Archivi Blog

I fulmini: cosa sono, come si formano, come comportarsi


Era il tempo dei modem analogici, io frequentavo assiduamente il newsgroup ISM (it.sport.montagna) e nell’ambito di un acceso dibattito sui fulmini e sul come evitarli nacque un mio specifico articoletto. In seguito vennero confermate alcune cose che hai tempi erano solo delle ipotesi, ad esempio l’esistenza delle scariche guida e la loro relativa pericolosità, ma materialmente poco o nulla cambia in relazione al discorso fatto nell’articolo, che quindi riporto senza revisioni.

L’articolo si riferisce nello specifico alla montagna, ma è facile estrapolarne considerazioni valide per altri contesti.


Oggi piccola lezione sui fulmini, per spiegarne la corretta dinamica di formazione ed evoluzione. Preciso che vado a memoria, pertanto ingegneri, periti ed elettricisti vari troveranno alcune imprecisioni, ma appositamente non vado a riprendere i miei vecchi libri di scuola, voglio che il testo sia il più semplice possibile.

Il fulmine altro non è che la fase finale di un evento naturale: la scarica elettrica tra terra e cielo (i lampi sono invece la fase finale della scarica tra nuvola e nuvola).

Come nasce questa scarica? Bene il motivo preciso è irrilevante ai nostri fini, basti dire che per qualche evento la terra acquista elettroni assumendo un potenziale (carica elettrica) negativo e il cielo (diciamo così per semplicità) perde elettroni assumendo un potenziale positivo. Ad un certo punto la differenza di potenziale (differenza di tensione) tra terra e cielo diviene talmente alta da vincere la forza isolante della colonna d’aria frapposta fra i due punti che hanno assunto la carica elettrica, quindi gli elettroni possono fluire liberamente da terra verso il cielo per ristabilire l’equilibrio, cioè riportare a zero la differenza di potenziale. In realtà prima che l’equilibrio venga raggiunto, l’aria si ricostituisce, per effetto di un insieme di concause, e interrompe bruscamente il passaggio di corrente provocando l’arco voltaico da cielo a terra: il fulmine, per l’appunto.

Ora veniamo alla seconda parte della trattazione: in quali punti si genera la scarica?

Invece di utilizzare difficili discorsi tecnici (che tra l’altro non ricordo più bene), mi limito a riepilogare un esperimento che viene fatto fare a tutti gli studenti di elettrotecnica.

Prendete una piastra piana, una sfera e un cono dello stesso materiale e con la stessa area di superficie e ponetele di fronte ad un’altra piastra più grande come in figura:

Fulmini

Ora inducete carica positiva nella piastra grande e la stessa carica negativa nella piastra piccola, nella sfera e nel cono. Bene la prima scarica partirà dal cono, mentre la sfera e la piastra piccola saranno in grado di accumulare una carica ben maggiore.

Ora veniamo a noi, cosa si evince da tale esperimento?

Che le scariche (che da ora chiamerò per semplicità fulmini) tra cielo e terra avvengono principalmente dalle punte, quindi dalle vette delle montagne e dalle cime degli alberi isolati (un fitto bosco con alberi tutti o quasi della stessa altezza dev’essere assimilato alla piastra piccola o alla sfera).

Inoltre tutta la tensione di scarica viene riversata nello spostamento verso l’alto, lasciando inerti le pendici del cono, chi venga pertanto a trovarsi sulle pendici del monte interessato da una scarica non è direttamente colpito dalla stessa. In effetti può sentirne gli effetti preparatori, causa l’accumulo di carica, ma questi sono perfettamente innocui e non stanno a predire l’ineluttabilità della scarica su di noi o presso di noi.

