Archivio mensile:gennaio 2016
Aiuto per una tesi sul #turismo #naturista #nudista
Nonostante le quasi novecento visite all’articolo e i quasi duecento download del questionario, purtroppo solo una quarantina sono stati poi inviati. Ne servono almeno una cinquantina, forza compilatelo e inviatelo.
Per quelli che l’avessero fatto attraverso il link a Google Drive, come indicato non sono arrivati a destinazione, siete pregati di rifare l’invio attraverso la mail.
Per coloro che ci avessero già provato ma non fossero riusciti ad inviare la mail ho aggiunto le istruzioni su come recuperare l’indirizzo mail nascosto dietro il link.
Forza, forza.
Con immenso piacere giro a voi miei carissimi lettori la richiesta che ci ha formulato una laureanda in Scienze del Turismo all’Università di Milano Bicocca.
Fra venti giorni deve consegnare la tesi, dal titolo “Il naturismo, una tipologia di turismo poco diffusa in Italia: un confronto con la Francia” e per presentare un lavoro il più possibile completo ed esauriente ha bisogno di un importante aiuto: la compilazione di un semplice e veloce questionario sul turismo naturista.
Potete procedere in due modi, il primo sarebbe quello preferito dalla nostra amica:
- scaricate il file Word cliccando qui, compilatelo e rispeditelo attraverso questo link… Invia Questionario Naturismo (se non vi si apre la finestra per inviare la mail, posizionando il cursore sul link appare in basso a sinistra dello schermo l’indicazione in chiaro dell’indirizzo e-mail da utilizzare, oppure fate click destro sul link e utilizzate la funzione “copia link” o, a seconda del browser, “copia…
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#TappaUnica3V, copat (morto)!
Beh, proprio morto non lo sono e non lo ero nemmeno ieri sera al termine dell’allenamento, certo sono stavolta riuscito ad avvicinarmi parecchio al mio attuale limite, non tanto a quello fisiologico, che, a questo punto, appare veramente assai alto, nemmeno a quello psicologico pure lui ancora assai lontano, ma a quello di resistenza muscolare si, almeno con riferimento ai muscoli principalmente coinvolti dal cammino in salita, quadricipiti innanzitutto.
Partiamo dall’inizio.
C’è un lungo tratto del 3V che proprio non conosco e che, insieme ad altre due più corte tratte che lo costellano, l’una a sud, l’altra a nord, ancora non ho visionato. È un tratto basso pertanto adatto ad essere percorso in questo periodo e mi piacerebbe poterlo chiudere completamente, cioè partire da Brescia e arrivare fino in vetta all’Almana, ma i calcoli con le tabelle di marcia mi inducono a ridimensionare i miei propositi, anche perché intendo testarmi a fondo con tempi di cammino pari alla metà di quelli tabellati dal libricino del 3V: andrò avanti fino a quando riterrò opportuno girarmi e tornare indietro, in ogni caso limite massimo per l’inversione di marcia il mezzogiorno.
Domenica 24 gennaio ore sei e cinquanta, ancora col buio inizio il mio cammino. Per qualche minuto sono ancora all’interno del nucleo cittadino e usufruisco di una seppur parca illuminazione, poi entro nel bosco e il nero m’avvolge. Per un poco procedo al buio poi, visto che me la sono portata e già l’ho indossata, accendo la lampada frontale: l’ho comprata un paio di mesi addietro e ancora non l’ho sperimentata, subito si dimostra all’altezza delle sue note pubblicitarie, ottimo. Avvicinandomi ad una casa dispersa in mezzo al monte spengo la frontale per non disturbare o spaventare chi ci abita, al suo cancello un cane si mette ad abbaiare senza sosta, la stradina termina e mi slancio senza sosta su per il sentiero che risale il ripido pendio erboso a fianco della casa. Come dicevo in un mio recente articolo mi ha sempre spaventato l’idea di trovarmi solo nella notte in mezzo alla montagna, ora ci sono e mi metto alla prova: senza accendere la frontale mi addentro nel bosco scoprendo che evidentemente la vecchiaia mi ha fatto superare i miei timori, noto anche che i segni del 3V nel buio risultano visibilissimi, cosa che mi tornerà certo assai preziosa durante gli allenamenti primaverili e il giro finale. Alle sette e dodici sono alla prima cima del lungo percorso, il Monte Picastello, ci ho messo ventidue minuti contro i venti che avevo programmato e i quaranta della tabella standard: partenza perfetta, fin dove reggerò?
Accelerando leggermente scendo verso i Campiani. Dopo un lungo tratto di strada asfaltata, sono al punto dove dovrebbe esserci il sentiero che sale al Monte Peso e invece… invece niente, solo un recinto. Le tabelle segnaletiche del 3V risolvono il dubbio e in breve, perdendo una cinquantina di metri di quota, eccomi all’imbocco del sentiero. La traccia prima sale con moderata pendenza poi si fa assai ripida e profondamente scavata dal passaggio di biciclette. Non ho niente contro coloro che amano la discesa in bicicletta dai sentieri di montagna, però dove passano loro poi gli escursionisti fanno molta più fatica, senza contare del pericolo di uno scontro: l’anno scorso solo per pochi secondi un ciclista non mi ha investito, se fosse successo le conseguenze sarebbero state decisamente tragiche per ambedue. Assorto in queste mie considerazioni arrivo sulla vetta del Monte Peso, seconda cima del percorso, ci ho messo trentadue minuti, oops, ma la mia tabella ne prevedeva quindici e quella standard trenta, che è successo? Mi sono fermato per mettere via la frontale, ho perso alcuni minuti al bivio per trovare la direzione, il nuovo percorso allunga il vecchio, ma in ogni caso il ritardo mi sembra eccessivo, boh!
Bando alle preoccupazioni e… avanti. Imbocco il sentierino che scende sul versante opposto, dopo una breve discesa inizia un lungo diagonale, sotto si vedono i campi e il grande complesso del monastero di Santo Stefano, più a destra le case della Stocchetta e più in lontananza quelle di Concesio: uhm, ma dove sta andando? Complice l’assenza di segnaletica mi sorge il dubbio d’aver saltato una deviazione, avanti vedo un tornante che mi fa comunque pensare a un ritorno verso la giusta direzione e allora procedo, dopo qualche minuto, però, il sentiero picchia deciso verso valle. Mi fermo e con attenzione mi guardo attorno alla ricerca di un pur vago segno del 3V, niente, zero al quoto. Risalgo alla ricerca di un segno che finalmente trovo, stintissimo e visibile solo in salita, a metà del diagonale subito sotto la vetta del Peso. Accertato che si tratta del giusto sentiero riparto in discesa aumentando la velocità per recuperare il tempo perso: ancora una volta si evidenzia quanto questo bellissimo sentiero avrebbe bisogno di una bella cura di restauro, sono sempre più deciso a prendermene cura personalmente, coinvolgendo gli amici che seguono il mio blog Mondo Nudo.
