iscrissi al corso di sommozzatore: primo giorno di lezione, arrivo in piscina, entro nello spogliatoio, piglio il costume dalla borsa e faccio per avviarmi ai camerini quando girandomi mi trovo davanti due uomini completamente nudi, a metà tra lo sgomento (ai tempi mai mi sarei aspettato un tale libero atteggiamento) e l’indecisione mi guardo un attimo attorno e noto che anche quasi tutti gli altri presenti si cambiano tranquillamente in pubblico. Indecisione risolta e con mia piena impensata soddisfazione posso cambiarmi senza ricorrere ai camerini o a pericolosi equilibrismi nell’asciugamano. Non parliamo poi di quando all’uscita finale a mare ci fanno cambiare nella cabina di pilotaggio, in presenza dei due piloti e a gruppi di tre (alcuni, se non ricordo male, perfino misti: donne e uomini assieme).
Ormai era fatta, m’ero abituato alla nudità pubblica, sebbene limitata alla presenza di persone del mio stesso sesso. Da questo momento iniziò la sofferenza del cambiarsi cercando di nascondersi, cominciai a notare come chi lo faceva nascosto nell’asciugamano in realtà non faceva altro che attirare l’attenzione (specie se si trattava di una donna) di molte persone, le quali stavano li a guardare nella speranza che l’asciugamano si aprisse o cadesse a terra. Ma che cavolo ci sarà poi da guardare? Non siamo fatti tutti allo stesso modo? Beh, si le donne sono diverse, ma che male c’è se ci si cambia senza patemi, sono poi pochi secondi di nudità? Queste e altre domande cominciarono a passarmi per la testa quando mi toccava di cambiarmi o quando vedevo altri che si cambiavano nascondendosi alla meglio o percorrendo centinai di metri sulla sabbia bollente per raggiungere i camerini (che poi al lago raramente, specie dove andavo io, c’erano). Solo nei mesi non estivi, grazie il non frequentare più le spiagge, il mio patire spariva: pensavo a sciare e a tante altre cose che mi tenevano distolta la mente.
Vennero gli anni dell’alpinismo e mollai la pesca, con essa sparirono anche le spiagge e i relativi pensieri “filosofici” sul cambiarsi e sull’esposizione del corpo nudo. Un giorno, però, televisioni e giornali iniziarono a parlare dei nudisti, di queste persone che predicavano il culto della nudità pubblica come rispetto di se stessi e degli altri, come superamento delle barriere psicologiche dell’abbigliamento, come ritorno alla naturalità e all’inte(g)razione con la natura. Iniziarono i discorsi tra amici, la maggior parte di questi erano di diffidenza (“ma sono degli esaltati”), di vergogna (“beh, io non lo farò mai”) o di morbosità (“che bello domenica vado in quel posto e mi lustro gli occhi”), rarissimamente, comunque, (almeno tra i mie amici) di repulsione o denuncia. Io, timido e riservato, non mi esponevo verbalmente, ma tra me e me pensavo e mi chiedevo cosa mai ci fosse di strano nel nudismo e nei nudisti, cosa ci fosse da temere o da guardare.
Passarono così un poco di anni e l’eco delle prime masse nudiste scomparve, vuoi perché il costume generale s’era un poco evoluto (nessuno più si scandalizzava per il bikini e le minigonne, sulle riviste e in televisione apparivano sempre più spesso donne quasi nude se non nude del tutto, in diverse spiagge le donne ormai potevano mettersi a seno nudo), vuoi perché si comprese che i nudisti non erano un pericolo per la società, si appartavano nelle loro spiagge piccole e isolate e non obbligavano nessuno a spogliarsi (mitico un episodio riportato dai giornali dell’epoca e che ricordo ancora nitidamente: due signore anziane che passavano nei pressi di una spiaggia, vedendo alcune donne a seno nudo chiamarono i vigili e questi risposero loro “signore mie se vi da fastidio guardate da un’altra parte”), vuoi perché i nudisti, quantomeno in Italia, si chiusero a riccio e smisero di fare proselitismo.