In seguito vanno poi considerate le tensioni di terra che si generano durante la fase di strappo (interruzione) della scarica, pure queste sono solitamente innocue, salvo non trovarsi nelle immediate vicinanze della zona di scarica dove potremmo essere coinvolti anche dall’effetto termico o dallo spostamento d’aria. Le correnti di terra possono invece rilevarsi pericolose in prossimità di tetti, qui, infatti, potrebbero bucare l’aria tra il tetto e il terrazzo sottostante, invece che scorrere nel terreno attorno. In pratica viene a crearsi un mini-fulmine con conseguenze anche letali. Lo stesso dicasi per l’apertura di grotte.

Dunque, pericoli ci sono ma non sono così elevati come la fantasia popolare tende a dipingerli: mi sembra d’essere tornato ai tempi di Balmat e Paccard; queste sono cose dimostrate ancora dagli Illuministi nella seconda metà del ‘700. Bastano alcune piccole regole:

  • non fermarsi sulle vette, specie se molto piccole e acuminate;
  • non fermarsi sotto gli alberi isolati, non tanto per il pericolo d’essere colpiti dal fulmine (che caso mai partirà dall’albero), ma per il pericolo di rimanere ustionati o d’essere travolti dall’albero se, una volta colpito da un fulmine, dovesse cadere in toto o in parte;
  • ai prati, specie se molto ampi, scegliere il bosco fitto, nel piatto del prato siamo noi a diventare punta;
  • se un temporale ci sorprende su un esteso ghiacciaio, magari circondato da poche e poco rilevanti cime, sempre per il fatto che in tali situazioni noi stessi diventiamo delle punte, potremmo avvertire i segnali di scarica (i peli che si rizzano, i capelli che si rizzano, piccole scariche a fior di pelle o sulla piccozza, ecc.), in tal caso, anche se non è detto che possa trattarsi di un avvisaglia di fulmine, sedersi a terra per ridurre l’effetto di dissipazione della carica;
  • mai cercare riparo sotto piccoli tetti o in rientranze appena accennate;
  • mai soffermarsi sull’apertura di caverne e grotte, ma penetrare nelle stesse il più possibile e comunque almeno un paio di metri.

Per quanto riguarda la ferraglia addosso, beh questa potrà al più aumentare l’effetto delle scariche preliminari ma di certo non ci rende più idonei alla scarica rispetto alle tonnellate di rocce che ci stanno intorno, e comunque principe è il principio della dissipazione delle punte, ma delle vere punte, delle punte rilevanti, non delle puntine quali possiamo essere noi e i nostri materiali rispetto all’ambiente che ci circonda.

Detto questo, allontanare il materiale non costa nulla, quindi facciamolo pure se proprio dobbiamo restare fermi, ma se appena è possibile guadagnare un posto sicuro, o quantomeno più sicuro, uscire dalla parete o dalla ferrata, facciamolo senza patemi, e con la massima tranquillità, che non vuol dire in lentezza ma nemmeno di corsa.

0461

Naturismo? Troppe regole!


Recentemente mi è capitato di leggere articoli che contenevano affermazioni che mi hanno lasciato decisamente allibito:

  • “non è naturista colui che pratica il nudismo da solo”
  • “non è naturista colui che sta nudo solo in casa”
  • “non sono naturisti coloro che praticano esclusivamente tra uomini”
  • “non è naturismo se non c’è la presenza di famiglie”
  • “non sono naturiste quelle strutture che escludono a priori la presenza dei bambini”
  • “nudisti e naturisti devono astenersi da qualsiasi minima espressione di affettuosità per non dare luogo a sospetti di attività a sfondo sessuale”
  • “chi sostiene la necessità per naturisti e nudisti di comportarsi, in relazione all’affettività, in modo similare a quello che avviene nella società tessile o è un giovane in preda agli attacchi ormonali o è un vecchio decrepito in cerca di prestazioni sessuali”
  • e altre amenità similari.

Naturismo e nudismo si propongono come attività liberatorie, come movimenti di libertà, come espressioni di un qualcosa di diverso dalla società tradizionale, dalla società tessile, da una società in cui le regole imperano, e poi andiamo a imporre tutte queste regole? Dove finisce la libertà? Non ci si rende conto che così facendo ci si macchia degli stessi identici errori che si rimproverano alla società tessile?