I problemi, purtroppo non sono finiti: oltrepassato il cippo UOEI ancora svanisce la segnaletica, avevo notato una debole traccia di sentiero che, poco dopo il cippo, si diramava sulla sinistra, vuoi vedere che si andava di là! Risalendo noto qualcosa di azzurro all’interno di una macchia di rovi, mi fermo e osservo con attenzione, si è proprio un cartello segnaletico, anzi, un’intera palina. Spinandomi le gambe la raggiungo e posso leggerne le indicazioni comprendendo che la palina indica una deviazione prossima al cippo UOEI, la deviazione che avevo intravisto. Chi ha mai rimosso le palina per nasconderla nei rovi a debita distanza dalla sua posizione originale e perché? Queste cose mi infastidiscono alquanto, mi risultano incomprensibili, oltre al restauro del sentiero ci sarebbe proprio bisogno di fare una bella campagna per educare al rispetto di oggetti che talvolta possono anche fare la differenza tra la vita e la morte. Meditando su queste ed altre cose (quanto è bello il cammino solitario: nessuna distrazione, puoi immergerti totalmente e lungamente nei tuoi pensieri) eccomi al Santuario della Stella di Gussago, sono molti anni che non passo da queste parti, un posto che evoca in me tanti ricordi. Rimembrandoli scendo la scalinata che riporta sulla strada asfaltata da seguire fino al Passo della Forcella dove arrivo in trentasei minuti dal Monte Peso: la mia tabella ne prevedeva venti, la tabella standard quaranta, considerando il tempo perso nei due tratti di ricerca del sentiero e la (sic!) sparizione della mulattiera che, dopo la Stella, tagliava via un bel pezzo di strada asfaltata, i sedici minuti di ritardo sono comunque comprensibili.
Breve sosta per annotare il tempo di marcia e messaggiare a casa, poi via di nuovo. Dovrei prendere la stradina cementata dall’altro lato della stretta forcella ma… chiusa, un cancello la chiude totalmente senza lasciare il minimo varco, è evidente che non si passa più da qua, ma da dove? Si ripete una storia che sta diventando un po’ troppo assidua e triste: la segnaletica scompare dove più serve. Conoscendo bene la zona ritengo inutile provare a spostarmi sul lato triumplino e scendo invece lungo la strada asfaltata che porta a Gussago, finalmente dopo un centinaio di metri intravvedo in lontananza qualcosa che assomiglia a un segnala bianco blu, si è lui e ce ne sono altri che indicano di scendere ancora lungo la strada, uhm, ma dove porteranno? La sotto c’è la superstrada! Se i segni dicono di scendere si deve scendere e allora giù fino a trovare un varco che esce a destra e risale la copertura della galleria in cui passa la superstrada, poi un lungo diagonale a mezza costa mi porta alla strada asfaltata dell’ex convento dei Camaldoli due tornanti sotto il percorso originale, un bel pezzo in più con un allungamento sensibile dei tempi di marcia che le tabelle, anche quelle più recenti, non prendono in considerazione: procedendo a un passo più vicino alla corsa che al cammino arrivo al Quarone di sotto in quarantasette minuti anziché trenta, la tabella standard ne prevede sessanta. In questo tratto ancora segnaletica imprecisa e due curiose tabelle indicatrici che, piazzate sulla stessa palina, riportano lo stesso identico tempo (quindici minuti) con riferimento a due località (Quarone di sotto e Quarone di sopra) che sono invece ben distanti tra loro (e non c’è modo di arrivare al secondo senza passare dal primo).
Una strada in discesa mi permette di recuperare da una fatica che sull’ultima ripidissima e scivolosa salita ha iniziato debolmente a farsi sentire. Quarone di sopra, il cielo, prima quasi sereno, inizia a coprirsi di nuvole: non vorrà andare a piovere? Va beh, come sempre sono attrezzato a dovere e non è un percorso che possa dare preoccupazione. Arrivo all’ennesimo bivio, una strada scende a sinistra e un’altra sale a destra, nuovamente la segnaletica è assente, decido per intuito di salire e dopo trecento metri un debole segnale mi dà ragione, ma se fossi stato una persona con meno intuito? È mai possibile che non si riesca a dare un’adeguata formazione a chi segnala i sentieri? Certo persone encomiabili, lo fanno gratuitamente e volontariamente, però bisogna rendersi conto che si tratta di un lavoro importante, di un’azione alla quale corrisponde la sicurezza dell’escursionista, non è possibile che in tanti anni di alpinismo debba continuamente rilevare le stesse identiche lacune: segnaletica abbonante dove nemmeno volendolo ci si potrebbe allontanare dal sentiero e poi totale assenza di segnaletica nei punti più critici! Ragionando sulla questione e meditando sul corrispondente articolo che già da tempo ho pensato di scrivere eccomi alla Sella dell’Oca e in breve ad un gruppo di case sul colmo di una montagnola. Presumo essere la vetta del Monte Magnoli, uno dei punti di riferimento per i tempi di cammino, ma in zona nulla permette di averne certezza ed ecco un’altra questione, quella delle relazioni e dei punti di riferimento che vi vengono riportati: dovrebbero essere inequivocabilmente rilevabili e invece spesso non lo sono. Segno comunque qui il mio tempo di marcia (tornato a casa scopro di aver ancora una volta intuito giusto): trenta minuti contro i venti previsti e i quaranta standard.
Ripida discesa in un fitto bosco e arrivo ad un trivio dove la segnaletica è abbondante ma riguarda altri sentieri, quella del 3V è nuovamente assente. Ci ragiono sopra alcuni minuti poi decido di provare un sentierino che, valicata una specie di cancello in legno, si mantiene in quota. Poco dopo sembra morire in uno dei tanti roccoli qui presenti (ho soprannominato questa parte del percorso il “sentiero dei roccoli”) invece riappare la segnaletica e con recuperata decisione procedo oltre passando per una grande casa dal cui terrazzo si gode una magnifica vista sulla Francia Corta: l’Uccellanda Magnoli. Continui su e giù alternano tratti di affaticamento ad altri di recupero, piccole rotonde cimotte e tratti di cresta permettono di osservare un ampio panorama (si vede anche il Monte Rosa), ordinati e verdi roccoli annessi a ville che sembrano castelli ed eccomi alla casa dei Tre Pauli, altro punto di riferimento: trentacinque minuti contro i ventidue previsti e i quarantacinque standard, sono ancora sopra la mia tabella eppure il passo è ancora ottimo e non accuso fatica, boh!
Al Pizzo Cornacchia arrivo stofegato dai gas di scarico di un trattorino che mi ha superato poco dopo l’ultima casa, da qui la visione si fa nuovamente ampia e mi concedo una breve sosta per fotografare la corona di cime innevate che mi circondano; abbassando lo sguardo ecco Ponte Zanano, Lumezzane e Sarezzo. Quest’ultimo tratto, dopo l’iniziale rallentamento per far passare il trattorino ed evitare di respirarne a fondo i gas di scarico, l’ho fatto di slancio: tredici minuti contro i quindici previsti e i trenta standard.