Con la sparizione dell’interesse mediatico sulle presenze nudiste, scomparvero le discussioni sulla questione e scomparvero nuovamente anche i miei pensieri, fatta salva l’abitudine ormai consolidata di non farsi problemi a cambiarsi senza nascondersi ed era cosa che, facendo alpinismo, capitava di frequente: nei rifugi lo spazio è quello che è e quando si è fradici per la pioggia non si può certo rimandare il cambiarsi; quando rientrati alle macchine sotto la pioggia torrenziale ci si deve cambiare completamente magari sotto un albero , una piccola tettoia o nella macchina stessa, gli altri mica si possono lasciare all’’aperto a prendere ancora freddo e acqua; e via dicendo.
Arriviamo così agli anni 2000, causa problemi fisici che già m’avevano portato a ridurre notevolmente l’attività alpinistica, devo pressoché rinunciare ad andare in montagna, ma non posso rinunciare allo sport e allora? Allora ritorno alla mia vecchia passione: l’apnea.
Con il ritorno all’acqua, si ripresenta forte e costante la questione del cambiarsi, in piscina scopro che nei corsi è ormai cosa normalissima non usare più i camerini e succede anche fuori dai corsi, addirittura mi capita di trovarmi nudo mentre entrano in spogliatoio mamme con i figli e queste manco mi notano, comprendo che ci sono abituate e qui sorgono alcune domande: ma perché le mamme seguono i figli maschi mentre i papà devono stare nello spogliatoio maschile anche se entrano con le figlie? ma alla fine perché ancora ci sono spogliatoi separati? Non sarebbe, visto che spesso ci si trova ad avere un’area vitale molto limitata, un’utile ottimizzazione degli spazi fare spogliatoi comuni?
Poco dopo riprendo a pescare e così torno a frequentare il mio vecchio amato posto di pesca (la Rocca di Manerba) e scopro che è diventato una consolidata e frequentatissima zona nudista. Ci torno più volte e ogni volta il fastidio del costume diventa sempre più forte; quando sono solo (ovvero senza amici o parenti) inizio anche a togliermelo, più che altro per cambiarmi, ma facendolo sempre più lentamente e godendomi sempre più il momento di libertà, la sensazione di non essere un oggetto ma una persona, di essere quello che sono e non quello che gli stereotipi sociali vorrebbero che io appaia. Nessuno mi guarda, nessuno bada alla mia nudità, come io non bado a quella degli altri, non faccio confronti, non faccio osservazioni.
A quel punto mancava solo l’ultimo definitivo passo: l’inserimento in una comunità nudista. Detto fatto, poche ricerche su Internet e trovo decine di siti che parlano di nudismo, alcuni riguardano le Associazioni Naturiste, uno mi colpisce in particolare per la completezza dell’esposizione e la disponibilità di un forum a lettura libera. Per qualche giorno mi limito, come netiquette comanda, a leggere i vari messaggi, poi mi registro e infine inizio a scrivere. In seguito diventerò moderatore e poi coamministratore di questo sito, conoscerò tante splendide persone, parteciperò a incontri e raduni decretando il mio definitivo e totale ingresso nel mondo del nudismo e come accade per tutti coloro che diventano nudisti, non potrò più fare a meno di stare nudo il più possibile, attaccando a questo, per mia tipica natura, l’impegno in prima persona per la diffusione dell’ideale nudista. Eccomi quindi qui a scrivere questi articoli, ad emozionarmi per le sensazioni che descrivo, ad innervosirmi per l’incomprensione verso questo meraviglio mondo che è il nudismo, ad arrabbiarmi per l’ipocrisia che invade la società odierna.
Ma questa è storia contemporanea, non ho bisogno di scriverla, partecipo a farla.
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