Queste affermazioni, e le regole che ne derivano, dimostrano l’incapacità di adeguarsi all’evoluzione dei tempi, evidenziano la volontà del controllo, la tendenza a dare credito solo a quanto piace e fa comodo, danno netta e chiara dimostrazione di quanto ci si faccia dominare dal senso unico.

Esistono delle definizioni enciclopediche, a queste dobbiamo rifarci: nudismo è stare nudi punto, naturismo è amare la natura punto, tutto il resto  serve solo a limitare ulteriormente la libertà delle persone, danneggiando i movimenti stessi del nudismo e del naturismo.

Smettiamola con queste regole, smettiamola con queste assurdità, impariamo a ragionare a doppio senso, impariamo ad evolvere. Non è vero, come ho letto negli stessi articoli, che queste regole sono irrevocabili e vanno rispettate solo perché nascono con i movimenti nudista e naturista. Intanto perché non esiste nulla di irrevocabile, perfino leggi e Costituzioni vengono periodicamente modificate, poi perché quelli erano anni in cui imperavano ideologie quali il razzismo, il maschilismo, l’omofobia, ideologie che oggi sono fortemente contrastate e talvolta anche illegali. Integrare e integrarsi questo è il mantra da seguire: allargando la definizione delle cose non se ne disconosce l’origine, ma a questa vi si aggiungono, in rispetto dell’evoluzione naturale delle cose e della natura, altri significati e altri utilizzi.

Analogamente mi ha lasciato allibito l’affermazione che la parola nudismo sarebbe caduta di moda, ma da dove nasce questa affermazione?  Chi se l’è inventata questa cosa? La parola nudismo non è uscita di moda, innanzitutto perché non è mai stata una moda, poi perché la parola nudismo non solo è ancora ben presente in qualsiasi dizionario ma anche perché la si trova usata moltissimo da tanti articolisti e blogger. La parola nudismo alcuni nudisti hanno smesso di usarla, sostituendola con quella di naturismo, solo per coprire le loro insulse e inutili paure, per mascherare la loro vergogna verso quello che facevano: solo chi ha vergogna di essere nudo non usa la parola nudismo.

Si deve altresì precisare che, come ho più volte ribadito  (“Nudismo e naturismo: sinonimo o contrari?”, “Nudismo e naturismo: la grammatica!”), la parola nudismo non è un’alternativa alla parola naturismo, bensì è un qualcosa di diverso: il nudismo si manifesta ove la nudità sia il fine e non un mezzo, mentre nel naturismo la nudità è solo un mezzo per addivenire ad un fine che, per inciso, con la nudità poco o nulla ha a che fare. Ecco che, per sua manifesta natura, il nudismo male si presta all’imposizione di regole limitatorie: quando stai nudo per il piacere di starci allora sei nudista e stai facendo nudismo, stop!

Il nudismo è aperto a tutti, giovani e meno giovani, uomini e donne, adulti e bambini, eterosessuali, omosessuali e bisessuali, senza distinzione di razza e di religione, senza attenzione al luogo di pratica o alla tipologia del gruppo in cui si pratica, tanti, pochi o singoli che si sia.

Ecco perché nel nudismo si può vedere la speranza di una futura evoluzione sociale, si può vedere il solo futuro per l’associazionismo naturista, ed ecco perché la parola nudismo va assolutamente rivalutata e usata, altro che andare in giro a dire che è una parola fuori moda.

Le parole


Una parola è solo una parola, ma una parola è anche molto di più di una semplice parola; una parola, infatti, racchiude al suo interno molte altre parole.

Alcune parole sono articoli e, nell’ecologia di un discorso, sono abbellimenti che nulla portano al contesto.
Altre parole sono verbi e anche questi solitamente sono ininfluenti alla corretta comprensione della frase.
Poi abbiamo i sostantivi e gli aggettivi, questi sono le parti salienti del discorso, quelli che ne definiscono il senso.