Rimesso a spalle lo zaino imbocco il sentiero che prosegue lungo la cresta, non bado all’assenza di segnali se non quando arrivo a un dosso con diverse antenne e delle tabelle di altri sentieri. Qui incontro un simpatico signore con cui parliamo un poco e alla fine mi riconosce per quello che era sul giornale. Ripreso il cammino individuo poco dopo la traccia corretta del 3V e in breve sono al verde stupendo prato delle case della Colmetta. Scendo ancora un poco fino alla piazza di Vesalla dove, sebbene manchino ancora quaranta minuti al mezzogiorno, decido di interrompere l’avanzata e ritornare indietro. In quest’ultimo tratto l’errore di percorso, stavolta dovuto più ad una mia distrazione che all’assenza di segnaletica, mi ha fatto allungare considerevolmente la strada e ci ho messo quaranta minuti anziché i quindici previsti, corrispondenti a trenta della tabella standard. Approfitto di un tavolo con panchine per rifocillarmi un attimo con le barrette energetiche che sto sperimentando, mando l’ennesimo messaggio a casa e poi di nuovo in marcia per ritornare a Brescia.
Velocemente (venticinque minuti contro i ventidue previsti, quarantacinque standard) e, stavolta, con la giusta strada sono sul Pizzo Cornacchia, le gambe girano ancora alla grande e il fiato tiene anche meglio. Ancora più veloce la discesa alla casa dei Tre Pauli: sette minuti contro i quindici previsti (trenta di tabella). Grandioso, sto andando alla gran… ahia, troppa fretta ad elogiarmi, nella successiva salita il muscolo della coscia destra si fa improvvisamente rigido: non è un crampo ma il cammino è fastidioso. Rallento sensibilmente il passo, assumo una pasticca energetica (oggi ne ho approfittato per sperimentare anche questa tipologia di prodotti) e pian piano recupero la piena funzionalità della gamba tanto che sulla successiva discesa posso anche accennare una corsa. Nei successivi su e giù iniziano a farsi sentire i primi secchi dolori alle gambe, la strada è ancora lunga se mi vengono i crampi qui potrebbe essere problematico rientrare al punto di partenza, meglio procedere più lentamente e affrontare le salite a passo ben cadenzato inserendo frequenti brevi pause, incrementando sensibilmente l’assunzione di acqua e iniziando una periodica assunzione di pasticche energetiche, non ho con me bustine di integratori salini, nei prossimi allenamenti dovrò testarli perché mi sto convincendo che nel giro finale sarà meglio averli dietro. Monte Magnoli, Sella dell’Oca, Quarone di sopra, Quarone di sotto, gestendo con attenzione la situazione muscolare, uno ad uno passo tutti i punti di riferimento, inserendoci, per disattenzione, anche un lungo errore di percorso (almeno quattro chilometri e un centinaio di metri di dislivello in più), i tempi si sono allungati: dalla casa dei Tre Pauli a Quarone di sotto ci ho messo sessantacinque minuti invece dei trentasette previsti, sono comunque sotto le tabelle standard (settantacinque minuti) e vicinissimo a quelle calcolate per il giro finale (sessantatré minuti).
La lunga discesa al Passo della Forcella di Gussago avviene senza problemi e mi permette anche un bel recupero delle forze muscolari tant’è che solo in prossimità dell’arrivo si ripresentano i dolori. In questo tratto, per la precisione poco prima del cippo UOEI, una graditissima sorpresa: dalla stradina sale in bicicletta Gabriele, un carissimo amico, compagno di diverse scalate e avventure, da molti anni non lo vedevo e volentieri mi fermo a scambiare due chiacchiere.
Presa la macchina rientro a casa, bella doccia calda, merendina e mi riposo, senonché ad un certo punto mi scattano forti e dolorosi crampi al quadricipite destro: tutta la fascia è un cordone alto e duro. A seguito dello scatto di reazione al crampo mi si scatena un crampo anche all’arcata del piede sinistro e di riflesso parte anche quello al quadricipite sinistro: per mezz’ora sono in preda al dolore, cerco di alleviarlo con opportune manovre di scarico e massaggi. Assumo dei sali minerali e poco dopo tutto è solo un ricordo.
Questa mattina mi sono alzato senza problemi e restano solo lievi dolori alle gambe, per il resto il fisico ha supportato il tutto alla grande. Questo allenamento è stato assai importante, mi ha aiutato a verificare diverse cose, dalla mia condizione fisica (saranno necessari ancora allenamenti di potenza) a quella psicologica (apparentemente pronta alla missione finale), dai supporti energetici (ancora da sperimentare per bene, alcuni, tipo le bustine di gel, appaiono scomodi, altri, barrette di gelatina, mi risultano troppo dolci, ottime invece le barrette proteiche e le pastiglie da sciogliere in bocca) agli integratori salini (penso che fisserò in due a cinque il rapporto tra acqua con integratori e acqua pura).
Riepilogo dati
- Lunghezza del percorso (a+r): come minimo 45km
- Dislivello totale: 2212m quello accertato
- Tempo di tabella: 10 ore e 15 minuti
- Mio tempo di effettivo cammino (comprese pause, ricerche di percorso ed errori): 7 ore e 56 minuti
- Mio tempo totale: 8 ore e 25 minuti
- Tempo delle tre soste: 29 minuti
- Acqua bevuta: 75 cl
- Cibo assunto: 2 barrette proteiche
- Supporti energetici: 2 barrette, 1 bustina di gel e sei pastiglie
#TappaUnica3V, periodo di mantenimento
A causa d’una serie di problematiche lavorative e del brutto tempo, gennaio parte con una forzata riduzione delle uscite di allenamento.
Mercoledì 6 gennaio
Da alcuni giorni ho programmato un giro discretamente tosto, ma, per varie ragioni, ancora non l’ho realizzato. Oggi potrei partire ma sono indeciso: domani sarebbe il nostro, mio e di mia moglie, anniversario di matrimonio e lo festeggeremo questa sera, mi dispiace lasciare Maria sola a casa. Alla fine mi decido e parto: il giro è di nove ore e, anche se la parte del ritorno non la conosco, teoricamente, dovrei poterlo fare in cinque e mezza, quindi essere di rientro per il primissimo pomeriggio.
Partenza dalla Chiesetta di San Rocco a Nave, velocemente attraverso la frazione di Dernago e sono all’inizio della stradina sterrata che mi porterà fino a Sant’Antonio. L’intenzione iniziale era quella di testare i tempi di marcia, ma stante la situazione contingente decido, dopo un avvio lento, di forzare il passo arrivando al Santuario di Conche in metà del tempo tabellato. La neve ricopre completamente il terreno ma il cammino è comunque agevole, solo il tempo di mandare un messaggio a casa e poi riparto in direzione dell’Eremo di San Giorgio. Dovrei ora procedere tagliando le pendici del Monte Doppo per poi scendere al Passo del Cavallo e da questo ritornare a Nave passando da Boiatica,, Caino e Sant’Antonio, ma decido di fermarmi e rientrare per la stessa strada di salita in modo da pranzare insieme a mia moglie. Visto l’accorciamento del percorso ne approfitto per testare a fondo gambe e fisico: poco sotto l’eremo inizio a correre, corro anche sui tratti di salita, mi rimetto al passo quando inizia la salita verso Conche, poi di nuovo di corsa e, lasciandomi anche portare dalla pendenza, la mantengo a lungo. Supero alcune persone e uno di loro mi si accoda, scendiamo piuttosto velocemente superando a saltoni i vari tratti scabrosi del sentiero. Poco prima di Ca della Rovere devo rimettermi al passo, seppure sempre molto veloce.
Mezzogiorno e mezzo, sono a casa, con tutto il tempo per prepararmi con calma alla cena che ci siamo concessi in un agriturismo di zona.
Dislivello totale superiore ai 1000 metri, 14 chilometri (lineari), 3 ore.
Domenica 10 gennaio
Ieri mi sono comprato una giacca tecnica da pioggia, di quelle specifiche per la corsa, e , visto che pioveva, per oggi ho programmato la sua sperimentazione. Ma il tempo fa lo spiritoso e… non piove, la sperimento come giacca antivento.
Giro breve, solo cinque ore da tabella, e tranquillo, dislivello contenuto, sui monti che attorniano l’abitato di Vallio Terme. Dopo due ore sono alla macchina.
Dislivello totale di circa 350 metri, almeno 12 chilometri lineari, 2 ore e 15 minuti il mio tempo di effettuazione.
Domenica 17 gennaio
Per oggi ho programmato il recupero del giro che avevo interrotto la settimana scorsa: partenza da Caino, salita all’Eremo di San Giorgio per il sentiero 383, discesa al Passo del Cavallo per il 3V e da qui sentiero 381 a Boatica per poi scendere a Caino lungo il sentiero 386. Con mia moglie ho concordato di farlo nel pomeriggio, la mattina la dedico a completare la registrazione delle spese e degli incassi, lavoro che, come al solito, mi rimane in sospeso a lungo impegnandomi poi diverse ore. Alla fine sono particolarmente depresso: come temevo l’importante decremento retributivo legato al cambio contrattuale, da collaboratore in partita IVA a dipendente, che mi hanno imposto a scuola sta facendo sentire il suo infausto effetto sul mio conto corrente e le previsioni sono piuttosto scure.
Dopo alcuni ripensamenti decido di partire nella speranza che l’impegno del cammino mi distolga la mente dalle questioni economiche. Poco dopo l’una sono a Caino e, velocissimo, m’avvio sulla strada dell’Eremo. Una incompleta segnalazione al bivio mi fa sbagliare sentiero e mi trovo a risalire per 384: va beh, alla fine porta allo stesso punto anche se sovrapponendosi alla fine al 3V. Però, sfruttando una traccia che sembra salire verso il crinale percorso dal sentiero 383, con intuito e superando una ripida salita riesco a recuperare il percorso previsto arrivando all’Eremo dal lato programmato senza ripercorrere due volte lo stesso tratto di 3V.
Senza indugio procedo verso il crinale settentrionale del Monte Doppo e per questo di corsa, unico modo per superare senza problemi alcuni tratti ricoperti da scivolosissime foglie secche, mi lancio nella ripida discesa verso il Passo del Cavallo dove arrivo esattamente nella metà del tempo previsto dalle normali tabelle di marcia.
Messaggino a casa e poi in marcia per il rientro. Per breve tratto devo ripercorrere la strada appena fatta poi… poi iniziano i problemi: la cartina riporta ben tre sentieri 381, ma in zona ne trovo solo due, quale sarà quello giusto? Studio con attenzione la carta e alla fine comprendo l’arcano e risolvo i dubbi, si riparte con decisione, ehm, decisione, poco dopo, nell’assenza di ogni segnaletica, mi trovo nuovamente nell’incertezza e finisce che perdo almeno quindici minuti alla ricerca del presunto giusto tracciato. Infilata ad intuito una mulattiera procedo con discreta decisione. Ritrovati i segni bianco rossi ho certezza d’essere sulla strada corretta e, favorito dal percorso pressoché pianeggiante, do nuovo slancio al passo: in breve sono a Boatica e sul filo del lungo crinale che dal Colle di Sant’Eusebio arriva fino a Conche passando per il Monte Doppo e l’Eremo di San Giorgio. Di nuovo la segnaletica si fa carente, ci sono solo le indicazioni del 381, ma io qui dovrei prendere il 386. Una evidente traccia scende in una vallone in fondo al quale si vedono le case di Caino, sarà questa la mia strada? Mi sposto lungo il crinale per verificare se ci sono altri bivi, prima da una parte poi dall’altra, nulla. Consultata nuovamente la carta, vista anche l’evidente segnaletica gialla di una qualche marcia o corsa, decido che quel sentiero nel vallone è il mio. Dopo una decina di minuti appare il primo segno bianco rosso che mi dà conferma che ancora una volta il mio intuito ha funzionato come si deve. Bon, procedendo ora con più decisione seguo l’evidente traccia che solo in prossimità del paese torna a farsi esile, invero se avessi seguito i segni gialli sarebbe rimasta evidente, ma questi parevano scendere decisi verso il fondo valle mentre io devo tenermi alto per andare al parcheggio. Recuperati i segni gialli, sovrapposti nuovamente ai bianco rossi, un lungo e bel traverso mi riporta nella valle di San Giorgio e in poco alla macchina.
Dopo un primo salto di 725 metri, breve discesa e successiva ripidissima salita di 130 metri, qui discesa per 366 metri, poi 130 metri di dislivello distribuiti in pochi ripidi tratti di salita e un lunghissimo diagonale pianeggiante, infine discesa continua per 444 metri. In totale un dislivello positivo di 985 metri, con una lunghezza lineare di circa 9 chilometri. Tempo di tabella ore 4:35, tempo previsto ore 3:31, tempo effettivo ora 2:24 (compresi i tempi persi per la ricerca del sentiero).
#TappaUnica3V, io e la notte
C’è un aspetto di TappaUnica3V che ho volutamente inserito: la notte.
Avrei potuto comunque fare il giro in quaranta ore senza metterci la notte, avrei potuto camminare 20 ore al giorno lasciando le otto ore della notte al riposo, ma no, non l’ho fatto, perché?
Come istruttore di alpinismo e direttore di corsi e scuole, ho insegnato che la notte in montagna non è il diavolo che alcuni ipotizzano, ho fatto sperimentare il cammino notturno e anche il dormire sotto le stelle; come alpinista ho fatto diversi rientri in notturna e parecchie volte ho dormito all’aperto, ma sempre ero con altre persone.
La notte in montagna, da solo, è sempre stata per me una forte paura: potevo fare in solitaria anche delle impegnative scalate, potevo girare da solo per i monti anche più selvaggi e solitari, potevo affrontare anche le ore dell’aurora o del crepuscolo, potevo girovagare al buio nei pressi di un rifugio o a un campo, ma il pensiero di trovarmi assolutamente solo nella notte più fonda mi terrorizzava.
Una delle mie caratteristiche è sempre stata quella di voler combattere contro le mie paure, di voler rimuovere i miei condizionamenti, beh, la paura e il condizionamento della notte non li ho mai rimossi, non ho mai avuto occasione di farlo e allora… allora eccomi qui, ecco che ho deciso di farlo ora, di farlo con TappaUnica3V.