Il peso delle parole

Una mappa mentale che esemplifica il peso delle parole

Se scrivo “ieri sono andato al lago, ho preso due ore di sole e poi ho fatto il bagno nelle fresche acque” in effetti ciò che conta di tutta la frase sono sei parole: ieri, lago, due, ore, sole, bagno … “ieri lago due ore sole bagno”, la frase è comunque comprensibile anche se in effetti, messa in forma lineare, manca una distinzione tra bagno e sole: potrebbe essere un bagno di sole. Se però usassi una mappa mentale la distinzione verrebbe ricostruita perfettamente (vedi immagine a lato).
Ecco che tali termini fondamentali della frase, quelli che nelle mappe mentali vengono definiti BOIs (Basic Ordering Ideas; Idee Ordinative di Base), non possono essere tra loro scambiati in modo arbitrario altrimenti il senso del tutto cambia anche notevolmente: è ben diverso dire pianta o dire piante, dire case dal dire città, dire nero dal dire buio e via dicendo.
Abbiamo così evidenziato che, sebbene le parole possano apparire spesso come semplici parole e vengano soventemente abbinate tra loro con poca cura, la loro scelta e il loro abbinamento dev’essere invero accurato, specie se usate per trasmettere un messaggio, se usate per propagandare un’idea o pubblicizzare qualcosa. La parola usata dev’essere quella che più si avvicina al concetto che si vuole trasmettere o all’oggetto che si vuole descrivere, dev’essere quella che meglio li rappresenta, quella che meno si può fraintendere o associare ad altro, quella più diretta ed esplicita.

Purtroppo nel corso dei secoli l’uomo ha modificato il proprio modo di comunicare in ragione di diversi fattori contaminanti e condizionanti, elevando a prassi modi del tutto errati di comunicare, elevando a corretto l’uso di parole alternative meno fastidiose ma non per questo esatte e opportune, elevando a regola il parlare per mezzo di mascheramenti di vario genere.
Facciamo solo alcuni esempi per meglio chiarire la questione.

1) Tutto ciò che evoca la sfera sessuale raramente viene chiamato con il suo nome, ma si ricorre quasi sempre a parole che hanno etimologia e significato totalmente diverso: trombare, scopare, sega, ditalino, eccetera.

2) Anche alcune parti del corpo, in particolare i genitali, vengono preferibilmente indicati mediante parole diverse: pisello, banana, patata, topa, eccetera.

 3) Curiosa l’alterazione relativa alle mammelle o tette (che è italiano corretto), dove si è affermato nel tempo l’uso del termine seno che indica, invece, l’incavo presente tra le due mammelle ed ha valore sia per la donna che per l’uomo. D’altra parte la parola seno viene usata per indicare un golfo, un’insenatura, ovvero una rientranza, e non una prominenza, della costa.

 4) Tantissime di quelle definizioni che potrebbero indurre una reazione negativa da parte del destinatario (colui che riceve il messaggio della comunicazione) vengono frequentemente alterate: brutto male, scomparsa, dipartita, passato a miglior vita, disabile, disagiato, eccetera.

 5) Per ultima, ma non per questo meno rilevante, elenchiamo la categorie delle parole che si riferiscono ad atteggiamenti sociali che, seppur legittimi, la società è arrivata a determinare come più o meno riprovevoli. In questo caso, però, le alterazioni non sono state prodotte dalla società stessa ma da chi, consapevole della legittimità e correttezza del proprio agire, tali atteggiamenti ha elevato a proprio stile di vita. Così sono comparsi, caso tra i più diffusi ed eclatanti, gli usi errati delle parole naturismo e naturista, sempre e comunque utilizzate come alternativa alle parole nudismo e nudista; spesso pure con un misterioso ed etimologicamente sbagliato accento di purezza: naturismo come nudità sana e corretta; nudismo come nudità volta al solo libertinaggio sessuale… ma di questo parlerò più ampiamente in un prossimo articolo appositamente dedicato alla questione, qui mi premeva solo sottolineare come le parole, seppure possano sembrare semplici parole, hanno sempre un loro ben preciso significato e l’utilizzo anche solo lievemente deviato delle stesse può portare a gravi incomprensioni, al fallimento dell’intero processo di comunicazione.