Acqua Fonte Alpina Maniva @acquamaniva
Per molti anni ho bevuto acqua minerale senza preoccuparmi minimamente di quale acqua stessi bevendo e delle sue specifiche caratteristiche, poi sono incappato in un articolo che parlava dei vari tipi di acque, delle loro diverse proprietà e dei relativi utilizzi. Imparai il significato preciso di “residuo fisso” e la differenza tra minerale, oligominerale e scarsamente mineralizzata, vi si diceva anche che una persona sana abbisognava di acqua minerale, mentre quella oligominerale, ieri come oggi venduta come quella più indicata per la stragrande maggioranza della popolazione, era al contrario adatta, al pari di quelle scarsamente mineralizzate, ad alcuni specifici gruppi di persone. Iniziai a comprare solo acqua minerale, prima quella frizzante, per poi passare ad acque molto meno gassate fino ad approdare a quelle naturalmente frizzanti.
Qualche anno fa, attraverso Facebook, inizia a seguirmi una persona che era stata incuriosita dai miei post sull’escursionismo e dal modo con cui lo praticavo e lo proponevo. Per molto tempo parlammo più che altro delle mie escursioni in montagna, lei rilanciava spesso i miei post e attraverso questo il mio nome e la mia attività sono arrivati a conoscenza di persone che altrimenti ben difficilmente sarei riuscito a raggiungere. Man mano che la conoscenza virtuale si affinava notavo delle assonanze con chi, su Twitter, gestiva la comunicazione sociale di un’azienda d’acqua minerale: la Fonte Alpina Maniva. Data la mia timidezza per un po’ mi sono tenuto il dubbio, poi alcune coincidenze mi hanno dato la quasi certezza della cosa e allora ho chiesto conferma. Si era proprio così: erano la stessa persona.
Nel frattempo l’amicizia era diventata sempre più salda e con essa era cresciuta la reciproca ammirazione. Quando pubblicai, per l’ennesima volta, sui social network l’avviso del Raduno Nazionale de iNudisti mi è stato suggerito di provare a chiedere a Fonte Maniva se potevano fornirci almeno una parte dell’acqua necessaria. Per la mia già detta timidezza lo feci solo al successivo raduno e non solo ottenni una risposta affermativa ma venne accettata la nostra richiesta per una fornitura che copriva per intero il nostro fabbisogno. Al raduno provai così quest’acqua, sia nella formulazione naturale che in quella frizzante. Abituato al sapore deciso dell’acqua minerale che bevevo quotidianamente mi aspettavo la spiacevole sensazione che avevo occasionalmente già sperimentato bevendo delle acque oligominerali e invece… invece no: il sapore era certamente molto meno nitido ma senza diventare insipido e la trovai piacevole da bere, di più riuscivo a bere perfino quella naturale, tipo d’acqua che avevo sempre schifato. Da quel momento l’Acqua Maniva diventa la mia (e quella di mia moglie) acqua quotidiana, sebbene alternandola ancora con l’acqua minerale che utilizzavo.
Man mano che aumentavano i giorni di utilizzo la mia preferenza si spostava spontaneamente sull’Acqua Maniva e mi divenne sempre più difficile (e sgradevole) bere l’altra acqua di prima finché smisi di comprarla e berla. L’utilizzo esclusivo, costante e prolungato dell’Acqua Maniva mi ha fatto comprendere e apprezzare due delle qualità di quest’acqua: la sua confortevolissima leggerezza e la conseguente alta digeribilità. A quel punto già da tempo quest’acqua era diventata la mia fonte di reidratazione anche durante le mie attività sportive: immersione in apnea e l’escursionismo alpino, in tale contesto ne ho ulteriormente apprezzato le sue caratteristiche: sebbene io, da alpinista della vecchia guardia, quando si diceva che bere durante lo sforzo era deleterio, sia tutt’ora abituato a bere molto poco senza subirne negative conseguenze, con Acqua Maniva alla bisogna posso bere anche in grande quantità senza appesantire lo stomaco (come mi capitava con le precedenti acque).
Utilizzando rarissimamente gli integratori, ancora non ho avuto modo di provarla come base per discioglierveli, forse lo farò nei prossimi mesi e nel caso aggiornerò questo articolo, per ora posso solo supporre che, data la sua limitata salinità, sia probabilmente molto adatta a tale scopo.
Un episodio specifico mi ha definitivamente convinto della scelta fatta. Tre anni fa, durante un soggiorno in tenda in quel di Val Dorizzo, stavo preparando lo zaino per una lunga e impegnativa escursione, avendo casualmente con me delle bustine di un noto integratore ne ho sciolta una nell’acqua presa da una fontanella pubblica, orbene a un terzo dell’escursione le mie gambe non volevano più saperne di andare avanti e sentivo un senso di spossatezza generale che le soste, sempre più frequenti e lunghe, non risolvevano, così come risultava del tutto inutile bere l’acqua in cui avevo sciolto gli integratori, anzi, più la bevevo e più la mia condizione peggiorava. Dal momento che avevo nello zaino una bottiglia di Acqua Maniva ha quel punto, collegato il mio strano affaticamento all’acqua che bevevo, mi sono detto proviamo a cambiare beveraggio. Orbene, il semplice cambio d’acqua ha velocemente risolto la situazione: nel giro di una mezz’ora ero completamente rinato ed ho potuto agevolmente completare l’escursione. Da annotare che il cambio d’acqua è stato fatto nel bel mezzo del tratto più impegnativo del percorso e che in quella mezz’ora non sono stato fermo a riposare ma ho continuato a camminare, inizialmente lentamente e con frequenti pause, poi sempre più spedito e senza interruzioni.
Ero convinto che l’acqua oligominerale non fosse, di per se stessa, la scelta migliore per l’utilizzo quotidiano di una persona perfettamente sana e, per di più, molto attiva a livello sportivo, in parte lo sono ancora, ma ora ho anche capito che ci sono pure altri aspetti da prendere in considerazione, alcuni, quali il sapore e la digeribilità, sono forse molto soggettivi, altri, quali la leggerezza e il ph (8 quello dell’Acqua Maniva, leggermente superiore al ph della parte liquida del nostro corpo che viene così mantenuta in perfetto equilibrio: un acqua alcalina compensa i fattori che inducono acidità), sono decisamente oggettivi.
Visto che la ogni tanto la utilizzo, posso fare un piccolo cenno anche su quella frizzante, e posso dire che è altrettanto gradevole e leggera, sebbene l’anidride carbonica addizionata si faccia sentire nello stomaco e me la faccia percepire leggermente troppo gasata per i miei gusti attuali, probabilmente è un effetto dovuto alla mia età: invecchiando lo stomaco diviene più sensibile e l’intestino più soggetto alla produzione di gas intestinali.
Non essendo un chimico o un altrimenti esperto di acqua, certo della loro obiettività, lascio al sito Acqua Maniva le spiegazioni più tecniche. Analogamente rimando a quello di Fonte Maniva il compito di illustrare l’azienda, della quale qui evidenzio i tre aspetti che ho potuto personalmente verificare e valutare: la cordialità del personale, la disponibilità e la sensibilità alle esigenze degli sportivi.