Una parola è solo una parola, ma una parola è anche molto di più di una semplice parola; una parola, infatti, racchiude al suo interno molte altre parole e va utilizzata con estrema attenzione … in ogni caso e in ogni circostanza!

Il… Senso unico


Mannaggia, ma come faccio ad arrivarci? Sono due ore che giro per le strade della città, due ore che seguo i cartelli direzionali, che litigo con i sensi unici; due ore, però, che giro in tondo ritrovandomi immancabilmente alle stesso punto di partenza. Le ho provate tutte, ma non c’è verso d’andarcene fuori, i sensi unici mi riportano sempre al punto di partenza.
Sono stufo di girare a vuoto e perdere tempo inutilmente, ho deciso, parcheggio e ci vado a piedi. Si ma dove parcheggio? Quelli che ho visto nel mio girotondo intorno al … no, non al mondo, ma al centro, erano tutti pieni. Boh, forse spostandomi sull’esterno troverò qualcosa. Ecco la l’indicazione per un centro commerciale, di sicuro vicino ci saranno dei parcheggi.
Prendo la direzione indicata dal cartello segnaletico e, stanco ma fiducioso, già mi vedo parcheggiare. Ah, quale sogno fu mai meno previdente! Rotonda, quattro direzioni possibili, nessun cartello segnaletico, manco i nomi delle vie ci sono. Va beh, quelle due strade sembrano portare verso la periferia, quale prendo? Bim, bum, bam, ecco prendo questa! Procedo per la strada, dritta e circondata di case, ma senza parcheggi, in fondo si vede un poco di cielo, si, si sono proprio sulla strada giusta.

Cento metri, duecento, trecento, quattrocento e … bang, divieto d’accesso! Oh cavolo, non si può procedere. A destra e a sinistra non ci sono deviazioni, devo invertire la marcia e tornare indietro. Detto fatto, troverò ora una strada laterale? Si, si, eccone una e va proprio nella direzione dell’altra strada che partiva dalla rotonda. Deciso imbocco la stradina, dopo una cinquantina di metri questa svolta a destra e poco dopo c’è un incrocio. Sorpresa, posso andare solo a destra, ma così ritorno dov’ero prima. Va beh, non posso fare altro.
Via, si riparte all’assalto, svolto a destra e seguo la nuova strada fino al suo termine dicendomi, la svolterò a sinistra e raggiungerò la periferia. Arrivo al termine della strada e, nooooooooo, ancora obbligo di svolta a destra. Cavoli, ma in questa città hanno proprio la mania dei sensi unici!
La nuova direzione obbligata mi riporta alla rotonda, dove prendo la direzione che avevo tralasciato e, dopo un paio di chilometri, finalmente arrivo ad un parcheggio in gran parte vuoto. Mi fermo, parcheggio l’auto e guardando l’orologio m’accorgo che ormai l’ora dell’appuntamento è passata da un pezzo. Si, ci voleva anche questa. Avviso il cliente che sono in forte ritardo, gli spiego dove sono e lui, gentilissimo, mi dice di aspettarlo li che mi raggiunge nel giro di una mezz’ora.
Bene, tutto e bene ciò che finisce bene, mi sistemo con l’auto in un posto ombreggiato, apro la portiera, mi distendo sul sedile per rilassare un attimo le gambe e la schiena e, come spesso mi capita, inizio a pensare ai nuovi articoli.