Non essendo un chimico o altrimenti esperto in merito alle specificità tecniche dell’acqua, certo della loro obiettività, lascio al sito Acqua Maniva tali spiegazioni. Analogamente rimando a quello di Maniva S.p.A. il compito di illustrare l’azienda, della quale qui evidenzio i tre aspetti che ho potuto personalmente verificare e valutare: la cordialità del personale, la disponibilità e la sensibilità alle esigenze degli sportivi.
Per chiudere questa scheda, è senz’altro da segnalare che Acqua Maniva la si trova presente come sponsor in tantissime manifestazioni, compresa la mia lunga solitaria camminata di TappaUnica3V.
Grazie Fonte Alpina Maniva!
Interruzione pubblicitaria

Un fotogramma da una clip pubblicitaria
Ieri sera, sul canale tedesco Tele 5, durante l’interruzione pubblicitaria è passato una clip pubblicitaria di una nota casa produttice di caramelle alle erbe svizzera. Il testo in sovraimpressione dice (in svizzero tedesco, appunto): “La forza delle erbe libera”. Lo spot è passato due volte dalle 20,15 alle 21,30.
Mi pare un buon punto a favore del nudismo e dell’escursionismo nudista. Il messaggio è rivolto a un pubblico tedesco, è vero. È vero anche che la pubblicità cerca situazioni un tantino estreme, ma è innegabile che unpo’ alla volta faccia anche “costume”.
#TappaUnica3V: equipaggiamento e alimentazione
Quale abbigliamento userai? Quale attrezzatura? Quali calzature? Come ti gestirai per l’alimentazione? E per la reidratazione? Domande lecite, domande che mi sono state fatte, domande che mi sono fatto. Qualche risposta me la sono già data, altre sono in elaborazione, nei prossimi mesi le potrete scoprire e leggere attraverso le schede tecniche che andrò facendo, qui riporto le linee di massima a cui mi atterrò e anticipo grossolanamente le scelte già fatte.
Innanzitutto è giusto e doveroso precisare che, per varie ragioni, ivi compresa quella di mantenere il peso dello zaino entro limiti ragionevoli, dovrò necessariamente organizzare tre o quattro rifornimenti: punti del percorso raggiungibili in auto nei quali familiari e/o amici mi porteranno il necessario cambio di abbigliamento, alimentazione e liquidi. Al fine di non inibire l’aspetto della solitaria i luoghi allo scopo identificati sono centri abitati o località molto frequentate, dove avrei comunque incontrato delle persone.
Veniamo allo specifico argomento di questo articolo e partiamo dalla reidratazione. È, questo, un aspetto importante, oserei dire fondamentale per una conclusione positiva del giro: potrei avere la migliore attrezzatura ed alimentazione ma senza un adeguato supporto idrico e una sua corretta somministrazione mai e poi mai potrei camminare per quaranta ininterrotte ore, delle quali la metà si svolgono al di sopra del limite boschivo dove nulla potrà attenuare l’insolazione, alle condizioni che presumibilmente troverò a fine luglio, specie se sarà come quello del 2015. Cosa userò e come mi regolerò? Il calcolo preciso è necessariamente rinviato ai primi di luglio, quando avrò effettuato tutti i test e potrò quantomeno intuire l’andamento climatico del mese, per ora ho previsto che mi serviranno all’incirca venti litri di acqua, mezzo litro per ogni ora di cammino. Dato che lungo il percorso quasi nulle sono le possibilità di reperirla dovrò portarmela tutta appresso, due litri nell’apposita sacca con cannuccia, gli altri in bottiglie di plastica, quelle da un litro e mezzo onde semplificare la ricarica della sacca e non trovarmi mai con delle bottiglie parzialmente piene. Sto ancora ragionando sull’opportunità di utilizzare degli integratori da disciogliere nell’acqua, di certo andranno comunque a rappresentare solo una parte, direi al massimo un terzo, della reidratazione, per il resto sarà solo pura e semplice acqua, quell’acqua che bevo quotidianamente da diversi anni: l’Acqua Maniva PH8 (presto ne pubblicherò la scheda tecnica). Tutta l’acqua mi verrà gentilmente fornita dalla Fonte Alpina Maniva di Bagolino, azienda molto sensibile alle esigenze degli sportivi e ben presente nelle manifestazioni di varie discipline sportive.
Passiamo all’alimentazione. Qui, sebbene abbia già una discreta idea sulla composizione di base (rapporto tra carboidrati, lipidi e proteine) e sulle caratteristiche pratiche (cibi leggeri, facilmente digeribili, da potersi assumere anche camminando, che restino integri anche dopo ore nello zaino, eccetera), è ancora tutto in alto mare: essendo diabetico, seppure con bassi e controllati valori di glicemia, devo innanzitutto parlarne con il diabetologo e, se necessario, con il dietologo che prestano servizio nell’unità diabetologica che mi segue. Dovrò valutare attentamente anche l’assunzione del medicinale che, in quanto diabetico, prendo ogni giorno, anche per questo sarà il diabetologo a darmi le necessarie e giuste indicazioni: la visita è prenotata a fine gennaio.
Idee chiare e precise, invece, le ho sulle calzature. Userò le stesse scarpe che, per le mie escursioni, utilizzo con estrema soddisfazione da tre anni: Ultra Raptor GTX de La Sportiva. Studiate per le più impegnative e lunghe gare di corsa in montagna, sono un modello con membrana in Goretex che i corridori più esigenti giudicheranno forse un poco pesante, ma proprio per questo lo ritengo il più adatto all’utilizzo escursionistico e a TappaUnica3V. Qualcuno storcerà il naso trattandosi di scarpe basse, da molti ritenute inadatte o addirittura pericolose per l’escursionismo in montagna, io la penso diversamente: uso scarpe basse da circa trentacinque anni, mi ci sono sempre trovato benissimo e non mi hanno mai creato problemi, nemmeno le tanto temute storte alla caviglia, invero provocate da scarpe che lasciano spazi vuoti nell’arcata interna del piede e dalla lassità di una caviglia abituata ad un costante più o meno rigido contenimento.
Anche per lo zaino la scelta è già stata fatta. Sarebbe andato benissimo quello che avevo, ma visto che ormai aveva completamente perso l’impermeabilità ne ho approfittato per rottamarlo. Ne volevo uno di capienza similare (verificata in tanti anni di utilizzo), altrettanto leggero e comodo, se per la questione peso il tutto si riduceva a leggerlo sulle etichette, per il resto le cose non erano altrettanto semplici: la comodità la puoi valutare efficientemente solo nell’utilizzo in montagna, meglio se a pieno carico; per la capienza sarebbe stato facile se avessi avuto conoscenza esatta della capacità di quello vecchio, purtroppo così non era e, per la sua struttura molto particolare (due separate zone verticali), non potevo fare una comparazione diretta con gli altri, par altro oggi molto più stretti e alti di quelli che si usavano una volta. Comunque alla fine, dopo un’ora di prove e considerazioni, l’ho trovato, è invero uno zaino da sci alpinismo ma non era disponibile il corrispondente modello da escursionismo per cui… comprato: Randonnèe 36 della Salewa. L’ho già positivamente testato in diverse uscite, ancora devo provarlo col caldo e sulla nuda pelle ma penso di poter già affermare che, seppure con alcuni difettucci, si tratta d’uno zaino eccezionale.
Niente bastoncini, preferisco camminare senza, mi trovo meglio, mi sento più libero e più agile, ho gambe adeguatamente robuste e allenate (anche grazie al non uso dei bastoncini), non devo preoccuparmi di dimenticarli da qualche parte.
Lampada frontale. Sebbene abbia opportunamente scelto il periodo di luna piena, sebbene la parte del percorso che farò di notte sia priva di copertura arborea permettendo alla luna d’illuminare per bene il terreno, non potrò certamente farne a meno. Scartata la frontale già in mio possesso, troppo debole, mi sono fatto consigliare dal negoziante e l’acquisto è stato qui molto semplice e veloce: la H7R.2 della Led Lenser, potentissima e di lunga autonomia, l’ideale per TappaUnica3V.
Molti dubbi in relazione all’acquisto di un orologio con sistema di rilevazione cardio. Costa parecchio e, tutto sommato, non dovrò fare una corsa bensì un cammino di regolarità, sarò sollecitato più sulla resistenza psicologica e articolare che su quella cardiaca. Caso mai potrebbe tornarmi più utile durante gli allenamenti, quando spingo al massimo per indurre un affaticamento precoce al fine d’incrementare il margine di resistenza fisica e la potenza muscolare, ma, come detto, spesa che non mi posso permettere e necessariamente surclassata da altre al contrario indispensabili.
Gialdini Sport, negozio presso il quale da moltissimi anni mi servo e al quale ho indirizzato familiari e tanti amici, mi ha promesso in prestito il localizzatore GPS Spot Gen 3. Grazie a questo dispositivo potrò allestire una pagina web dalla quale chiunque potrà seguirmi in tempo reale, avendo costante visione del mio incedere e della mia posizione.
Resta l’abbigliamento. Abbigliamento? Quale abbigliamento, sarò nudo! Ehm, si certo, sarò nudo, ma intanto c’è un lungo tratto a quote prossime o superiori ai duemila metri, poi devo passare una notte intera e proprio alle massime quote, infine devo percorrere lunghe creste spesso tormentate dal vento: nudo sì ma con scienza. Nello zaino, pertanto, avrò il necessario per affrontare tutte le prevedibili situazioni, in rapporto alla stagione ovviamente: pantaloncini, canotta, pantaloni lunghi, maglia a maniche lunghe, giubba pesante, giacca antivento e antipioggia, berretto per il sole, forse anche una calda fascia per fronte e orecchie. Data la possibilità d’indossarlo e levarlo senza smettere di camminare, avrò dietro anche un piccolo pareo tagliato e cucito da mia moglie: sebbene la mia speranza sia quella che per l’occasione specifica, vista la sua particolarità e i messaggi sociali che vuole trasmettere, mi sia possibile ignorarle, ad oggi, purtroppo, ci sono molte, troppe, insulse e illogiche limitazioni che ancora vengono imposte a chi nudo vuole stare, volente o nolente devo e dovrò tenerne conto!
Ah, la crema solare… Indispensabile. In questi ultimi anni, da quando, cioè, ho unito la passione per la montagna alla scelta nudista, ne ho provate di diverse marche e di diversi tipi, niente, ancora non ne ho trovata una che mi soddisfi a pieno. Quale è il problema? In spiaggia vanno tutte bene, stai fermo e puoi farti la doccia subito dopo, nell’escursionismo vestito già qualche fastidio è rilevabile ma sopportabilmente limitato a viso e mani, dovendola applicare a tutto il corpo il fastidio si fa insistente: a parte l’effetto colla che lasciano dopo l’utilizzo, tutte le creme solari da me provate generano un effetto vestito, seppure leggero risulta percepibile da chi, ormai abituato alla nudità prolungata, ha recuperato la neonatale sensibilità epidermica, riduce sensibilmente il respiro del corpo e provoca (o aumenta) la sudorazione. Vedremo, per ora è impossibile fare test in merito, devo per forza attendere quantomeno la primavera, nel frattempo se avete suggerimenti sarò ben lieto di riceverli e, appena possibile, sperimentarli.
#TappaUnica3V: analisi del profilo altimetrico
Dopo aver visionato quasi l’intero percorso del sentiero 3V “Silvano Cinelli” posso iniziare ad affrontare i discorsi tecnici e parto dall’analisi del profilo altimetrico, precisando che lo stesso è incompleto e impreciso essendo stato rilevato dall’unica cartina completa a mia disposizione, l’ultima prodotta dal Coordinamento 3V, una cartina di certo inadatta a tale scopo essendo necessariamente in grande e (incomprensibilmente) stramba scala (1 a 83333). Dal confronto diretto con quanto visto di persona sul terreno posso comunque dire che il profilo elaborato si avvicina molto bene a quello reale, sebbene la necessità di dover limitare i punti di rilevamento in alcuni casi appiattisca sensibilmente certe pendenze. Andrò a inserire nell’analisi anche quanto osservato sul terreno.
Si parte subito con un bel salto: dai cento quarantanove metri di Brescia agli ottocento dieci del piazzale antistante quella che tanti anni addietro era la stazione a monte della funivia. Seicento sessantuno metri di dislivello che si proiettano su tre chilometri e mezzo di distanza lineare per una pendenza media non particolarmente impegnativa, c’è però da dire che vi sono comunque tratti di forte pendenza anche se alternati ad altri quasi pianeggianti. Da qui, fatta salva la breve depressione coincidente al Ristorante Grillo (ottantacinque metri di discesa e cento quattordici di salita, ambedue con rilevante pendenza), si procede per un bel pezzo pressoché piano dando tempo alle gambe di rilassarsi prima di affrontare la lunga e a tratti impegnativa (spuntoni rocciosi, lisce pietre e, sotto San Vito, fango) discesa che porta a Nave: seicento quattordici metri di dislivello che mi riporteranno quasi alla stessa quota di partenza.
Un poco di riposo attraversando l’abitato e poi, con pendenza prima moderata ma poi decisamente più impegnativa, si sale verso Conche. È, questo, il secondo rilevante salto: ottocento cinquantatré metri di dislivello che riportano in quota. Da Conche alla Corna di Sonclino si frappone, come forte depressione, solo il Passo del Cavallo: quattrocento cinquantotto metri di discesa che verranno subito recuperati quasi per intero con la ripida risalita alla Casa di Vallazzo. Da qui la progressione si fa più regolare, solo il tratto di cresta tra La Brocca e le Passate Brutte presenta un continuo ma limitato su e giù, a cui ci si deve invero aggiungere la difficoltà tecnica di un breve (dieci metri) tratto di arrampicata vera e propria: la “Streta”, uno stretto e verticale camino con difficoltà di secondo grado, anche se il problema principale è comunque dato dalla strettezza del passaggio che mi costringerà a togliere lo zaino e spingerlo davanti e sopra a me.