Ho un’idea in mente da qualche giorno, ma non mi riesce di fissarla, è un’idea intrigante, ma anche un argomento difficile, dovrò documentarmi bene e non sarà facile trovare documentazione affidabile. Pensa che ti ripensa, improvvisamente una luce, un bagliore, una nuova idea che spunta forte e presuntuosa nella mia mente. E’ bella, molto bella, mi piace, non devo farmi scappare il momento creativo, dove è il blocco, ah eccolo, e la penna, ecco anche quella, fortuna che li tengo sempre in macchina.
Inizio a scrivere, le parole compaiono sulla carta velocemente, senza esitazioni, sono al massimo della creatività, scrivo senza pensare, il mio cervello e la mia mano sembrano collegati tra loro in modo diretto.
Il senso unico! Come nelle città il senso unico sembra essere diventata una moda, un pensiero fisso, l’imperativo massimo del moderno stile di vita, della nuova comunicazione sociale di base.
Capita che parlando con qualcuno, dopo diverse parole, dopo diverso tempo in cui nessuno dei due cede un millimetro dalle proprie posizioni, ecco che ti senti dire “Ma lo sai che sei proprio testardo!” Già, perché lui ha ceduto qualcosa a me, perché lui è stato più flessibile, lui ha cambiato un poco idea. No, lui ha fatto lo stesso che ho fatto io: è rimasto fermo sulle sue posizioni. Il senso unico!

Altre volte parlando di certi argomenti un poco particolari, ad esempio (toh guarda che combinazione) il nudismo, ecco, capita che ti venga detto “Si ok, però … però le tua libertà finisce dove inizia la mia.” Embhè? Allora? Che vuol dire? E’ mai possibile che sia sempre la mia libertà ad avere una fine, una barriera, e mai quella dell’altro? Eppure mi sembra quantomeno logico che la frase abbia la stessa identica valenza anche invertendo i soggetti, eppure no, sei sempre tu che devi fermarti. Il senso unico!
Ancora, capita che scrivi qualcosa e ti vengono fatte delle osservazioni che tu consideri, magari solo in parte, errate, quindi ribatti esponendo i tuoi perché. Mai l’avessi fatto: “Stai limitando la mia libertà di espressione”. Ma guarda te, limito la libertà di qualcuno perché mi permetto di ribattere alle sue obiezioni? Non è che per caso a questo punto sia l’altro che sta limitando la mia libertà di espressione? E’ diritto basilare della comunicazione (talvolta è addirittura un obbligo) che l’estensore di un idea, di un progetto, di uno scritto, possa rispondere alle osservazioni ricevute, anche rifiutandole; invece no, gli dicono di star zitto, ma se sta zitto poi si sente rinfacciare quasi le stesse cose e, magari, dalle stesse persone. Il senso unico!
Di nuovo, rispondi a delle contestazioni e… “Non accetti le critiche”, “Bisogna saper accettare tutto” e via dicendo. Ma guarda te non accetto le critiche? Non è che per caso è l’altro che non sta accettando le mie controcritiche? Ma guarda te io devo, e sottolineo devo, accettare tutto, l’altro, invece, può non accettare quello che ho detto io. Il senso unico!

Il senso unico, ma va, che bella invenzione, permette di evitare il confronto quando questo diventa difficile, permette di mettere sempre se stessi un poco avanti gli altri, permette di non porsi domande, permette di non crearsi dubbi, permette di restare sempre e comunque della propria opinione, permette di dormire la notte invece che pensare alle discussioni, ai confronti, alle cose dette e sentite, permette di non ragionarci, risolve la paura di poter prima o poi cambiare idea. Il senso unico.

“Salve” , l’esclamazione mi toglie dal mio stato di creatività, il cliente è arrivato, devo tornare al lavoro, ma l’articolo mi sembra completo, finito, dovrò solo dare un’occhiata all’ortografia e alla sintassi, poi potrò pubblicarlo, a … doppio senso!