Dalla Corna di Sonclino altra lunga e a tratti ripida discesa che porta all’abitato di Lodrino: settecento sessantadue metri di dislivello effettivo, ovvero comprensivo di alcuni su e giù (un centinaio di metri in tutto). Segue un breve (quattrocento otto metri di dislivello) ma ripido balzo poi la pendenza s’attenua notevolmente e si perviene alla non ripida discesa verso il Passo del Termine. Dolcemente recuperata quota si procede per un poco in rilassamento preparandosi al successivo balzo: il ripidissimo pendio erboso che adduce alla lunga e pianeggiante cresta che porta al Monte Campiello (qui il profilo inganna mostrando la pendenza media tra il Pian del Bene e la vetta). Cresta ancora pianeggiante fin poco sotto al Monte Ario alla cui vetta si perviene con un breve ma ripido strappo. Ripidissima, anche se breve, discesa su scivolosissima erba e poi lungo tratto dove poter recuperare fiato e gambe prima di affrontare la risalita alla Corna Blacca: trecento quarantacinque metri di dislivello con pendenze a tratti decisamente importanti.
Altro tuffo verso il basso: duecento cinquantacinque metri di dislivello che si proiettano su soli trecento metri lineari dando una pendenza prossima ai quaranta gradi. Discesa resa abbastanza delicata dal terreno franoso e da un breve caminetto roccioso da scendere faccia a valle con la tecnica dell’opposizione di braccia (comunque banale e che nella perlustrazione ho superato con tre balzi). Ora si può recuperare per bene ed affrontare al meglio la salita alla vetta del Dosso Alto, breve e nella media non ripidissima.
Decisamente impegnativa la discesa della cresta del Dosso Alto: i primi cinquanta metri superano un ripidissimo ed esposto pendio instabile dove gli scalini un tempo piazzati si sono ormai quasi completamente distrutti, poi altri centoquattordici metri che alternano brevi muretti rocciosi, comunque superabili faccia a valle, a rocce montonate e ripidi pendii erbosi, infine, dopo un pericoloso e delicato traverso su erbe lunghe e senza una netta traccia su cui posare i piedi, duecentodieci metri di vertiginosa discesa su scivolosissima erba.
In piano, su larga mulattiera, fino al Giogo del Maniva: ora si può respirare, ci sono alcuni su e giù nel tratto delle Colombine ma nulla di rilevante e fino al Passo delle 7 Crocette potrò pensare solo al recupero delle energie.
La risalita del Monte Crestoso è invero ben più ripida di quanto appaia nel profilo, comunque corta e seguita da un bel tratto di cresta pianeggiante. Altrettanto ingannevole il profilo nel tratto delle due cime di Stabil Fiorito e in quello dei Corni del Diavolo: in poche centinaia di metri s’inseriscono strettissimi intagli con ripide e delicate (alcune anche esposte) discese e ripide e faticose risalite. Viste le ormai tante ore che avrò nelle gambe qui ci sarà da ponderare bene il passo.
Abbastanza tranquilla la risalita del Monte Muffetto, altrettanto dicasi per la discesa all’omonimo passo, poi di nuovo un’apparente lungo tratto di assoluto riposo, invero tra il Passo del Muffetto e la Colma di Marucolo si alternano brevi ma ripidissime salite e corrispondenti discese. Assolutamente riposante, invece, la discesa al Colle di San Zeno.
Ancora un tratto tutto sommato rilassante poi, in vista di Malga Gale, dovrò tornare a misurare il passo: sebbene la salita sia spezzata da un lungo traversone pianeggiante, i due strappi sono decisamente ripidi, nel primo c’è anche da superare un lungo (quindici massimo venti metri) caminetto roccioso e una successiva paretina: le difficoltà sono banali (primo grado) ma il reiterato passaggio ha lucidato gli appoggi rendendoli scivolosi.
Dalla vetta del Guglielmo è una lunga e sostanzialmente riposante discesa, solo il tratto sovrastante la Malpensata risulta delicato per la presenza di spuntoni rocciosi. Da sfruttare per dare ulteriore respiro alle gambe il tratto che porta alla Forcella di Sale. Ora l’ultima vera fatica del giro: la ferrata dell’Almana. Invero chiamarla, come fanno tutte le relazioni, ferrata è un poco esagerato, ma la ripidità del pendio erboso da risalire è tale da avvicinarsi molto alla verticalità e richiede moltissima attenzione, specie considerando che ormai le mie gambe saranno ben intossicate dalle tante ore di cammino e dall’assenza di riposo. Alla sommità dei prati un traverso con cordina metallica non mi dà più di tanta preoccupazione, mentre un poco di pensiero me lo crea il successivo breve (una decina di metri) tratto di sprotetto traverso sopra il vertiginoso prato: la traccia di passaggio è debole, rotta e quasi completamente ricoperta di erba. Breve facilissima paretina che porta in cresta, un bel tratto pianeggiante sull’esposta cresta (ma con traccia regolare, uniforme e bella larga), infine gli ultimi strappi erbosi che adducono alla vetta.
Sono sulla dirittura d’arrivo, da qui in avanti è tutto un perdere quota e, sebbene s’inseriscano ancora alcune brevi ma ripide salite, si tratta solo di ben dosare l’energia ancora rimasta e tenere duro fino al traguardo che man mano si fa sempre più vicino.
Con l’ultima immagine, il profilo completo del giro, ecco, combinando l’analisi del profilo altimetrico con le osservazioni dirette fatte sul campo, la considerazione strategica complessiva.
Ho potuto verificare che in massima parte i tempi di tabella sono abbastanza larghi per cui la riduzione a quaranta ore mi permette comunque un passo medio abbastanza tranquillo. La particolare modalità di TappaUnica3V, però, richiede un’attenta differenziazione dell’andatura al fine di evitare, prima, un precoce affaticamento e, poi, il necessario supporto alla stanchezza muscolare e generale che si andrà man mano ad accumulare, inserendoci nel mezzo le variazioni adeguate al superamento di alcuni tratti dalle differenti e precise peculiarità tecniche, in particolare quelli che prevedono tratti di arrampicata e, comune, più o meno delicati passaggi esposti.
Partenza dolce per non distruggersi subito sugli strappi della Maddalena e di Conche (primo decimo del percorso), da qui a poco oltre la Pezzeda (Passo di Prael; quattro decimi del percorso) sensibile aumento dell’andatura sfruttando le migliori discese per ulteriori accelerazioni. Corna Blacca da prendersi con calma nella salita mentre veloce può essere la discesa (anche perché sul terreno franoso più si frena e più si rischi di finire a terra), al contrario sul Dosso Alto la salita può essere un poco più sostenuta mentre serviranno calma e molta attenzione sulla cresta di discesa. Dal Giogo del Maniva (quasi cinque decimi di giro) nuovamente passo sostenuto fino a Malga Gale (sette decimi di giro), tenendo comunque conto dei brevi ma ripidissimi strappi che numerosi si alternano fino alla Colma di Marucolo. Salita del Guglielmo controllata poi deciso fino alla Forcella di Sale, qui ancora passo calmo e molta attenzione fino alla vetta dell’Almana (quasi otto decimi di giro) dalla quale, visto che a questo punto la fatica accumulata si farà sentire con viva forza, via molto tranquillo e con passo assolutamente costante fino a Brescia dove potersi finalmente accasciare a terra e godersi il meritato riposo.
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